Ecclesiologia
1.
Definisce
l’ecclesiologia e la differenza tra E. Dogmatica ed E. Fondamentale
L’ecclesiologia non è la Chiesa ma, come dice il
termine, un discorso sulla Chiesa, più
precisamente uno studio sistematico,
organico scientifico su che cosa è la Chiesa. Poiché chi la studia già
crede e vi appartiene si può dire che l’ecclesiologia è un’autocoscienza
riflessa del mistero ecclesiale. Le sue diverse finalità sono ben espresse in
questo passaggio dell’Ecclesiam suam di Paolo VI (6 agosto 1964):
«Approfondire
la coscienza che la Chiesa ha di se stessa, meditare sul mistero che le è
proprio, esplorare a propria istruzione ed edificazione la dottrina, già a lei
nota e già in quest’ultimo secolo enucleata e diffusa, sopra la propria origine, la propria natura, la propria missione, la propria sorte finale, ma dottrina non mai
abbastanza studiata e compresa, come quella che contiene “il piano
provvidenziale del mistero nascosto da secoli in Dio […] affinché sia
manifestato […] per mezzo della Chiesa (Ef 3.9-20)”» (EE 7/721).
Ecclesiologia
fondamentale e dogmatica. Dalla sua nascita come
disciplina autonoma, datata con il De regime christiano di Giacomo da
Viterbo (+1307), l’ecclesiologia ha dovuto far fronte a una serie di problemi:
il confronto con il potere imperiale, il protestantesimo, l’illuminismo. Per
questi motivi Congar sostiene che il trattato di ecclesiologia è nato “con la
spada in mano”. Dopo il luteranesimo si è accentuato un carattere apologetico,
per dimostrare che la vera Chiesa era quella cattolica (demonstratio
catholica).
Oggi l’ecclesiologia è invece studiata invece
nell’ambito della dogmatica, seguendone le note e le caratteristiche
specifiche. L’apologetica, che intanto ha conosciuto una revisione interna con
la mutazione del nome in teologia fondamentale, non ha cessato di studiare la
Chiesa ma lo fa a partire dai suoi specifici obiettivi che sono la rivelazione
(vi rientra l’importante tema della Chiesa mediatrice della rivelazione) e
la credibilità della Chiesa (e della fede) di fronte alla cultura
contemporanea.
La dogmatica parte dalla fede acquisita
e si caratterizza come una riflessione organica del mistero cristiano. Le sue
tappe comprendono lo studio delle fonti (auditus fidei) e il
lavoro speculativo (intellectus
fidei).
2. A quale testo conciliare abbiamo
fatto riferimento per la metodologia e
come si chiama questo metodo
Il n. 16
dell’Optatam
totius (decretto sulla formazione sacerdotale).
«Nell’insegnamento
della teologia dogmatica, prima vengano proposti gli stessi temi biblici. Si
illustri poi agli alunni il contributo dei Padri della Chiesa d’Oriente e
d’Occidente nella fedele trasmissione ed enucleazione delle singole verità
rivelate, nonché l’ulteriore storia del dogma, considerando anche i rapporti di
questa con la storia generale della Chiesa. Inoltre, per illustrare quanto più
possibile i misteri della salvezza, gli alunni imparino ad approfondirli e a
vederne il nesso con un lavoro speculativo, avendo san Tommaso per maestro. Si
insegni loro a riconoscerli sempre presenti ed operanti nelle azioni liturgiche
e in tutta la vita della Chiesa. Infine, imparino a cercare la soluzione dei
problemi umani alla luce della rivelazione, ad applicare queste verità eterne
alle mutevoli condizioni di questo mondo e comunicarle in modo appropriato agli
uomini contemporanei».
ELENCO DEI
16 DOCUMENTI ELABORATI
ED APPROVATI
n°
|
TIPO
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NOME DEL DOCUMENTO
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OGGETTO
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1
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COSTITUZIONE DOGMATICA
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CHIESA
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2
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COSTITUZIONE CONCILIARE
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SACRA LITURGIA
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3
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COSTITUZIONE DOGMATICA
|
DIVINA RIVELAZIONE
|
|
4
|
COSTITUZIONE PASTORALE
|
CHIESA NEL MONDO CONTEMPORANEO
|
|
5
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DECRETO
|
UFFICIO PASTORALE DEI VESCOVI
|
|
6
|
DECRETO
|
ECUMENISMO
|
|
7
|
DECRETO
|
CHIESE ORIENTALI CATTOLOCHE
|
|
8
|
DECRETO
|
MINISTERO E SULLA VITA SACERDOTALE
|
|
9
|
DECRETO
|
FORMAZIONE SACERDOTALE
|
|
10
|
DECRETO
|
RINNOVAMENTO DELLA VITA RELIGIOSA
|
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11
|
DECRETO
|
ATTIVITA' MISSIONARIA DELLA CHIESA
|
|
12
|
DECRETO
|
APOSTOLATO DEI LAICI
|
|
13
|
DECRETO
|
STRUMENTI DI COMUNICAZIONE SOCIALE
|
|
14
|
DICHIARAZIONE
|
LIBERTA' RELIGIOSA
|
|
15
|
DICHIARAZIONE
|
RELAZIONI DELLA CHIESA CON LE RELIGIONI
NON-CRISTIANE
|
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16
|
DICHIARAZIONE
|
SULL'EDUCAZIONE CRISTIANA
|
Il testo
conciliare entra inoltre nel dettaglio, proponendo
un metodo di tipo genetico: i dogmi
della fede si studiano partendo dalla Scrittura, «anima di tutta la teologia»,
esaminando il pensiero dei padri (occidentali e orientali) e lo sviluppo lungo la
storia della
Chiesa. È questo il momento dell’auditus fidei in cui il teologo si pone in ascolto
delle fonti, non arbitrariamente bensì lasciandosi guidare dalla fede della
Chiesa e «sotto la guida del magistero della Chiesa».
4. Credere e amare la Chiesa.
Nella professione di fede (il Credo) la Chiesa svolge un ruolo di soggetto e di
oggetto. Il riferimento di entrambi non è a una Chiesa ipostatica che
esisterebbe al di fuori dei suoi membri, ma «noi stessi - scrive Giovanni Paolo
II - siamo la Chiesa che professiamo di credere; noi crediamo nella Chiesa
essendo contemporaneamente la Chiesa credente e orante» (Udienza generale del
24 luglio 1991). La qualità di soggetto fa della Chiesa la prima credente: il
Credo è suo, è la professione corale della Congregatio fidelium che
giunge noi dagli inizi della sua storia e con la quale deve accordarsi ogni
singola voce. Ma nella professione di fede la Chiesa è presente anche come
oggetto, infatti diciamo: credo
Ecclesiam. La prima comparizione di questo
articolo in un Simbolo risale all’Epistula
Apostolorum, datata intorno al 170. Da allora esso
è accompagnato da alcuni aggettivi essenziali che hanno la forma più completa
nel Niceno costantinopolitano: unam
sanctam catholicam et apostolicam. In quanto oggetto di un credo la
natura della Chiesa non è un fenomeno sociologico ma è riconoscibile solo per
fede. Gli occhi esterni possono cogliere e studiare le strutture esterne, ma
sono gli occhi della fede ad andare a fondo e a disporre gli animi per
riconoscere un’azione divina. Questo non vuol dire divinizzare la Chiesa.
Osservando l’assenza della preposizione “in”, Rufino faceva notare che non
diamo alla Chiesa lo stesso credito che diamo a Dio: «Non è detto “nella santa
Chiesa” […], ma si deve soltanto credere “la santa Chiesa”, cioè non come se
fosse Dio, ma come Chiesa riunita per Dio» (Expositio symboli).
Così
Agostino permettendo un’annotazione sull’opzione amante diceva: «ognuno
possiede lo Spirito tanto quanto ama la Chiesa». «Cristo ha amato la Chiesa e
ha dato se stesso per lei» (Ef 5,25). Una delle immagini classiche
dell’ecclesiologia che, tra le sue caratteristiche, ha proprio quella di
esprimere il mistero ecclesiale nei termini dell’amore. La Chiesa deve amare ed
essere amata come ama e si ama una sposa.
Il legame tra
Cristo e la Chiesa impedisce di separare ciò che Dio ha unito. La dicotomia tra
Cristo e la Chiesa, come quella rappresentata dallo slogan del “Cristo
sì/Chiesa no”, è giudicata assurda da Paolo VI. (Evangelii nuntiandi 16).
3. La
Chiesa è stata fondata da Cristo ?
Interrogativo
nuovo che nasce con il modernismo.
La provocazione del Loisy («Gesù annunciò
il Regno e ciò che ne èvenuto fuori è la Chiesa») ha inserito nel dibattito
ecclesiologico l’analisi di una possibile duplice dissociazione: tra il Gesù pre-pasquale
e la Chiesa, tra questa e il regno di Dio. Entrambi gli argomenti, anche se in
maniera divergente, sono presenti in alcuni autori odierni come Leonardo Boff,
per il quale la Chiesa non nasce dall’incarnazione, ma dagli apostoli che,
ispirati dallo Spirito pentecostale, presero una nuova coscienza dei tempi
escatologici traducendo la dottrina del regno di Gesù in dottrina sulla Chiesa.
Il problema
esige una diversa impostazione. Si tratta di chiedersi: 1) Se Gesù manifesta
una volontà esplicita finalizzata a una fondazione della Chiesa; 2) Se quella
realtà che i testi neotestamentari chiamano “Chiesa” cf. Matteo (16,18; “E io ti dico: Tu sei Pietro e su
questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno
contro di essa”, 18,17), sia in qualche modo
riconducibile alla predicazione del Regno. Solo a queste condizioni è possibile
parlare di un Gesù fondatore.
Sul primo
punto emerge l’intenzione evangelica del maestro di assicurare una continuità
alla sua opera. In questa prospettiva si comprendono alcuni atti fondativi: la
scelta di una comunità di discepoli che invia in missione; il distacco tra
questi discepoli del gruppo ristretto degli apostoli (Mt 10,1-15), il cui
numero ricorda le dodici tribù di Israele, ciò che manifesta l’evidente
intenzione di una ri-fondazione del popolo; all’interno degli stessi apostoli
la posizione preminente di Pietro, cui è affidato un compito di roccia e il
potere di sciogliere e di legare (Mt 16,18s); l’istituzione dell’eucaristia che
doveva regolare l’ordine di una «nuova alleanza» (1Cor 11,25; Lc 22,20). Non è
ancora la Chiesa
come l’abbiamo oggi, ma, considerando i successivi sviluppi, è corretto vedervi
il seme o, come scrive H. Schlier, la
preformazione: «Questo
discepolato con i dodici e Simon Pietro, per Matteo, è la preformazione della futura
Chiesa. Essa, si può anche dire, nella sua
struttura fondamentale
è questa Chiesa nel modo della promessa».
L’evangelista
che più condivide la continuità tra il Regno e la Chiesa è Matteo, che elabora
il suo Vangelo nell’ottica di una comunità ormai strutturata. I suoi due
passaggi che contengono il termine
Ekklesia esprimerebbero
così la convinzione che la Chiesa è già segretamente presente nella comunità
del Regno raccolta da Gesù Cristo. È la direzione offerta dal Vaticano II
quando scrive:
«Il
Signore Gesù diede inizio alla sua Chiesa predicando il buon annuncio, cioè la
venuta del regno di Dio promesso da secoli nelle Scritture: “Il tempo è
compiuto, il regno di Dio è vicino” (Mc 1,15; cf. Mt 4,17)» (LG 5).
Preformata dal
Gesù storico, in collegamento al Regno annunciato e atteso, la Chiesa è formata
dopo l’esperienza della risurrezione e il dono pentecostale.
L’effusione
dello Spirito, che i discepoli interpretano come una realizzazione delle
promesse antiche (Gioele 3,15), fa capire i presupposti storici nel messaggio
del maestro e continua ad assistere la neonata comunità perché sviluppi la
propria autocomprensione e si dia le strutture necessarie per proseguire il suo
cammino.
4. Cristo
è fondatore o fandamento della Chiesa ? Entrambi. Cristo è il fondatore e
fondamento della Chiesa.
La
questione del rapporto Cristo-Chiesa non si racchiude solo in quella della
fondazione storica, ma implica l’idea del fondamento permanente.
Gesù è sempre il fondamento attivo della
costruzione della Chiesa, cioè senza
Cristo la Chiesa non può crescere, edificarsi; motivo che portava i padri a
vedere il luogo di nascita della Chiesa non tanto nella vita terrena di Gesù ma
nel suo dono pasquale. Agostino commenta l’episodio della trafittura del
costato (Gv 19,34) per dire: «Qui il
secondo Adamo, chinato il capo, si addormentò sulla croce, perché così, con il
sangue e l’acqua che sgorgarono dal suo fianco, fosse formata la sua sposa»
Scrive il documento della CTI:
«Fondata da
Cristo, la Chiesa non dipende da lui solo nella sua nascita esteriore, storica
o sociale; ma proviene dal suo Signore in maniera ancora più intima, essendo
lui che la nutre e la edifica incessantemente mediante lo Spirito. La Chiesa nasce, come dice la Scrittura e
nel senso inteso dalla tradizione, dal costato ferito di Gesù Cristo (cf.
Gv 19,34; LG 3); è “acquistata dal sangue del Figlio”( At 20,28; cf. Tt 2,14);
e la sua natura si fonda sul mistero della persona di Gesù Cristo e della sua
opera salvifica. La Chiesa, perciò, vive costantemente del suo e per il suo
Signore».
5. Cosa
significa il termine Chiesa
a. Definizione del termine chiesa
Herbert Muhlen riconosce che, il mistero della
Chiesa è una realtà così ricca di significato, che non può essere racchiusa in
un’unica formula e ogni tentativo di definire la Chiesa risulta vano. Anche per
Congar, la strada della definizione del
termine Chiesa è molto difficile da percorrere. Egli sostiene infatti è più
facile dire ciò che la Chiesa non è, piuttosto che quello che essa è. In un suo
articolo Congar ci riporta due motivazioni per cui la Chiesa non è definibile:
1)
la
Chiesa è troppo ricca di significato per essere
contenuta in un solo concetto e per essere identificata con un solo nome;
2)
Benché
essa sia costituita dagli uomini, la Chiesa è una realtà di origine soprannaturale.
La motivazione di
un’indefinibilità della Chiesa è dunque che la sua essenza sfugge ad un
osservatore esterno (come fanno i sociologi, gli psicologi, etc.): il teologo
sa bene questo. Le definizioni della Chiesa non sono in facie Ecclesiae (“davanti alla Chiesa”). Tuttavia, abbiamo visto
che per superare le difficoltà della difinizione del termine “Chiesa”, gli autori si servono spesso del procesimento
descrittivo, rappresentando, in modo più o meno particolare alcuni elementi
caratterizzante della Chiesa. E lo fanno i diversi linguaggi. La tradizione ha
dato una particolare preferenza alla via delle immagini che implica l’utilizzo
di diverse forme come rappresentazioni mentali, le metafore, le analogie, i
simboli. Quali sono ?
Innanzitutto la via della storia: conoscere la storia è molto
utile per la comprensione della Chiesa, distinguendo ciò che è assoluto da ciò
che è relativo. In tal modo si supererà l’idealismo fondamentalista e il
conservatorismo che rifiuta ogni tentativo di riforma, ma si supererà anche il
progressismo, che si proietta sempre in avanti.
La
seconda via è quella della descrizione:
il Concilio non dà una definizione formale
di Chiesa, ma ce la descrive. Questa via della descrizione è composta da
tante “sottovie”: innanzitutto quella delle immagini (per immagine
qui si deve intendere una rappresentazione mentale: sono stati i Padri ad
utilizzare soprattutto questa via ed essa è stata ripresa da LG 6); abbiamo poi
la via dei criteri: questa via si è affermata fin dall’antichità, dal
momento che già in essa avevamo gruppi che rivendicavano di essere la vera
Chiesa (Ireneo per esempio prenderà come criterio l’apostolicità). I criteri
sono elementi di discernimento per determinare la vera Chiesa di Gesù Cristo.
Oggi nel Credo abbiamo le 4 note
della Chiesa (una, santa, cattolica, apostolica), che possono essere
considerati criteri; Tommaso le definisce conditiones
(da condo, che vuol dire “fondare”).
Il termine nota nascerà soprattutto
dopo la Riforma, quando si vollero trasformare le caratteristiche della Chiesa
nel Credo in criteri per discernere la vera Chiesa rispetto alla Riforma; oggi
il CCC parla di attributi della
Chiesa.
Un’altra
via è quella delle categorie. Si
tratta di elaborare concetti (non immagini) astratti e generali in grado di
circoscrivere meglio l’oggetto di studio, la Chiesa: a differenza delle
immagini, essi forniscono una visione globale della Chiesa (le immagini colgono
generalmente solo un aspetto); si pensi alla Chiesa come sacramento, come popolo di
Dio. Vi sono due categorie chiave che guidano l’interpretazione di tutte le
altre categorie: la categoria di societas e la categoria di comunione (la prima ci sta alle spalle,
dal momento che la Chiesa prima veniva definita societas perfecta inequalis, mentre la seconda ci sta in avanti).
b.
Cos’è vuol dire chiesa
Chiesa vuol dire
assemblea. Dalla
testimonianza del risorto e dall’esperienza della pentecoste è nata fra gli
uomini una fraternità di fede che si è
data un termine preciso. Ekklesia.
La scelta di un tale termine “Ekklesia”
risale nei tempi delle prime persecuzione della comunità di Gerusalemme da
parte della sinagoga. La linea preferenziale della scelta del termine si spiega
approfondendo le sue 3 direzioni di significato: ebraico, greco, e quello
cristiani.
1. Il significato ebraico
Per
la teologia ebraica ekklesia è il vocabolo greco con cui i settanta, traduttori
dell’A.T hanno scelto per rendere l’ebraico qahal.
Questo ultime serve per indicare la comunità israelita nella sua piena
estensione e nel suo radunarsi per occasione speciali, strettamente legata alla
celebrazione dell’alleanza. In primo piano l’uso del termine pone l’idea di una
risposta attiva lla convocazione. Un significato preciso di qahal (ekklesia) indica la radunabilità.
Si tratta di un termine nato nel contesto della tradizione deuteronmista.
Diveso di edah che indica il popolo dell’alleanza come realtà statica, qahal
privilegia l’elemonto convocante diventando
sinonimo di giorno dell’assemblea. Dt 9, 10; Nm 10, 7.
Tra
gli elementi costituitivo di qahal
una condizione determinante è la voce
convocante che serve a indicare l’importante collegamento dell’assemblea
con Dio. Un’altro elemento è l’estensione
perché tutto il popolo ha diritto alla partecipazione ed è oggetto della
convocazione. Anche la chiesa primitiva ha preso coscienza che l’ekklesia ha
una fisionomia missionaria e dunque implica la convocazione di tutti.
2. Significato cristiano.
Ekklesia
per i greci indicava una realta profana comprendente l’assemblea dei cittadini
liberi. 3 riferimenti dell’uso greco-pagano sono evidenti nella nozine di
ekklesia cristiana. Uno di questo è la localizzazione cittadina: il referente
dell’ekklesia non è tanto il popolo intero come nel caso del qahal am la
comunità locale territorialmente stabilita. Un’altro è quello della deliberazione democartica che
comporta la convizione di assumere le decisioni in maniera popolare, il terzo è
il significato di un’assemblea che si raduna non solo per compiere atti
cultuali ma anche per problemi di ordine pratico organizzativo. Ekklesia
designa la chiesa universale, locale e la chiesa concretamente radunata.
1
Co, Ekklesia significa assemblea, la lettera agli ebrei Ekklesia significa
assemblea dei primo geniti.
Ekklesia=
convocatio, indica la qualità di questa assemblea ch’è di essere il frutto di
un’azione divina; Congregatio indica il soggetto storico.
6. Quali
sono le spiegazione sulla sua origine e sulla sua scelta da parte della
comunità primitiva.
Tra gli
autori emerge Luca, noto per aver scritto la prima storia della Chiesa,
chiamata Atti degli apostoli. Il tema generale è la storia della salvezza, che
va dalla promessa (Israele) al compimento (Gesù) e alla sua realizzazione
nell’oggi attraverso l’opera dello Spirito e della Chiesa. A Gerusalemme, la
comunità vede i suoi primi passi e vive l’esperienza dello Spirito.
Le
condizioni di ingresso alla Chiesa sono l’accoglienza
del cherigma, con cui si confessa la propria fede in Cristo morto e risorto, e
la celebrazione del battesimo che sancisce l’adesione.
Luca si
preoccupa poi di tracciare la modalità dell’esistenza ecclesiale, delineandola
attraverso alcuni brevi sommari, emerge Atti 2,42, definito «la carta di
identità della Chiesa» (G. Betori): «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento
degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle
preghiere».
1) L’ascolto e l’annuncio della parola
di Dio, nelle sue diverse forme, costituisce l’ossatura della primitiva
comunità cristiana. In questa attività emerge la particolare responsabilità
degli apostoli, primi testimoni e responsabili dell’insegnamento. La risposta alla
parola di Dio comunicata dalla predicazione apostolica è la fede.
2) Da
quest’ultimo brano si comprende il posto dei sacramenti. A partire dalla
pentecoste, la prassi battesimale è ampiamente documentata. Il libro racconta
molti battesimi, compreso quello di Paolo. L’altro rito focale è «la frazione
del pane», espressione che ricordava il gesto di Gesù ai discepoli radunati nel
cenacolo.
3) I primi
cristiani si presentano infine come “fratelli”. Diventati figli nelFiglio, i
cristiani formano una fraternità vissuta attraverso un intenso scambio
relazionale che dovrebbe portare ad amarsi, a evitare le divisioni, a farsi
carico dei bisogni dell’altro.
7. Perché
abbiamo ritenuto importante rilevare lo studio del termine Chiesa
Poiché
l’uso corrente della parola chiesa è condizionato da diverse interpretazioni.
Spesso la Chiesa viene identificata con lo stato della Città del Vaticano,
quando si guarda alla Chiesa in termini politico-istituzionali; l’opinione
pubblica pensa spesso in termini clericali, per cui la Chiesa si
identificherebbe con i sacerdoti; oppure la Chiesa viene vista in termini
ideologici, confondendo la Chiesa con la dottrina cristiana (Chiesa e
cristianesimo non sono la stessa cosa), con i suoi riti, le sue leggi, le sue
idee. Nel campo dello studio, la Chiesa può essere oggetto di un duplice approccio,
quello empirico (come quello della sociologia, della psicologia) e quello
teologico: coloro che utilizzano il metodo empirico guardano alla Chiesa come
un’organizzazione di carattere religioso che interagisce con il contesto
sociale (sociologia), con le diverse forze dell’animo umano (psicologia),
oppure con le coordinate spazio-temporale (storici).
Purtroppo,
molto spesso, sono gli stessi cristiani a nutrire una visione parziale della
Chiesa, condividendo questi pareri oppure proiettando sulla Chiesa l’esperienza
personale o quella della propria aggregazione, per cui si parla di una Chiesa
conservatrice, aristocratica, popolare, amicale, pietistica, etc.: da queste
comprensioni unilaterali e parziali non sono esenti preti e vescovi, di solito propensi
a vedere la Chiesa in termini clericali, e nemmeno i teologi, in quanto essi
hanno pure i loro preconcetti.
È
stato inoltre importante studiare il termine chiesa per cogliere alcuni aspetti
importanti per la sua autocomprensione
Innanzitutto
l’aspetto dall’alto, che riconosce un’iniziativa divina per l’appello del
popolo inteso come tutto
C’è
anche l’aspetto comunitario, la chiesa non è solo una realtà convocata ma anche
realtà congregata. Le 2 sono inseparabili.
L’aspetto
del riunirsi. Essere cristiani vuol dire radunarsi, qui la chiesa manifesta e
realizza in pienezza ciò che è.
8. Spiega
in sintesi la nozione di popolo di Dio nel N.T
La nozione
di popolo è rilevante per l’AnticoTestamento. Israele è parte di tutti gli
altri popoli della storia umana, ma si distingue nella sua origine per la
consapevolezza di una vocazione trascendente. È il popolo di Jhwh (Gdc 20,2; II
Sam 14,13). Radicandosi nelle esperienze dell’alleanza e dell’Esodo, Israele
nutre un debito di riconoscenza nazionale e religiosa che lo rende proprietà di
Dio. La preposizione “di” è dunque un genitivo di possesso, di appartenenza. Il
popolo esiste non per i suoi meriti ma perché Dio lo ha scelto e chiamato
(Dt.7,7; Is.48,12) attraverso l’amore dei patriarchi (Dt 10,14-15), soprattutto
Abramo, il primo destinatario della promessa. Questo significato trascendente è
il motivo per cui l’Antico Testamento tende a riservare il termine ‘am ad
Israele, preferendo attribuire agli altri popoli quello di goy:
«Tu infatti sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio; il Signore tuo Dio ti
ha scelto per essere il suo popolo (‘am)
privilegiato fra tutti i
popoli (goyim)».
La convinzione della comunità cristiana
primitiva è che questo popolo eletto sfocia nella creazione di un “nuovo
popolo”, radunato intorno alla fede nell’opera messianica del Cristo.
Un aggancio
profetico è alla dottrina del “resto” di Israele, che Isaia rende con questa
immagine: «Vi resteranno solo pochi racimoli, come in un olivo bacchiato, due o
tre bacche sulla punta dei rami, quattro o cinque sui suoi rami fruttiferi»
(17,6). Il resto è un seme santo, che rinasce da un’alleanza nuova, interiore e
spirituale (Is 55,3; Ger 31,31) ed è seguendo questa via che gli autori del
Nuovo Testamento presentano la realtà cristiana. Essa nasce dalla «nuova
alleanza» annunciata nell’ultima cena (1Cor 11,25; Lc 22,20), un’alleanza «non
della lettera, ma dello Spirito» (2Cor 3,6), che porta il popolo messianico a
non aver più barriere, né nazionali, né sociali, né religiose
«Tutti
voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete
stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né
greco; non più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi
siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo allora siete discendenza di
Abramo, eredi secondo la promessa» (3, 26-29).
I diversi significati che il titolo di
popolo di Dio aveva per Israele, vengono perciò conservati, ma l’unico
riferimento esplicito del Nuovo Testamento è nella 1Pt che spiritualizza in
senso cristiano il contenuti anticostestamentari
«Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma
scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive
per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per
offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo […]. Voi
siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che
Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha
chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce. Voi che un tempo eravate il
non-popolo ora siete il popolo di Dio (laos
Theou)» (1 Pt 2,4-5; 9-10).
Lo studio
di questo titolo pone il problema del rapporto con Israele. La nascita di un nuovo popolo non implica
rottura, opposizione o sostituzione di quello ebraico, Israele ha ancora una
missione da compiere. Il “nuovo” indica una specifica originalità che proviene
dal Cristo. Paolo è contrario alla teoria della sostituzione, che
presuppone il ritiro dei doni di Dio, perché «i doni e la chiamata di Dio sono
irrevocabili» (Rom 11,29).
9. I
significati della nozione di Corpo di Cristo sono:
Una delle
immagini più celebri che emergono dall’ecclesiologia neotestamentaria e che
sintetizza la visione paolina è il “corpo di Cristo”. Negli scritti
dell’apostolo appare come una quasi-definizione (Ef 1,23) (cf R. PENNA, La Chiesa come corpo di Cristo), ma comporta significati diversi che in
genere si riducono a tre aspetti:
Mistico,
sottolinea l’unione vitale tra la Chiesa
e Cristo. L’attenzione cade sul
genitivo di appartenenza soma Christou: Paolo afferma che i cristiani non
sono solo semplici seguaci di una dottrina o di un maestro, ma vivono un
rapporto intimo con Cristo. Sulla base di questa profonda
compenetrazione egli elabora la teologia del battesimo, dove dice che gli
uomini rinascono a vita nuova perché partecipano in maniera misterica alla
morte e risurrezione personale del Cristo (Rom 6,3-4) e dell’eucaristia,
attraverso la quale la comunità cristiana diventa un’unica cosa con il Signore
(1Cor 10,17). Per Paolo Gesù non è perciò un presente nella sua epoca del
passato, ma lo è
nell’oggi,
attraverso la sua comunità con cui vive nel mondo.
Ecclesiologico, Il secondo significato mette in
evidenza l’orizzontale: il ritrovarsi in
Cristo crea un’unità relazionale dei credenti (Rom 12,4-5). È a questo
proposito che Paolo cita il classico apologo di Menenio Agrippa, presente in
altri riferimenti della cultura ellenica, con cui, paragonando la polis a
un corpo, se ne risalta l’unità al di là delle differenze sociali e della
molteplicità dei componenti (1Cor 12,12-27). Essendo in relazione gli uni con gli altri, nessuno è più corpo o più
presenza di Cristo dell’altro, ma tutti lo sono nella reciproca collaborazione
e coesistenza. La forza di coesione del corpo è l’amore (1Cor 12,28-14,1).
Cristologico. Il terzo significato emerge dalle
lettere tardive della prigionia. Le Chiese destinatarie di questi scritti
(Efeso e Colossi) stavano lasciandosi sviare dallavera fede ricominciando a
dare importanza a certe potenze celesti non ben identificate, a pratiche
religiose superate riguardanti l’uso dei cibi, di bevande e a una spiritualità
fatta di ricorrenze. Paolo vuole ricordare la centralità della fede in Cristo
(Col 1,7) e usa la metafora del capo (kephalé)
per dire che Cristo è il valore superiore a tutti gli altri e quindi deve
essere l’unico criterio della vita e della condotta del corpo ecclesiale. Come
un uomo sarebbe impensabile senza la sua testa, dalla quale partono i pensieri
e l’azione, così sarebbe la Chiesa senza il legame con Cristo. Il ruolo del
capo-Cristo è quello del fondamento che mantiene il primato nella gerarchia dei
valori. La Chiesa, essendo il suo corpo, non deve mai dimenticare la propria
dipendenza da Lui.
10.
Dire che Chiesa è tempio dello Spirito vuol dire:
Lo Spirito
unisce i dispersi (Gv 11,52) e dimora nella comunità facendone il tempio vivo
(1Cor 3, 17; 6,19). La Chiesa, abitata dal Cristo e dallo Spirito, diventa essa
stessa la dimora di Dio. D’ora in poi
parlare di tempio non significherà altro che parlare del corpo vivo dei fedeli.
Scrive Congar:
«Dopo l’incarnazione lo Spirito è veramente
dato: è nei fedeli un’acqua zampillante di vita eterna (Gv 4,14), li rende figli di Dio e capaci
di possederlo veramente mediante la conoscenza e l’amore. Non si tratta più
solo di presenza, è un’abitazione di Dio nei fedeli. Tutti personalmente e tutti insieme, nella loro stessa unità, sono il
tempio di Dio, poiché sono il corpo di Cristo, animato e unito dal suo Spirito»
Cf Ef (2,17) poiché Cristo è venuto per stabilire la pace e avvicinare i
lontani, i cristiani non devono più considerarsi «stranieri, né ospiti, ma
concittadini dei santi e familiari con Dio, edificati sopra il fondamento degli
apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare (akrogoniaios)
lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere
tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati
per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito»
Concepire la Chiesa come tempio conduce perciò a un concreto
programma di comunione.
In quanto tempio dello Spirito la Chiesa realizza il vero
culto quando è se stessa, comportandosi e agendo da Chiesa di Cristo nella fede
e nell’amore. Al primo posto la fede, l’unzione
fondamentale dello Spirito che ci fa riconoscere il Cristo. La fede precede
ogni rito, compreso quello del battesimo, è costituisce l’elemento consacrante
del nuovo santuario, quindi il fondamento in virtù del quale ogni uomo può
farsi pietra costruttrice del tempio santo e può rendere feconda la stessa
grazia sacramentale. La carità esprime invece la scelta operativa di porsi in
sintonia con il comandamento più grande di Cristo che è quello dell’amore (Mc
12, 28-34)
11.
L’autocomprensione prevalente della Chiesa nel primo periodo dei padri è quella
di ?
La prevalenza del mistero. Il
periodo patristico presenta un’ecclesiologia ancora embrionale, strettamente
legata alla Bibbia. La Chiesa è vista
come la riproduzione visibile, qui in terra, della città ideale del cielo. Essa
è un mistero che ha una origine divina e che si vive principalmente nella
liturgia. Entrare nella Chiesa, scrivono le Costituzioni Apostoliche,
è penetrare il mistero della pietà. La Chiesa non è la comunità di un noi che
nasce dal battesimo ed è collettivamentesacerdotale, profetico, regale.
12.
Qual è l’immagine di Chiesa più frequente nei padri e cosa richiama ?
l’arca di
Noè (Ippolito, Cipriano, Gerolamo), che serve per parlare della Chiesa riparo e
salvezza in mezzo alle tempeste del tempo; vascello in riferimento al brano evangelico.
Mysterium lunae,
per richiamare lo stretto contatto con Cristo. Come la luna, infatti, riflette
la luce
del sole, così la Chiesa è in stretta
correlazione con Cristo.
Una delle
più frequenti, che sarà variamente interpretata, è quella dell’Ecclesia mater.
Si ha il primo riferimento nella seconda lettera dello psuedo-Clemente,
composta nella prima meta del II secolo.
L’autore se ne serve per presentare
l’idea della preesistenza della Chiesa, voluta da Dio già prima della creazione
e manifestato negli ultimi giorni per salvarci.
La Chiesa
madre è la figura preferita da Cipriano, che ne fa largo uso per parlare della
sua mediazione salvifica, tanto da scrivere che «non può avere Dio come Padre
chi non ha la Chiesa per madre. Mediante il battesimo la Chiesa genera, in
Cristo, nuovi figli a Dio Padre e li nutre mediante i sacramenti. La Chiesa è la mater
terrestris dei
figli di Dio, di qui la sua idea che chi si separa dalla Chiesa si condanna
alla morte, perché essa è l’unica via della salvezza.
Un altro
orientamento dell’epoca dei padri è l’ecclesiologia
eucaristica che tiene in stretto collegamento la
Chiesa e l’eucaristia. È l’ecclesiologia di Ignazio di Antiochia. Egli vede la
Chiesa in
modo dinamico, come la comunità locale radunata intorno al vescovo per la
celebrazione eucaristica.
13.
Ricorda almeno un testo patristico sul primato papale
La visione misterica non esclude la
comunione visibile-istituzionale, locale e universale, che si traduce
concretamente in una organizzazione comprendente elementi comuni come il canone
delle Scritture, l’unità nei formulari liturgici e dei simboli di fede, il
ruolo dei ministeri. Tra questi ultimi emergono l’episcopato e il primato
romano, entrambi collegati all’istituzione divina dell’autorità degli apostoli.
Il
principale esponente dell’autorità del papato fu Leone Magno (+461) che usa
l’espressione di plenitudo
potestatis in senso giuridico e non solo
onorifico, sostenendo che il mandato del vescovo di Roma è universale mentre
quello dei singoli vescovi è limitato dai confini della propria Chiesa locale.
Il principio di fondo rimane quello della successione di Pietro che con il suo
martirio a Roma ne ha fatto la sede più autorevole. Nella lettera inviata ad
Atanasio, vescovo di Tessalonica, scrive:
«I vescovi hanno una comune dignità, ma non
un rango uniforme, in quanto anche tra i beati apostoli, nonostante l’analogia
della loro onorevole condizione, vi era una certa distinzione di potere. Mentre
l’elezione di tutti loro fu uguale, fu assegnato a uno solo il compito di
guidare gli altri. Da questo modello è sorta la distinzione tra i vescovi e con
una saggia disposizione si è provveduto affinché nessuno si arrogasse ogni
cosa, ma vi fosse in ogni provincia uno la cui opinione avesse la precedenza su
quella dei fratelli; e anche affinché certuni, la cui carica è maggiore nelle
grandi città, assumessero una più piena responsabilità e per mezzo loro la cura
della Chiesa universale convergesse verso la cattedra di Pietro e nulla, in
alcun luogo, fosse separato dal suo capo».
14.
Cosa riconosce il principio gelasiano
Il
principio gelasiano riguarda il problema del rapporto dei
poteri nell’epoca medioevale. Il riconoscimento civile del
cristianesimo, che con Teodosio diventa religione dello stato, segna vantaggi,
come la rapida espansione, e svantaggi, come l’indebolimento del fervore.
L’autocomprensione della Chiesa è meno misterica e più imperiale. Si diffonde
la convinzione di poter realizzare il regno di Dio già qui in terra. Di
conseguenza aumenta l’interesse per l’aspetto istituzionale e gerarchico,
determinando l’insorgere del problema del rapporto tra i due poteri, civile ed
ecclesiastico. L’orientamento iniziale è il riconoscimento di due principi autonomi e
indipendenti (principio
gelasiano), ma col passare del tempo, i confini diventano più sottili e
l’equilibrio verrà meno per il prevalere e l’invadenza di uno dei due poli
sull’altro.
Coi
carolingi è il potere imperiale a dominare, tanto che i principi entrano nel
governo delle cose religiose. La reazione fu con il papa Gregorio VII (+1085),
autore del Dictatus
papae (1075) e della celebre riforma gregoriana.
In nome della libertas
Ecclesiae, il pontefice apre una fase che però
fa pendere il piatto della bilancia dalla parte della supremazia ecclesiastica,
sostenendo esplicitamente la superiorità del papato sull’impero, in base al
principio che il bene delle anime è superiore a quello dei corpi. Ne scaturisce
una visione di Chiesa clericale e caratterizzata dal prae-dominium.
15.
Qual è l’opinione ecclesiologica più corrente di Lutero
Il
principale attacco di Lutero si fonda sull’autocomprensione
istituzionale, contro la quale riprende l’antico aspetto del mistero,
elaborando la nozione fondamentale di Chiesa “santa assemblea dei fedeli”. Il
problema è la grazia, cosa mi rende giusto dinanzi a Dio: se la dottrina
corrente accentuava la parte dell’uomo, in maniera individuale attraverso i
meriti delle opere e in maniera istituzionale col potere della mediazione
gerarchica, Lutero ritiene invece la radicale impotenza umana (personale e
istituzionale), per cui la salvezza può giungere mediante la sola
fede,
nella sola grazia
del Dio che si comunica nella sola Scrittura.
Egli è così
portato a criticare tutti i poteri della
Chiesa in ordine alla salvezza: il modo di celebrare i sacramenti che
pretendono di cancellare i peccati; la
gerarchia che presume di far da mediatrice fra Dio e l’uomo; le indulgenze
allora oggetto di considerazione e mercato. La vera Chiesa per Lutero è nascosta (abscondita est
Ecclesia, latent sancti),
gli uomini non hanno strumenti per poterla identificare, gli stessi veri
credenti la portano dentro di loro in maniera ambigua e oscura.
Lutero non
va però ritenuto uno spiritualista perché riconosce l’esistenza di una Chiesa
empirica, visibile che per lui è quella rappresentata dalla comunità
concretamente radunata intorno alla forza vitale del Vangelo. La Chiesa è là dove «si insegna l’Evangelo
nella sua purezza e si amministrano correttamente i sacramenti».
La parola
di Dio assume un primato assoluto, la Chiesa è sotto la parola di Dio, ne
dipende continuamente come dalla sua unica e suprema autorità, tutto il resto
dalla liturgia ai sacramenti, passa in secondo piano.
Altro elemento dell’ecclesiologia luterana è l’uguaglianza
tra tutti i battezzati, con cui si giunge a escludere la sacramentalità
dell’ordine che porrebbe un cristiano nella funzione del mediatore.
Dio agisce direttamente nel cuore dei
fedeli e non ha bisogno di intermediari, per cui ogni credente «è prete,
vescovo e papa». Il ministero
pubblico non è negato, ma proviene dalla libera elezione dei fedeli e la
sua missione consiste nell’attività predicatrice (predicatores)
più che sacerdotale (sacerdotes).
16.
Cos’è il controversismo
Siamo nel
periodo successivo al concilio di Trento. Il controversismo è un corente ch’è caratterizzato
dall’apologetica cioè la reazione dei teologi cattolici contro
l’anti-istituzionalismo di Lutero. Et per reagire a questo anti-istituzionalismo protestante
l’ecclesiologia cattolica fa quadrato intorno al principio gerarchico, dando rilievo all’immagine societaria che ha il suo maggio
rappresentante nel cardinale Roberto
Bellarmino (+1621): «La Chiesa è una
società di uomini così visibile e tangibile come lo è la società del popolo
romano o il regno della Gallia e la Repubblica di Venezia».
L’ecclesiologia
più rappresentativa del periodo neoscolastico fu del cardinal Billot che nel
1898 scrisse un De
Ecclesia che divenne libro di testo in quasi
tutti i seminati del tempo. Egli analizza il
concetto
filosofico di società per applicarlo alla Chiesa, senza ulteriori precisazioni.
L’idea pre-moderna di società che anima l’autore lo porta a focalizzare gli
elementi del governo, delle leggi e delle strutture. L’unica caratteristica
soprannaturale della Chiesa è la fondazione da parte di Cristo, per il resto
essa sembra un organismo che funziona da sola, in modo autonomo. È assente ogni
considerazione della pneumatologia, dei rapporti interpersonali, della
dimensione comunitaria.
Verso la
fine del XVIII nasce un orientamento ecclesiologico chiamato ultramontanesimo, per la sua origine
francese. Essa sviluppò un’immagine di
Chiesa che Congar definisce «sotto il segno dell’affermazione dell'autorità».
Animata da propositi controrivoluzionari, l’ultramontanesimo
si schiera a favore della restaurazione, vedendo nell’autorità ecclesiastica
l’elemento in grado di sconfiggere l’individualismo inaugurato dall’illuminismo
e dal protestantesimo.
17.
Inserisce il nome di qualche ecclesiologo del rinnovamento pre-conciliare
Adam Möhler
(+1838) di scuola di Tubinga, nella sua opera principale l’unità
della Chiesa ha dato ampio spazio alla dimensione pneumatologica, superando lo stile
controriformista e ponendo le fondamenta di un’ecclesiologia di comunione, perseguendo l’intento pratico
dirinvigorire la Chiesa sul piano spirituale e di cercare una forma ecclesiale
più sinodale.
Nella
scuola Romana, abbiamo i nomi come di C. Passaglia (+1887), J.B. Franzelin
(+1886), C.S. Schraber (+1887), che assumono alcuni temi möhleriani, elaborando
l’idea caratteristica della Chiesa “incarnazione
continuata”. Accanto vi furono uomini che stimolarono il rinnovamento in
altri settori vitali, come la liturgia, conferendo nuovo vigore soprattutto
alla sacramentaria. In particolare l’abate benedettino Prosper Guéranger
(+1875) che, nell’opera fondamentale L’Année
liturgique, sviluppa
l’idea della liturgia come preghiera della Chiesa.
Nei secoli
XX, in ambito protestante emergono le figure di K. Barth (+1968), autore di una
Dogmatica
ecclesiale che valorizza il criterio ecclesiale
della comunità, custode della parola di Dio, e di D. Bonhoeffer (+1945) che,
nella tesi di laurea Sanctorum
communio, fa interagire l’aspetto sociologico e
quello spirituale, definendo la Chiesa: «Cristo vivente come comunità».
18. Fondamento Trinitaria della Chiesa
Parlare
del fondamento trinitaria della chiesa vuol dire prima di tutto concepire la sua origine . In questo
senso ha affermato Robert Coffy retenendo che la LG, rifacendosi al modello di
una chiesa trinitaria, ha inteso sostenere che la chiesa è una realta che parte dall’alto. Ciò non
vuol dire dall’alto indica più l’episcopato e il Papato, ma la trinità. Rispecchiare la chiesa nella trinità vuol
dire esprimere l’idea che essa non vive di una vita propria, ma di una vita
ricevuta, come nell’icona l’immagine non è solo guardata ma si trasmette,
così anche la chiesa vive per l’autocomunicazione divina.
Fondare
inoltre l’ecclesiologia sulla trinità vuol dire concepire la chiesa come comunione. Il presupposto indispensabile
di questa comunione è la fede (GS 13). La fede non è una semplice adesione
associativa ma è un dono attuale che vive di un rapporto relazionale con il Dio
incontrato.
La
comunione trinitaria di cui si parla è la risposta all’esigenza presente nel
cuore di ogni uomo che cerca la pace, quella con il Dio della pace.
L’idea
di chiesa che ha origine dalla comunione trinitaria non serve a incorniciarla,
chiudendola nella sacralità del trascendente. Il dono della comunione è
escatologico, la chiesa rimane perciò uno strumento.
19.
Ecclesiologia societaria, ecclesiologia di comunione. In che cosa si
distinguono
Ecclesiologia
societaria, per
8 secoli l’autocomprensione della chiesa è stata determinata dal concetto di società come risposta
ai movimenti anti-istituzionali della riforma 15-16 Secoli. Questo concetto ha contribuito
all’affermazione della dimensione storica, dell’aspetto visibile-organizzativo
della chiesa, ma anche della sua libertà nella società temporale. Lutero
attacca l’identificazione della chiesa come società preferendo la nozione di
chiesa come santa assemblea dei fedeli. La chiesa è la comunione di coloro che
hanno un’assoluta fiducia nei meriti di Gesù. di conseguenza la vera chiesa è
nascosta, invisibile, perché scritta nei cuori, anche se diventa poi visibile
sul piano della riunione dei fedeli. Lutero
riconosce la necessità di un ministro che proviene però della libera
elezione dei fedeli e che ha il compito di curare gli aspetti d’ordine del
culto, ma non ammette la supremazia sui poteri temporali, soprattutto io potere
di giuridizione. Pietra miliare dell’ecclesiologia societaria è il pensiero di
Bellarmino che accentua gli elementi esteriori mettendo da parte quelli
interiori oppure quelli comunitaria. Egli sostiene che, appertenere alla chiesa
non è necessario alcuna virtù interiore, ma solo l’esterna professione e la
comunione dei sacramenti.
3
conseguenze sono della nozione unilaterale della chiesa come società
Istituzionalismo: Fonzione dell’istituzione:
l’istituzione in se stessa è positiva, concente alla chiesa di esprimersi a
traversi forme, che situandosi nel diversi situazione... L’istituzione non è
servilismo. Gli elementi dell’istituzione sono 3, deposito della fede, i sacramenti e i ministeri ordinati. La
riflessioni diventa problematica quando l’istituzione giunge a coprire tutto il
campo dell’esperienza religiosa fino a privare lo Spirito e gli uomini della
loro libertà. Essa degenera allora in istituzionalismo.
Giuridiscismo, elemento che sottolinea
l’aspetto del dirritto canonico, anche qui può essere un ipertrofia cioè dare
alla legge un valore assoluto fino a riunchiedere la persona nel (legalismo)
non è l’uomo per il sabato ma il sabato per l’uomo.
Clericalismo, Gongar lo chiama
gerarchelogismo, si parla del pretre solo colui che agisce nella chiesa... Esso
comporta l’accentuazione di quel elemento che partendo dalla definizione della
chiesa come societas inaequalis, riduce la dignità ecclesiale al clero. La vita
ecclesiale è vista come subordinazione alla gerarchia. È nota la denuncia di
Rosmini sulla condizione aristocratica del clero del suo tempo.
Quest’ordinamento
societario tendeva creare una mentalità
universalistica dove l’appartenenza seguiva un modo preferenziale, conseguenza
è stata la prevalenza dei rapporti organizzativi dove l’individuo era inserito
in un corpo istituzionalistico. Altri effetti sono stati l’esaltazione della
figura del papa visto come guida unica della chiesa, la dimunizione
sacramentale dell’episcopato perché i vescovi venivano compresi come
amministratori papali, la scomparsa del tema della collegialità e la
perdita del significato teologico delle
culture.
Ecclesiologia di
comunione,
Alla
base di questa ecclesiologia c’è la L.G. Infatti, essa segni il passaggio da
una visione giuridica a una visione comunitaria della chiesa. Dopo il concilio,
la categoria di comunione è diventata centrale, offrendosi come nozione capace
di risolvere i problemi lasciati aperti dal concetto di chiesa come società.
L’ecclesiologia di comunione privelegia il riferimento dello spirito. Esso
apre, suscitando nella chiesa diversi eventi che non sono riconducibili al
naturalismo istituzionale, ma si collagano direttamente alla novità
escatologica comportante un’evoluzione storica dell’identità ecclesiale. C’è il
primto dello Spirito poiché non è la chiesa che amministra lo Spirito come
Spirito di predicazione, Spirito dei sacramenti, S. Dei ministero. È invece lo
Spirito che amministra la chiesa con gli avvenimenti della parola e della fede,
sacramenti e grazia, ministeri e tradizioni. Moltmann.
Questa
ecclesiologia mette al centro anche la persona umana perché si realizza
attraverso un incontro di natura dialogica. La fisionomia interpersonale della
comunione trascendente si riproduce nella comunione della fede da uomo a uomo,
determinando anche una natura interpersonale della comunione ecclesiale. Welt
Il
contenuto dell’idea comunitaria si spiega all’interno di diverse
caratterizzazioni che vanno considerate per non svuotare il riferimento dei
suoi significati:
1. Affetivo cioè quando si parla di
comunità non si cuol intendere solo una realtà quantitativa ma realtà
relazionale. Questo stabilisce un’intesa fraterna integrale
2. L’organizzazione ecclesiale, è la
conseguenza della comprensione pneumatolgica che, superando i limiti clericlai
del sistema societaria, richiama la necessità di individuare un soggetto
comunitario per realizzare le diverse esigenzee ecclesiali.
3. La terza caratteristica dell’idea
comunitaria, che riassume i due primi è quella di comunità locale.
Nell’ordinamento
comunitario l’itenario ecclesiale prende questa direzione:
Sia che si tratti
del raduno dei credenti in un luogo determinato, anche in questa realizzazione
locale la piena realtà della ekklesia si manifesta e si esprime concretamente. Tillards.
20.
Chiesa locale e Chiesa universale, cos’è la chiesa locale ?
Per
Chiesa locale intendiamo soprattutto
la diocesi. Il termine diocesi è il meno adatto: le diocesi
erano i settori amministrativi dell’impero romano. La diocesi è la comunione di
persone che si crea all’interno di un territorio: essa è non è un semplice
richiamo alla Chiesa, ma è la Chiesa di Dio che si realizza in tutto il mondo.
Prima
del Concilio tutta la Chiesa veniva vista come una grande diocesi governata dal
Papa: non era l’individuo che formava la Chiesa, ma era l’istituzione centrale
che rendeva Chiesa l’individuo; vi era un forte centralismo romano, con una
assolutizzazione della figura del papa: il vescovo non regge la diocesi a nome
del papa, ma un vescovo governa una Chiesa. Il tema della collegialità era
totalmente assente, e si era perso il significato teologico delle culture.
Nell’ecclesiologia
di comunione del Vaticano II l’itinerario ecclesiale prende una direzione che
si basa su una convinzione fondamentale: in ciascuna delle manifestazioni
locali, la piena realtà della Chiesa di Dio si esprime concretamente. Circa il
termine, il Vaticano II non usa il termine diocesi
(di natura amministrativa), ma l’espressione Chiesa locale, riferita soprattutto alla diocesi, ma talora anche
ad un raggruppamento di Chiese locali o anche ad una parrocchia (anche se molto
raro). Molto utilizzata è anche l’espressione Chiesa particolare, espressione con la quale si intende sia una
diocesi sia un nucleo complessivo di diocesi o addirittura Chiese diverse da
quella cattolica. Congar chiama Chiesa
locale la diocesi, mentre Chiesa
particolare il raggruppamento di diocesi; de Lubac parla di Chiesa particolare circa la diocesi,
mentre di Chiesa locale per un
raggruppamento di diocesi. Vi è un’oscillazione linguistica. In ogni caso, la
Chiesa locale non può essere più considerata una frazione del mistero della
Chiesa, ma essa lo realizza compiutamente. In LG 26 si afferma che la Chiesa di
Cristo esiste nelle Chiese locali in forma piena, anche se queste diocesi sono
piccole e disperse; in CD 11 si dice che la Chiesa di Cristo non è solo
presente, ma agisce nelle Chiese locali: l’essere locale è costitutivo della
Chiesa. Dimensione universale e dimensione locale sono due dimensioni
fondamentali e inscindibili della Chiesa.
Ma
perché la Chiesa locale è la realizzazione piena della croce di Cristo? Nella
Chiesa locale sono presenti tutti gli elementi costitutivi che fanno la Chiesa:
-
i
ministeri, tra cui quello episcopale;
-
porzione dei fedeli
-
azione dello Spirito
-
annuncio della Parola di Dio
-
Eucarestia.
Il
Concilio raggruppa tutti questi elementi in SC 41, dove si dice che si ha una
speciale manifestazione della Chiesa quando vi è un solo altare, una sola
preghiera, una sola Eucarestia. La Chiesa, per sua indole, si concretizza nella
Chiesa locale:
Il
Vat II chiama chiesa-locale, i singoli diocesi. A questa epressione viene
applicata anche un preciso raggruppamento di diocesi o le singole parrochia. PO
6.
Congar
chiama chiesa-locale diocesi mentre riserva l’espressione chiesa-particolare a
una realtà caratterizzata da una fisionamia più complessa che può essere la
lingua, la mentalità e quindi può comprendere più diocesi, un’intera nazione, o
continente (chiesa particolare dell’Asia...).
La chiesa locale
realizza compiutamento il mistero della chiesa.
LG
26 la chiesa di
Cristo esiste nella chiesa locale in forma piena anche se questi diocesi sono
piccoli e poveri.
Christus
dominus 11 la chiesa di cristo è veramente
presente e agisce nella chiesa locale
LG
23 nelle chiese
locale e dalle chiese locale è costituita l’unica chiesa cattolica. La chiesa
non solo esiste nelle chiese locale ma esiste apartire delle chiese locale.
Essere locale è costituitivo per la chiesa. Nella santa messa nominiamo i nomi
del papa e del vescovo per esprimere l’unione della chiesa locale e universale.
Elementi costituitivo della chiesa: l’azione dello Spirito, l’annuncio della
Parola di Dio, l’Eucaristia, i ministeri compreso il ministero episcopale, una
porzione dei fedeli. Con questi 5 elementi c’è la realizzazione piena della chiesa.
Or, la chiesa locale ha tutti questi elementi, quindi forma la chiesa. Luogo principale della manifestazione della
chiesa locale è l’Eucaristia.
L’ortodosso
Afanassiev dice
ogni chiesa locale dove si celabra l’Eucaristia realizza la chiesa allo stesso
modo come l’ostia spezzato in particolare realizza l’unico Cristo. Ogni
framento di Cristo è tutto intero, così in ogni chiesa locale si esprime tutto
il mistero della chiesa. La pienezza dell’Eucaristia, la pienezza della chiesa
locale.
Il
Valore teologico delle culture
Dire chiesa locale
si intende anche il luogo, non solo spazio fisico ma soprattutto culturale. La
presenza piena della chiesa locale a conseguenza della cultura. La visione
ecclesiale non distrugge ma valorizza le caratteristiche del luogo con cui i
cristiani accolgono la parola della convocazione cioè la cultura locale. Il
processo di inculturazione deve essere considerato come un compito. La
localizzazione implica il dovere della differenziazione, un’unità concepito in
maniera cattolica. La chiesa s’incarna nelle diverse particolarità.
L’affermazione
del particolare “chiesa particolare” non dice la parola conclusiva, perché lo
Spirito, garanzia della pienezza locale, è anche colui che spinge alla
comunione totale.
21.
Concetto di Chiesa nella LG, dire i singoli capitoli della LG
La
Costituzione dogmatica Lumen
Gentium presenta nel suo primo capitolo
una concezione misterica della chiesa.
CHIESA COME MISTERO,
La chiesa
scaturisce dal disegno del Padre, realizzato con l’opera del Figlio e dello
Spirito. La chiesa ha una natura
misterica. L’idea del mistero è coniugata con il tema
dell’origine, per dire che la Chiesa viene
da Dio e non dall’iniziativa umana. La chiesa vive di una vita che non si
da sola, ma di un dono che non proviene né dal basso né dall’alto
dell’episcopato o del papato, bensì dall’alto della Trinità. Così diceva
Cipriano che definiva la chiesa “ popolo radunato nell’unità del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo ”. Il rapporto Chiesa-Trinità richiama una
comunione di vita Trinitaria che si comunica, dando vita alla comunione
ecclesiale. Così affermava Congar usando l’immagine di un fiume che vive della
sua sorgente. Il riferimento alla Trinità
è dinamico e programmatico, specificando in una prospettiva articolata che si
coniuga attraverso una comunione singolare con il Padre, con il Figlio e con lo
Spirito Santo, che la GS 40
ripropone sintetizzando: “ la Chiesa procede dall’amore dell’eterno
Padre, è fondata nel tempo da Cristo redentore, è radunata nello Spirito”.
La visione misterica sfocia, in modo quasi naturale, nella ripresa del
linguaggio simbolico, usuale tra i padri. È il N° 6 della L.G che porta una serie di immagine attingendolo dalla Bibbia, dai
padri e dai documenti liturgici. Le immagine del lievito e del chicco di senape
indicano la piccolezza della Chiesa Cf. Mt 13, 31-33, il campo seminato con
grano e zizania indica la sua maturazione. Uno spazio a parte è dato
all’immagine della chiesa corpo
misterico di Cristo. Dalla
concezione di “SOCIETAS PERFECTA” qualificata come inaequalis
hierarchica, composta di 2 ordini di cristiani, disuguali tra loro: la
gerarchia e i fedeli , si passa a quella
cristocentrica di ‘CORPO MISTICO DI CRISTO”, corpo di Cristo nel suo capo e nelle sue membra, a formare un unico corpo di Cristo: la chiesa
formata dal magistero e la chiesa formata dai laici , unico
corpo.
Il riconoscimento
della natura misterica della chiesa non porta ad affermare che essa sia una
realtà invisibile, puramento interiore e nascota nei cuori, perché comporta
anche un’istituzione visibile.
A.
MISTERO
E ISTITUZIONE
Nella sua forma
essenziale l’istituzione comprende una serie di elementi contrassegnati dalla
stabilità, come i dogmi, i sacramenti, le norme morali, i ministeri gerarchici,
ma sul piano pratico si affermano altre realtà intermedie che intendono
disciplinare l’organizzazione della vita ecclesiale, come il codice di diritto
canonico. L’istituzione è garanzia di libertà , perché permette il
riconoscimento visibile della chiesa, ne assicura la stabilità nel tempo e
nello spazio. Essa favorisce inoltre l’indicazione dei luoghi concreti in cui
incontrare la grazia e dà al credente la
possibilità di realizzare la sua identità comunitaria. L’istituzione è concepito al servizio del mistero di comunione.
L’istituzione deve coltivare dipendenza e sottomissione.
LG 8: “ la
società gerarchicamente organizzata da una parte e il corpo mistico dall’altra,
l’aggregazione visibile e la comunità spirituale, la chiesa della terra e la
chiesa ormai in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come 2
realtà; esse costituiscono al contario un’unica realtà complessa, fatta di un
duplice elemento, umano e divino. Per una non debole analogia essa è paragonata al mistero del verbo
incarnato. Infatti come la natura umanana assunta serve al Verbo divino come
vivo organo di salvezza indissolubilemente unito alui; in modo non dissimile l’organisimo sociale della
chiesa serve allo Spirito vivificante di Cristo come mezzo per fare crescere il
corpo. Questa Chiesa, costituita e organizzata in questo mondo come società
sussiste nella chiesa cattolica, gorvenata dal successore di Pietro e dai
vescovi che sono in comunione con lui”.
B.
SACRAMENTO
DI SALVEZZA
Un’altra
funzione della nozione di mistero è l’orientamento soteriologico, precisando il
perché della presenza della chiesa nel mondo. Sacramento di salvezza vuol dire
come scritto nell proemio della LG: “ la chiesa è in Cristo come sacramento o
segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere
umano”. Il concilio sceglie le immagini
della “Gerusalemme celeste” “Madre” “Sposa immacolata dell’agnello immacolato” “Corpo di Cristo” “Popolo di
Dio” e poi la definizione che forse riesce a inglobare un po’ tutto e a
unificarlo: CHIESA -COMUNIONE
che parla di una realtà
PLURIARTICOLATA di tanti elementi fatti
per comporsi in unità, senza escludersi, e dar vita così a una realtà
ricchissima. Il
modello sacramentale dice l’importanza della chiesa, ciò che la rende
mediatrice della salvezza, ma anche il suo impegno perché non identificandosi
con la salvezza, essa è chiamata a servirla sul piano del segno eda ogni segno
si chiede la trasparenza.
Il secondo
capitolo approfondice in termini biblici il tema del POPOLO DI DIO: La chiesa è POPOLO di DIO
Il tema della Chiesa come popolo
di Dio costituisce un’unità col capitolo precedente sulla Chiesa come mistero.
Il popolo
richiama le coordinate storico-antropologiche del mistero ecclesiale,
assumendole a partire da un significato comunitario. Nel primitivo schema
conciliare “Philips” il titolo di popolo di Dio non è ancora presente; compare
al 3 posto, in tutt’uno con il tema dei laici, il 30 nov 1963. Dopo dibattiti,
in cui si cercò di chiarire che anche i pastori erano nel popolo di Dio, si
decide, su proposta del card. FRINGS, di investire l’ordine fra il secondo
cap.(dedicato alla gerarchia) e il terzo (identificato con i laici), facendo
intuire che “ per popolo non si intendeva affatto il gregge dei fedeli affidati ai
pastori, ma l’intera comunità alla quale appartengono capi e laici”.
Questa operazione è stata seganalata come la rivoluzione copernica
dell’ecclesiologia conciliare, perché declericalizza il concetto, portando a ritenere che tutti sono
chiesa su un piano di uguaglianza ontologica derivante dal battesimo.
Prima di ogni distinzione, l’esistenza in Dio nella chiesa è comunione, essa va
vista come un corpo di cristianis.
Così dice la LG: “ Unico quindi è il popolo eletto di Dio: “un solo Signore,
una sola fede, un solo battesimo » (Ef 4,5); comune è la dignità dei membri in
forza della loro rigenerazione in Cristo, comune è la grazia di essere figli ,
comune è la vocazione alla perfezione; non c'è che una sola salvezza, una sola
speranza e una carità senza divisioni. Quindi in Cristo e nella Chiesa nessuna
ineguaglianza. Anche se per volontà
divina alcuni sono costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori a
vantaggio degli altri, fra tutti vige però vera uguaglianza quanto alla dignità
e all’azione nell’edificare il corpo di Cristo che è comune a tutti quanti i
fedeli”. Non vale più lo schema cristomonista- esclusiva: Cristo-clero-comunità ma bensì quello
pneumatologico-comunitaria: Cristo/Spirito-
comunità-ministeri-carismi. Una diretta conseguenza del principio di
uguaglianza è l’applicazione a tutti i batezzati del triplex munus, sacerdotale, profetico e regale. L’universalità del
popolo non misconosce gli specifici patrimoni culturali; la corresponsabilità
non appiattisce la ministerialità. Unaltro elemento di comprensione che
scaturisce dalla categoria popolo di Dio è l’universalità. La chiesa esula da
ogni cnfine di nazione, razza, genere o lingua. La chiesa è popolo di Dio.
Infatti, il genitivo “di” Dio richiama l’elemento caratterizzante dell’origine
dall’alto e che ha per soggetto prevalmente il Padre, colui dal quale tutto
proviene. E ciò dice la cattolicità della chiesa. Se infatti la chiesa è il
popolo di Dio, allora deve sentire suoi anche i problemi, le preocupazionei e
gli interessei socilai e culturali di quel popolo in cui si inserisce e degli
altri popoli con cui entra in contatto. Ecco l’appertura all’ecumenismo, al
dialogo interreligioso, alla solideriatà.
Struttura della LG
CAPITOLO I: Il mistero della Chiesa
CAPITOLO II: Il popolo di Dio
CAPITOLO III: Costituzione gerarchica della Chiesa e in particolare dell’episcopato
CAPITOLO IV: I Laici
CAPITOLO V: Universale vocazione alla santità nella chiesa
CAPITOLO VI: I religiosi
CAPITOLO VII: Indole escatologica della Chiesa peregrinante e sua unione con la Chiesa
celeste
CAPITOLO VIII: La Beata Maria Vergine Madre di Dio nel mistero di Cristo e della
Chiesa
22.
Le azioni della Chiesa
Ognuno
di questi elementi è nell’altro e ciascuno si comprende alla luce dell’altro.
Questi quattro attributi sono legati inseparabilmente
tra di loro, indicano tratti essenziali della Chiesa e della sua missione.
1.
Una
L’unità
esprime un bene fondamentale della Chiesa e non a caso occupa il primo posto
nell’elenco del gruppo simbolico. La sua importanza è ampiamente documentata
dal dato scritturistico e dalle riflessioni dei padri di cui si possono citare tanti scritti, a partire dal
primo abbozzo di ecclesiologia che Cipriano dedicò proprio al De unitate Ecclesiae. Il modo di
intendere questa proprietà è però mutato nel tempo anche se le sue due accezioni essenziali sono rimaste
inalterate: una nel senso che esiste una sola Chiesa e una nel senso unitivo
dei legami interni. Entrambi gli aspetti sono sottolineati in questo
passaggio di Lumen gentium 13:
«Perciò questo popolo, pur
restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli,
affinché si adempia l’intenzione della volontà di Dio, il quale in principio
creò la natura umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli
dispersi».
1.1.
Fondamento biblico.
Si deve rimarcare l’interpretazione della salvezza di Gesù nei termini
pregnanti della riconciliazione, Gesù è
venuto «per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,52); ad abbattere il muro della
separazione, eliminare l’inimicizia (Ef 2,13-22) e riappacificare tutte le
cose, «sia quelle che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col
1,19-20). L’unità è pure il dono ultimo che Gesù chiede al Padre per i suoi
discepoli e anche la sua ultima consegna: «Non prego solo per questi, ma anche
per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una
sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi,... (Gv
17,20-23).
Consapevole di questo lascito, la comunità nascente
degli Atti si presenta alla storia unita nella comunione e nell’amore
vicendevole: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un
cuore solo e un’anima sola» (4,32). Guidata
dallo Spirito della pentecoste essa diffonde nel mondo gli effetti salutari
della redenzione di Cristo, compiendo due passi importanti: unire nel rispetto
della diversità e diffondere il Vangelo a tutti i popoli. Di qui deriva lo stretto legame tra l’unità e la
cattolicità: l’unità non esclude che ogni popolo comprenda nella “propria”
lingua senza preclusione di razza o di condizione sociale (è dunque un’unità
cattolica) ma impedisce la confusione o la frammentazione (è dunque una cattolicità
che rispetta l’unità).
Un celebre testo paolino dà le ragioni teologiche di
questa unità ecclesiale:
«Un solo
corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati
chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un
solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera
per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,4-6).
1.2.
Riflessione teologica. Consideriamo
tre approfondimenti: il fondamento trinitario, la questione dei vincula unitatis, la nozione della communio sanctorum.
1) Il
fondamento trinitario. La Trinità costituisce modello e fonte dell’unità
della Chiesa: modello perché ciascuna persona divina è relativa alle altre
e insieme esprimono l’unità; fonte perché la Chiesa è per sua natura estensione
della vita trinitaria nel mondo, secondo l’espressione di Cipriano di «popolo
radunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (de unitate Patris et Filii et Spiritus
Sancti plebs adunata)». La Chiesa
attinge quindi la propria unità non dagli uomini (che spesso registrano
piuttosto i propri fallimenti al riguardo) ma dall’uni-trinità divina. Essa è
una perché Dio è uno.
2)
I tre vincula. La questione
dell’unità della Chiesa si è resa spinosa soprattutto dopo la divisione del XVI
secolo che ha visto i cattolici assestarsi sugli elementi fondamentali
dell’istituzione, e i protestanti su quelli più spirituali. Si è così giunti
quasi a opporre due Chiese, quella della societas
exteriorum e quella della societas in
cordibus. Il Vaticano II sostiene che la Chiesa non è mai l’una o l’altra
cosa, ma un’unica realtà complessa (complexa
realitas) che comprende entrambi gli aspetti (LG 8). L’unità della Chiesa non comporta perciò solo principi divini e
interiori, ma si esprime in vincoli strutturali che il concilio riassume
rirendendo la triade tradizionale: medesima fede, stessi sacramenti, stesso
governo ministeriale (LG 13; UR 2; OE 2).
- L’unità di fede porta a
riconoscere un solo Vangelo, quello di Cristo (Gal 1,6) e, di conseguenza, a
professare un medesimo credo.
- L’unità nel culto che si
esprime soprattutto attraverso la celebrazione dei sacramenti, con formulari,
canoni e riti che dicano la comunione della preghiera, pur nel rispetto della
legittima loro varietà.
- Al servizio dell’unità il Nuovo
Testamento presenta un’organizzazione ministeriale con compiti pastorali e
funzioni specifiche di vigilanza e di responsabilità dell’unità ecclesiale (Ef
4,13-16).
3) La communio sanctorum. L’idea di communio
sanctorum cioè comunione dei santi (comunione
di coloro che sono santificato da Gesù) è così importante da aver ricevuto
un posto a parte nell’elenco del credo. Servendoci del concetto di
comunicazione si può vederla come una
modalità particolare della prima proprietà. L’unità sull’unico Bene fonda tra i
membri della Chiesa una reale comunicazione per cui uno può agire sull’altro.
Non si parla solo dei membri attuali ma anche di coloro che sono defunti o che
sono venerati come santi. La vita ecclesiale è come quella dei vasi
comunicanti, tutti i membri vivono congiunti gli uni agli altri, al punto da
essere gli uni negli altri in una forma di pericoresi ecclesiologica.
Due contrari
dell’unità sono l’uniformità e l’eresia.
La prima costituisce un equivoco perché riduce l’unità a un unico registro,
senza dare il giusto spazio alla diversità.
Tre
lacerazioni singolari e ampiamente studiate in questo ambito sono l’eresia,
l’apostasia e lo scisma, che il Diritto canonico considera in questa sintetica
definizione: «Viene detta eresia, l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il
battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e
cattolica, o il dubbio ostinato su di essa; apostasia, il ripudio totale della
fede cristiana; scisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice e
della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti» (can 751).
e) L’unità
sociale. Che contiene un messaggio
sociale che si ritrova ad esempio nel comandamento di amare il prossimo, tanto
che «se uno dicesse: “io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore»
(1Gv 4,20).
La concezione di unità nella
Chiesa primitiva si estendeva anche alla
solidarietà nei beni materiali.
3) L’impegno della missione. Per raggiungere e vivere un’autentica
unità è necessario educare le coscienze.
In un momento storico come l’attuale, in cui un esasperato individualismo spinge
a rinchiudersi in interessi privati, la comunità cristiana è chiamata a promuovere
una cultura di comunione.
2.
Cattolica
L’aver posto questa
proprietà in stretta relazione con la precedente ci porta a considerarla al
secondo posto. Nella storia della teologia la cattolicità (dal greco kath'olou =
ordinato al tutto), ha conosciuto due
significati di fondo: quantitativo e qualitativo. Il primo (chiamato anche
geografico) identifica la cattolicità con l’estensione della Chiesa super omnem terram, senza limiti di
razza, nazionalità o condizione sociale; il secondo fa riferimento alle
ricchezze particolari di questi uomini e popoli che vengono assunte con
l’adesione al Vangelo, differenze che possono essere di ordine culturale,
teologico, liturgico.
2.1.
Breve indagine storica.
Il Nuovo Testamento non conosce l’aggettivo katholikos,
tra i Padri, il primo è Ignazio di
Antiochia (+110c) che lo riporta nella lettera agli Smirnesi, senza spiegarlo:
«Là dove c’è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica (ubi fuerit Christus Jesu, ibi catholica
Ecclesia». Nel Martirio di san
Policarpo lo si trova più volte, attribuito alla Chiesa universale e
locale, il martire Policarpo si presenta come «vescovo della Chiesa cattolica
di Smirne». Il Vaticano II usa il termine in tutti e
due i sensi richiamati, entrambi presenti nel n. 13 della Lumen gentium
scrive:
- «L’unico popolo di Dio è presente
in tutte le nazioni della terra, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende
i suoi cittadini, cittadini di un Regno che per sua natura non è della terra,
ma del cielo. E infatti tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione
con gli altri nello Spirito santo, e così “chi sta in Roma sa che gli indi sono
sue membra”»,
- «La Chiesa nulla
sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e
accoglie tutte le risorse, le ricchezze, le consuetudini del popoli, nella
misura in cui sono buone, e accogliendole le purifica, le consolida e la
eleva».
2.2. Cattolicità e missione. La nozione della cattolicità è strettamente
collegata a quella di missione, in quanto spinge a dilatare la Chiesa ai
confini del mondo. Essa è dunque una delle ragioni dell’attività missionaria.
Saper convivere nella diversità. Gli africani, restando nella comunione
universale della Chiesa di Cristo, hanno il dovere di costruire una Chiesa
africana, e così via sudamericani. Questo dice la citazione di Ignazio di Antiochia:
«Lì dove è Cristo, ivi è la Chiesa cattolica». La prima cattolicità è quella
di vivere nella pienezza del Cristo.
La nozione di cattolicità autorizza
quindi il pluralismo, aprendo alla
Chiesa un’ampia possibilità di forme che riguardano ambiti come i costumi, le
leggi, le tradizioni, ma anche una «diversa enunciazione teologica delle
dottrine» (Unitatis redintegratio 17:
EV 1/553). La cattolicità non è una
realtà monocolore, dove tutti vivono o agiscono allo stesso modo, ma un corpo
diversificato che ricava la sua ricchezza dalla capacità di non escludere
nessuna persona. Ma poiché, come si è
accennato, questa proprietà è strettamente correlata a quella dell’unità,
occorre fare il modo che il legittimo pluralismo non degradi al livello di un
pluralismo selvaggio: senza la cattolicità l’unità declassa al livello
dell’uniformità e senza l’unità la cattolicità si trasforma in un pluralismo
privo di identità. Riferendosi al rapporto tra Chiese locali e Chiesa universale,
J. Ratzinger scrive:
«Con questa parola [cattolicità] si allude all’unità
della Chiesa in un duplice senso. Innanzitutto, ci si riferisce all’unità di
luogo: solamente la comunità unita al vescovo è Chiesa cattolica,
non i gruppi parziali che, per qualsiasi motivo, se ne sono staccati. In
secondo luogo, è qui richiamata l’unità delle Chiese locali fra loro, le
quali non possono rinchiudersi in se stesse, ma possono rimanere Chiesa solo
mantenendosi aperte l’una verso l’altra, formando un’unica Chiesa nella comune
testimonianza della Parola e nella comunione della mensa eucaristica, che
è aperta a tutti in ogni luogo...».
Ciò non esclude che
vi siano tensioni e conflitti, inevitabili in un corpo che cresce per giungere
la pieno compimento.
2.3.
Cattolicità e opzione per i poveri.
Anche qui è possibile ricavare un’applicazione che porta la cattolicità verso
un’attenzione specifica alla diversità oppressa. Seguendo l'esempio di Cristo,
la chiesa deve accettare di porsi in difesa di quei “diversi” che sono oggetto
di discriminazione e privati di dignità. Si può dunque affermare che la Chiesa
è cattolica anche nella misura in cui riconosce l'amore di Dio che vuole la
redenzione degli oppressi.
3.
Santa
Un’attributo ricco di
contenuti. È Cristo, che purifica la
Chiesa incessantemente «al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta
gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata»
(Ef 5,27). È anche l’attributo più problematico per la contro testimonianza di
molti credenti.
3.1. Riflessione antropologica. La
ricerca della santità ha un aspetto universale. Essa nasce dalla spinta umana
verso l’ideale, dall’esigenza che ogni uomo ha di superare i propri limiti,. La
società ha favorito tale orientamento, organizzando una disciplina del sacro;
equipaggiandosi di particolari insegnamenti; proponendo figure significative in
grado di fare da modello; venerandole dopo la morte con un culto che crede nel
loro benefico influsso sull’avanzamento morale del popolo. Il mondo greco-romano
aveva gli heroes, le cui gesta sono
narrate in un misto di storia e di mito. Nelle religioni più sviluppate,
l’islam presenta una forte accentuazione teologica del titolo di Santo che
attribuisce solo a Dio, il quddush, il “santissimo” (Corano 59,23).
3.2.
Riflessione biblica.
Per l’Antico Testamento è quasi un dogma attribuire il titolo di “santo” solo a
Dio. Con esso s’intende indicare la sua trascendenza, la sua perfezione morale
e il fatto che egli è degno della lode e dell’ammirazione degli uomini. L’elezione
fa di Isreale l’am segullah, che partecipa alla dignità del Qadosh.
È quindi innanzitutto una santità-di-appartenenza che diventa però fondamento
di una chiamata alla santità-vissuta: «Siate santi perché io sono santo» (Lev
11,45).
Per
il cristianesimo, prima di essere un impegno, la santità è un dono della
partecipazione al mistero personale del Cristo, «chiamato santo e figlio di
Dio» (Lc 1,35). Lo scopo
dell’elemento rituale (i sacramenti) è di realizzare il contatto-incontro con
Cristo, ma se il battesimo santifica per Paolo è perché produce una unione
personale con il Cristo
(Rom 6,3-11).
3.3.
Riflessione teologica.
Nella Expositio in symbolum apostolorum,
Tommaso segue il paragone della consacrazione del tempio per dire che i
cristiani sono santificati nella Chiesa in più modi: per il sacrificio del
Cristo, per la purificazione del battesimo, per l’unzione dello Spirito, per
l’inabitazione divina, avvertendo però che si tratta pure di un dono
minacciato, per cui i cristiani devono stare «attenti a non offuscare lo
splendore di questo tempio di Dio
1) Il fondamento trinitario. Parlare di
fondamento trinitario significa spiegare il motivo principale della santità
della Chiesa. La Chiesa è santa per appartenenza e per partecipazione, con
motivi che vanno cercati nella sua relazione con la Trinità. È lo Spirito che trasforma la communio peccatorum in communio sanctorum.
2) La natura. Un modo tradizionale di
studiare la santità della Chiesa segue la duplice tipologia sopra richiamata:
la santità oggettiva (detta anche ontologica) riguarda gli elementi formali che
costituiscono la via della grazia e cioè la Parola, i sacramenti e la carità;
la santità soggettiva riguarda i membri chiamati alla santità. La dimensione
oggettiva non può mai venire meno nonostante l’imperfezione dei membri, è
ciò che fa dire alla
Lumen gentium: «Noi crediamo che la
Chiesa è indefettibilmente santa» (n. 39). L’avverbio non elimina la
possibilità di attribuire alla Chiesa errori, peccati e limiti, bensì esprime
la permanenza di un legame con Dio che si fonda sulla promessa del Cristo: «Io
sarò con voi sino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
Scrive
J. Ratzinger:
«L’aggettivo
santo [...] non intende in primo luogo la santità delle persone umane,
ma si riferisce al dono divino, al dono della santità umana. Nel simbolo la
Chiesa viene chiamata santa non perché i suoi membri siano, insieme
e singolarmente santi, uomini senza peccato.
3)
Il problema del rapporto tra santità e
peccato. La questione che più ha tormentato gli ecclesiologi è quella del
rapporto tra santità e peccato, giusti e peccatori. Il rischio è quello di
un’aporia: se la Chiesa è “santa” non si vede come i peccatori possano
appartenerle ed essere detti suoi membri; se è pure “peccatrice” non si vede
come possa essere detta pure “santa”, in quanto santità e peccato non possono
coesistere senza annullarsi reciprocamente; se infine si riconosce che nella
Chiesa c’è il peccato non si vede come questo non abbia una qualche influenza sulla
sua esistenza. Sono tre problemi cui accenniamo separatamente.
-
Per il primo problema si sono date diverse soluzioni che hanno visto opporsi,
lungo tutta la storia della Chiesa, i puristi (che limitano l’appartenenza solo
ai buoni e ai virtuosi) e gli accondiscendenti (contrari all’idea di una Chiesa
di soli santi). Rigoristi furono i montanisti, i novaziani, i donatisti, i
catari, gli ussiti, i giansenisti, tutti comprensibilmente preoccupati di una
Chiesa fedele a se stessa, giungendo però a soluzione scissionista. Tra i padri
prevale la seconda posizione, più attenta alla misericordia. Un esempio è dato
dalla controversia coi donatisti, che escludevano dalla Chiesa i traditores, cioè quei cristiani che
avevano “consegnato” ai pagani i libri sacri e che dichiaravano invalidi i
sacramenti dei loro ministri. Ottato di Milevi scrive contro di loro,
rimandando a Dio il giudizio:
«Non
è peccatore colui che voi presumete sia tale. Se così fosse, anche noi potremmo
imitare la vostra presunzione e dichiararvi peccatori. Ma si rinunzi una volta
tanto a questa presunzione da una parte e dall’altra: nessuno di noi deve
condannare un altro con un giudizio prettamente umano. È proprio solamente di
Dio conoscere chi è colpevole, e appartiene a lui emettere una sentenza di
condanna. Noi tutti, perché uomini, teniamoci in silenzio: Dio solo deve
giudicare quel peccatore».
L’autore
difende l’aspetto oggettivo più che soggettivo, sostenendo che la Chiesa è
santa non tanto nei suoi membri, che sono sempre in cammino verso la
perfezione, ma per la presenza dello Spirito Santo, i sacramenti, i ministeri,
i beni ecclesiali come quello dell’unità con il vescovo di Roma.
La santità della Chiesa va quindi considerata in un’attribuzione
dialettica che comprende il bisogno di una continua purificazione.
Il n. 8 della Lumen gentium parla di «Chiesa santa insieme e sempre
bisognosa di purificazione (sancta simul
et semper purificanda), (che) incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento».
-
Riguardo alla questione se la presenza del peccato nella Chiesa possa portare a
usare l’espressione di “Chiesa peccatrice”, i pareri sono discordi. È
favorevole a questo lessico H. Küng, ritenendo che, in quanto assemblea di uomini, la Chiesa porta il peccato
dentro di sé, nella sua stessa definizione, è in comunione con Dio ma anche distante
da lui e dunque santa e peccatrice al tempo stesso, mentre Karl Rahner
preferisce l’espressione “Chiesa di peccatori”:
«La
Chiesa è la comunità degli uomini peccatori. In quanto comunità di uomini
peccatori redenta e ordinata da Cristo e quindi
frutto della salvezza, essa è anche lo strumento salvifico mediante il
quale Dio opera la salvezza dei singoli ».
Il
Vaticano II, pur richiamando più volte la necessità della purificazione, non
usa mai l’espressione “Chiesa peccatrice”. Dobbiamo perciò ritenere che:
«Il
suo essere composta da peccatori non è la caratteristica essenziale come lo è
la santità, perciò si può parlare di “una Chiesa di peccatori”, ma non di una
“Chiesa peccatrice” (sarebbe come identificare la Chiesa fin dal principio con
le sue membra peccatrici, dimenticando che il capo e i mezzi della grazia nella
Chiesa non sono peccatori)» (L. Scheffczyk).
3.4. La chiamata universale alla
santità. La santità oggettiva ed ontologica deve
accompagnarsi alla santità soggettiva ed esistenziale passando, come fa Paolo
nella teologia battesimale di Rom 6,3-11, dall’indicativo all’imperativo.
Credere in una Chiesa santa implica una
chiamata a percorrere la strada della santità, che altro non è se non è la
fedeltà al proprio battesimo. «La volontà
di Dio è questa: che vi santifichiate» (1Ts 4,3). Questo è il tema del
capitolo V della Lumen gentium che
gli conferisce una dimensione universale, sostenendo che è una meta comune a
tutti: «È dunque evidente che tutti i
fedeli cristiani, di qualsiasi stato o ordine, sono chiamati alla pienezza
della vita cristiana e alla perfezione della carità e che tale santità promuove
un tenore di vita più umano anche nella stessa società terrena» (n. 40: EV 1/389).
4.
Apostolica
Con il termine apostolicità, in
senso stretto, si intende il primato assoluto degli apostoli per la Chiesa di
ogni tempo e luogo, un primato qualitativo e causale, «in quanto la Chiesa ha
in essi la propria origine: con gli apostoli la Chiesa esiste; invero Cristo
l’ha istituita essenzialmente sui Dodici e la loro missione, con i poteri di
ministero che comporta, basta a costituire in modo fondamentale la missione
apostolica della Chiesa» (Congar).
4.1.Tre
tipologie: apostolicità di origine, di fede e di successione nel ministero. La prima (anche chiamata
apostolicità di fondazione) pone l’origine della Chiesa nella missione degli
apostoli, con ovvio riferimento al Cristo che sta alla base della loro
elezione; la seconda intende sottolineare la fedeltà e la continuità della
Chiesa alla dottrina degli apostoli e dei padri, non solo nei contenuti della
fede, ma anche nelle tradizioni e nei riti; la terza sostiene l’idea che il
mandato conferito agli apostoli succede in alcuni successori che sono i
vescovi, con particolare riferimento al papa, la cui validità legittima della
successione era particolarmente evidente.
4.2.
Apostolicità e romanità. Al
centro della comunione visibile delle Chiese e come loro punto di riferimento
si colloca il ministero universale del Vescovo di Roma, successore di Pietro.
Suo compito essenziale è di «presiedere nella carità alla comunione delle
Chiese».
Il Vaticano II ha riaffermato il
primato giuridico del Romano Pontefice (LG 22b), collocandolo nel contesto
dell’intera Chiesa e del collegio episcopale, unito al suo capo, «pure soggetto
di suprema e piena potestà su tutta la Chiesa». Se quindi al Romano Pontefice
viene attribuita «tutta la pienezza di questa suprema potestà», come dice la Pastor aeternus (DS 2064), essa non
toglie nulla alla “pienezza” che appartiene anche al corpo episcopale. Il papa
possiede questa pienezza a titolo personale, mentre il corpo episcopale la
possiede collegialmente, unito sotto l’autorità del Papa.
4.3.
La storicità dell’apostolicità.
L’apostolicità esprime un dono e un compito: il dono è quello della durata
contenuta nella promessa di Gesù che la Chiesa rimarrà nel tempo e che le forze
del male non potranno distruggerla (Mt 16,18); il compito è di conservare
fedelmente l’identità ricevuta. Gli apostoli sono perciò quella realtà cui la
Chiesa deve sempre far riferimento nel cammino della storia. La continuità è
dettata dalla fedeltà. Ciò non spinge univocamente all’indietro, perché gli
Apostoli sono anche coloro che circonderanno la seconda venuta del Figlio
dell’uomo e ne proclameranno la signoria (Mt 19,28).
Questa proprietà non spinge
quindi solo verso il passato, ma apre alla contemporaneità e al futuro. Il
riferimento alla passato va vissuto attraverso una tensione aperta, perché lo
Spirito non ha cessato di assistere la Sposa. L’apostolicità impedisce la creazione di una Chiesa nuova, slegata
dalle sue radici ma si oppone pure alla creazione di una Chiesa imprigionata in
un punto preciso del tempo. Il nucleo originario, che è oggetto della traditio, non è un puro ricordo, ma
qualcosa che esige di essere incarnato di volta in volta in situazioni nuove,
tempi e uomini diversi.
4.4. Tutta la Chiesa è apostolica. Nel credo diciamo che “la” Chiesa è
apostolica, non solo la gerarchia o alcuni membri, quindi tutto il popolo di
Dio è responsabile della fedeltà alla testimonianza degli apostoli. La funzione
episcopale non è al di fuori del popolo di Dio, ma all’interno con il compito
specifico di garantire e tutelare tale apostolicità. In altri termini si può
dire: non è l’apostolicità che è in funzione dell’episcopato, ma è
l’episcopato che è in funzione dell’apostolicità.
Lo stesso rapporto funzionale si
realizza nel rapporto tra apostolicità di ministero e apostolicità dottrina:
non è la prima che regola la seconda ma sono i vescovi che devono regolare il
loro ministero sottomettendosi alla fede della Chiesa (simbolo della cattedra).
Ne deriva che il rispetto e l’obbedienza che si devono al ministero episcopale
non conducano a un credito incondizionato.
23.
Rapporto Chiesa-Regno
LA META E IL REGNO
(tesi ecclesiolica: dimensione escatologica)
Il rapporto tra il
presente e il futuro. È Oscar Cullmann che ce lo dice in modo genuino.
Inserisce l’idea di un escatologia a 2 tempi: il “gia” del Cristo venuto e il “non ancora” del Cristo atteso con la
parusia. La dimensione escatoligica della chiesa è esperanza, fiducia
dell’attesa di un compimento. Già nel battesimo siamo costituiti figli di Dio
ma non lo siamo ancora nella sua pienezza, nell’Eucaristia siamo già in
comunione con Cristo Signore ma non ancora nella piena comunione. Dunque una
struttura bi-polare del Regno, dove il presente non assorbe tutto il futuro e
dove il futuro non esclude il riferimento al presente. Tutta l’ecclesiologia può essere esposta e ordinata in questo
quadrilatero: regno di Dio=Chiesa di Cristo=Chiesa cattolica romana=corpo
mistico di Cristo in terra. Nel primo schema della LG “Philips” mancava
ogni riferimento sull’impostazione escatologica. La posizione del concilio vat
II sul rapporto Chiesa-Regno consiste nel superare l’idea di assimilazione,
sostenendo che “il fine della chiesa è il regno e che essa avrà pieno compimento
soltanto nella gloria del cielo, quando sarà giunto il tempo del rinnovamento
di tutte le cose”LG 9. Il Regno costituisce la meta, la tappa ultima,
il punto definitivo dell’approdo, che dà
al cammino di mezzo un carattere di esodo, in rifferimento all’identità
ma anche allamissione salvifica, che non può essere raggiunta pienamente se non
nel mondo futuro.
Secondo
il Concilio, Chiesa e Regno di Dio non si identificano: il fine della Chiesa è
il regno di Dio (LG 9), la Chiesa avrà compimento nel Regno di Dio. Conseguenza
di questa distinzione (non dissociazione) è:
-
il
fatto che la Chiesa non è ancora perfetta;
-
la
dinamica del provvisorio: ciò che conta è unicamente Cristo;
-
l’urgenza
della conversione: se il Regno di Dio fosse venuto, non ci sarebbe bisogno di
conversione;
-
l’urgenza
della penitenza;
-
solo
in questa prospettiva si può ammettere la dimensione della riforma della Chiesa: non essendo già perfetta, la Chiesa può
essere riformata.
Nel contesto di
questa riflessione, la costituzione ecclesiologica compie la significativa operazione di sostituire l’antica
espressione della chiesa militante con quella di chiesa peregrinante, figura
già presente nel capitolo sul popolo di Dio.
l’aggettivo
“militante” rimandava ad una dimensione in cui la Chiesa doveva combattere per
difendere il “castello” già proprio. La dimensione del pellegrinaggio è invece
molto bella: il pellegrinaggio esprime la fisionomia dell’uomo caratterizzato
dalla storicità, il pellegrino non grida vittoria finché non vede Gerusalemme e
piange di gioia.
Ecco
allora che trova luogo la speranza per la Chiesa, la speranza del fatto che la
Chiesa giunga a compimento. Anche LG 8 parla di questa dimensione del
pellegrinare: la Chiesa agisce nella storia sotto l’ombra di segni, così come
il suo Signore; anche qui è utilizzato il meccanismo della analogia. La
condizione di Chiesa pellegrinante spiega anche l’incapacità della Chiesa di
poter trasmettere direttamente la vita divina: di qui la necessità che la
Chiesa abbia bisogno un’istituzione, della Bibbia, dei sacramenti, dei
ministeri, etc.
La differenza tra
chiesa e regno di Dio non dice estraneità o dissociazione. La posizione del
concilio si muove tra il già ecclesiologico, per cui di questo regno (la
Chiesa) costituisce in terra il germe e l’inizio, e il non ancora di un
rapporto incoativo. La chiesa non è (est) il Regno, ma sua anticipazione e
iniziale realizzazione.
NB:
La natura misterica della chiesa, la chiesa popolo di Dio, la chiamata alla
santità è l’essenza comune che riguarda tutti nella chiesa senza diistinzione.
Mariologia
24.
Passi biblici e capitolo 8 della LG
Passi
biblici
Partiamo dai quadri biblici.
Passiamo in rassegna i principali testi
mariani contenuti nella Scrittura. Partiamo da Gal 4,4, che è il testo più
antico: il contesto è qui cristologico (ogni volta che parliamo di Maria non
bisogna perdere il riferimento cristologico: Cristo è sempre il centro della
fede). All’interno del progetto di salvezza prospettato dalla Scrittura occupa
un posto centrale: perciò la presentazione del mistero di Maria è fondamentale
per la stessa presentazione dello stesso mistero di Cristo, non però come
centro parallelo. Secondo Paolo, l’incarnazione di Cristo rappresenta il
compimento dei tempi della salvezza: mentre argomenta su questo, egli fa anche
riferimento a Maria nella professione di fede dell’incarnazione di Cristo.
Passiamo a Mc, che ha riferimenti scarni a
Maria, anzi quasi controproducenti, in quanto egli allude spesso a contrasti
fra Gesù e la sua famiglia, all’interno della quale fa riferimento anche alla
madre di Gesù. Si possono scorgere 2 letture: 1) vedere anche in Maria una
crescita nella fede; 2) dimostrare come la parentela carnale non sia un tratto
sufficiente a definire la comunità di Gesù, definita invece la fede. Maria in
tal senso diviene l’icona del perfetto discepolo. In Mc 6, Maria è presentata
Maria in posizione solitaria (probabilmente si può dedurre che Giuseppe era già
morto); inoltre il termine “fratello” si riferisce ai parenti più allargati di
Gesù.
In Mt abbiamo Maria soprattutto nei vangeli
dell’infanzia. Nella genealogia si afferma che Cristo è nato da Maria (e non da
Giuseppe); inoltre, a differenza di Lc, Mt inserisce 4 donne nella genealogia.
Circa la presenza di queste 4 donne, si può dire: Mt inserisce 4 donne
peccatrici (Gesù salva i peccatori), 3 donne non sono israelite (Gesù è venuto
anche per i non israeliti); inoltre, come ha messo in evidenza Paul, queste 4
donne hanno generato in una maniera particolare (riferimento alla generazione
particolare di Gesù da parte di Maria). Nei versetti successivi Mt insiste
particolarmente sulla concezione verginale di Maria.
In Lc Maria assume la dignità di un tema
teologico. Nei vangelo dell’infanzia di Lc troviamo affermata fortemente la
concezione verginale. Nell’annunciazione la concezione verginale di Maria serve
a presentare l’origine divina di Gesù; tutta la persona di Maria viene
riconosciuta come “piena di grazia”, anche prima della concezione verginale.
Tutto l’episodio ci mostra Maria come vergine dell’ascolto (nonostante essa sia
turbata): dopo aver ascoltato, Maria entra in dialogo. Molto bello è il Magnificat, che sintetizza la storia
della salvezza. In Lc molto importanti sono i passi in cui ci si riferisce alla
croce: questo già in Lc 2, con le parole di Simeone. Due perle lucane: Maria
donna dell’ascolto in Lc (Maria serba tutte le cose nel suo cuore): si utilizza
il termine symballein, che si
riferisce ad una sorta di “sguardo d’insieme” che Maria ha su tutto.
Gv è l’evangelista che più degli altri mostra
il rapporto tra Maria e la Chiesa. Il miracolo di Cana è miracolo messianico:
l’acqua che Gesù trasforma è la situazione che Gesù è venuto a trasformare. Il
vino di Gesù non è solo abbondante, ma buono. Maria si fa carico della
sofferenza e dei bisogni del mondo. Cristo rimane la fonte dei beni messianici.
Gv ci presenta poi Maria ai piedi della croce: mentre i discepoli fuggono,
Maria-la Chiesa sta presso la croce. Con Gv la mariologia confluisce
nell’ecclesiologia e l’ecclesiologia confluisce nella mariologia: negli scritti
giovannei Maria è sempre immagine della Chiesa (cfr. anche Ap). La Chiesa ha
raggiunto in Maria la perfezione del Regno, dove sarà senza macchia e senza
ruga.
CAPITOLO VIII
LA BEATA MARIA VERGINE MADRE DI DIO
NEL MISTERO DI CRISTO E DELLA CHIESA
NEL MISTERO DI CRISTO E DELLA CHIESA
Maria e la Chiesa
53. Infatti Maria vergine, la quale all'annunzio dell'angelo accolse nel
cuore e nel corpo il Verbo di Dio e portò la vita al mondo, è riconosciuta e
onorata come vera madre di Dio e Redentore. Redenta in modo eminente in vista
dei meriti del Figlio suo e a lui unita da uno stretto e indissolubile vincolo,
è insignita del sommo ufficio e dignità di madre del Figlio di Dio, ed è perciò
figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo; per il quale dono di
grazia eccezionale precede di gran lunga tutte le altre creature, celesti e
terrestri.
L'intenzione del Concilio
54. Perciò il santo Concilio, mentre espone la dottrina riguardante la
Chiesa, nella quale il divino Redentore opera la salvezza, intende illustrare
attentamente da una parte, la funzione della beata Vergine nel mistero del
Verbo incarnato e del corpo mistico, dall'altra i doveri degli uomini, e i
doveri dei credenti in primo luogo.
II. Funzione della beata Vergine nell'economia della salvezza
La madre del Messia nell'Antico Testamento
55. I libri del Vecchio e Nuovo Testamento e la veneranda tradizione
mostrano in modo sempre più chiaro la funzione della madre del Salvatore nella
economia della salvezza e la propongono per così dire alla nostra
contemplazione. I libri del Vecchio Testamento descrivono la storia della
salvezza, nella quale lentamente viene preparandosi la venuta di Cristo nel
mondo. Questi documenti primitivi, come sono letti nella Chiesa e sono capiti
alla luce dell'ulteriore e piena rivelazione, passo passo mettono sempre più
chiaramente in luce la figura di una donna: la madre del Redentore. Sotto
questa luce essa viene già profeticamente adombrata nella promessa, fatta ai
progenitori caduti in peccato, circa la vittoria sul serpente (cfr. Gen 3,15).
Parimenti, è lei, la Vergine, che concepirà e partorirà un Figlio, il cui nome
sarà Emanuele (cfr. Is 7, 14; Mt 1,22-23).
Maria nell'annunciazione
I santi Padri ritengono che Maria non fu strumento meramente passivo nelle
mani di Dio, ma che cooperò alla
salvezza dell'uomo con libera fede e obbedienza. Infatti, come dice Sant'Ireneo, essa «con la sua
obbedienza divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano ». Per
cui non pochi antichi Padri nella loro predicazione volentieri affermano con
Ireneo che «il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione
coll'obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva legò con la sua incredulità,
la vergine Maria sciolse con la sua fede»
e, fatto il paragone con Eva, chiamano Maria «madre dei viventi e
affermano spesso: « la morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria ».
Maria e l'infanzia di Gesù
57. Questa unione della madre col figlio nell'opera della redenzione si
manifesta dal momento della concezione verginale di Cristo fino alla morte di
lui; e prima di tutto quando Maria, partendo in fretta per visitare Elisabetta,
è da questa proclamata beata per la sua fede nella salvezza promessa, mentre il
precursore esultava nel seno della madre (cfr. Lc 1,41-45); nella natività,
poi, quando la madre di Dio mostrò lieta ai pastori e ai magi il Figlio suo
primogenito, il quale non diminuì la sua verginale integrità, ma la consacrò [181]
Quando poi lo presentò al Signore nel tempio con l'offerta del dono proprio dei
poveri, udì Simeone profetizzare che il Figlio sarebbe divenuto segno di
contraddizione e che una spada avrebbe trafitto l'anima della madre, perché
fossero svelati i pensieri di molti cuori (cfr. Lc 2,34-35). Infine, dopo avere
perduto il fanciullo Gesù e averlo cercato con angoscia, i suoi genitori lo
trovarono nel tempio occupato nelle cose del Padre suo, e non compresero le sue
parole. E la madre sua conservava tutte queste cose in cuor suo e le meditava
(cfr. Lc 2,41-51).
Maria e la vita pubblica di Gesù
58. Nella vita pubblica di Gesù la madre sua appare distintamente fin da
principio, quando alle nozze in Cana di Galilea, mossa a compassione, indusse
con la sua intercessione Gesù Messia a dar inizio ai miracoli (cfr. Gv 2 1-11).
Durante la predicazione di lui raccolse le parole con le quali egli, mettendo
il Regno al di sopra delle considerazioni e dei vincoli della carne e del
sangue, proclamò beati quelli che ascoltano e custodiscono la parola di Dio
(cfr Mc 3,35; Lc 11,27-28), come ella stessa fedelmente faceva (cfr. Lc 2,19 e
51). Così anche la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò
fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno
divino, se ne stette (cfr. Gv 19,25),
Maria dopo l'ascensione
59. Essendo piaciuto a Dio di non manifestare apertamente il mistero della
salvezza umana prima di effondere lo Spirito promesso da Cristo, vediamo gli
apostoli prima del giorno della Pentecoste « perseveranti d'un sol cuore nella
preghiera con le donne e Maria madre di Gesù e i suoi fratelli» (At 1,14); e
vediamo anche Maria implorare con le sue preghiere il dono dello Spirito che
all'annunciazione, l'aveva presa sotto la sua ombra.
III. La beata Vergine e la Chiesa
Maria e Cristo unico mediatore
60. Uno solo è il nostro mediatore, secondo le parole dell'Apostolo: «
Poiché non vi è che un solo Dio, uno solo è anche il mediatore tra Dio e gli
uomini, l'uomo Cristo Gesù, che per tutti ha dato se stesso in riscatto » (1 Tm
2,5-6). La funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o
diminuisce questa unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l'efficacia. Ogni
salutare influsso della beata Vergine verso gli uomini non nasce da una
necessità oggettiva, ma da una disposizione puramente gratuita di Dio, e sgorga
dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo; pertanto si fonda sulla mediazione
di questi, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia, e non
impedisce minimamente l'unione immediata dei credenti con Cristo, anzi la
facilita.
Cooperazione alla redenzione
Funzione salvifíca subordinata
Maria vergine e madre, modello della Chiesa
La Chiesa vergine e madre
64. Orbene, la Chiesa contemplando la santità misteriosa della Vergine,
imitandone la carità e adempiendo fedelmente la volontà del Padre, per mezzo
della parola di Dio accolta con fedeltà diventa essa pure madre, poiché con la
predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli,
concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio. Essa pure è vergine, che
custodisce integra e pura la fede data allo sposo; imitando la madre del suo
Signore, con la virtù dello Spirito Santo conserva verginalmente integra la
fede, salda la speranza, sincera la carità.
La Chiesa deve imitare la virtù di Maria
IV. Il culto della beata Vergine nella Chiesa
Natura e fondamento del culto
66. Maria, perché madre santissima di Dio presente ai misteri di Cristo,
per grazia di Dio esaltata, al di sotto del Figlio, sopra tutti gli angeli e
gli uomini, viene dalla Chiesa giustamente onorata con culto speciale. E di
fatto, già fino dai tempi più antichi, la beata Vergine è venerata col titolo
di « madre di Dio » e i fedeli si rifugiano sotto la sua protezione,
implorandola in tutti i loro pericoli e le loro necessità [192].
Soprattutto a partire dal Concilio di Efeso il culto del popolo di Dio verso
Maria crebbe mirabilmente in venerazione e amore, in preghiera e imitazione,
secondo le sue stesse parole profetiche: «Tutte le generazioni mi chiameranno
beata, perché grandi cose mi ha fatto l'Onnipotente» (Lc 1,48). Questo culto,
quale sempre è esistito nella Chiesa sebbene del tutto singolare, differisce
essenzialmente dal culto di adorazione
reso al Verbo incarnato cosi come al Padre e allo Spirito Santo, ed è
eminentemente adatto a promuoverlo.
Norme pastorali
67. Il santo Concilio formalmente insegna questa dottrina cattolica. Allo
stesso tempo esorta tutti i figli della Chiesa a promuovere generosamente il
culto, specialmente liturgico, verso la beata Vergine, ad avere in grande stima
le pratiche e gli esercizi di pietà verso di lei.
V. Maria, segno di certa speranza e di consolazione per il peregrinante
popolo di Dio
Maria, segno del popolo di Dio
68. La madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e
nell'anima, costituisce l'immagine e l'inizio della Chiesa che dovrà avere il
suo compimento nell'età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al
peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione,
fino a quando non verrà il giorno del Signore (cfr. 2 Pt 3,10).
Maria interceda per l'unione dei cristiani
25.
Domande sull’ Ecumenismo
Cosa
vuol dire la parola ecumenismo.
Da oikos=casa,
abitazione, oikoumene è la terra emersa dalle acque che è diventata casa comune
dei suoi abitanti. Il suo progetto antropologico è la creazione di una forma di
vita planetaria che, nonostante le differenze, spinga alla convivenza pacifica
e alla fratellenza universale. Nell’ambito teologico si chiama ecumenismo il
movimento che ha per obbiettivo la
riconciliazione visibile dei cristiani separati. Poiché l’unità è uno dei doni
divini preziosi per la chiesa: un solo corpo, un solo spirito come una sola è
la speranza alla quale sieste stati chiamati... Ef 4, 4-6, cfr la preghiera di
Gesù per l’unità Gv 17, 1-26
Genesi
di un movimento
Un inizio che è fatto
coincidere con la conferenza di Edimburgo del 1910, quando alcune società
missionarie protestanti presero coscienza dell’incoerenza di annunciare il
vangelo ai popoli, presentandosi in un contesto cristiano fondamentalememte
diviso. Vennero creati 2 movimento: vita e azioni, più pratico e dedito a
questioni sociali e fede e costituzione. Nella conferenza di Amsterdam 22
agosto-4 settembre 1948, i rappresentati di 147 confessioni cristiane dettero
vita al consiglio ecumenico delle chiese, fondandolo sulla comune formula di
fede: Gesù come Salvatore. 2 anni dopo, a Toronto, l’organismo chiarifica la
sua fisonomia, sostenendo di non voler essere una sorta di super chiesa che si
sostituisce alle altre, discutere e crescere stando insieme.
Come
entra il cattolicismo.
A causa dell’origine
protestante del movimento, la chiesa cattolica non ha inizialmente nutrito un
atteggiamento favorevole, limitandosi solo a rendere più benevolo il modello
del ritorno. Nel 1919, Benedetto 15 accolse i reposnabile di Fede e Costituzione,
ma ribadì l’indisponibilità cattolica alla partecipazione ufficiale. Pio 11,
nella Mortalium animos, elogiò gli sforzi della causa, ma ne sottolineò gli errori perché si metteva in discusione
l’esistenza dell’unica vera chiesa che è quella cattolica: la riunione dei
cristiani non si può favorire in altro modo che favorendo il ritorno dei
dissidenti all’unica vera chiesa di Cristo, dalla quale, un giorno, ebbero
l’infelice idea di staccarsi.
Ciò non ha impedito la
formazione di una corrente ecumenica cattolica. Mohler, Newmann, Congar,
salutano come l’inizio del disgelo, per il superamento del confronto polemico e
l’attenzione alle reciproche posizioni. Sul piano delle iniziative si ricordano
i dialoghi di Malines con gli anglicani, condotti dal Padre Portal e dal Card.
Mercier, con l’appoggio di Pio 11.
Il decreto unitatis redintegratio
Ecclesiologia
di fondo per l’ecumenisimo è quella di comunione
Il primo principio è il
riferimento
trinitario, indicare una base comune della fede, si passa poi a
valutare la relazione tra le comunità separate e la chiesa cattolica. Il primo
passo per superare l’inimicizia è di impostare il rapporto in termini di stima
e di amore. Un altro principio dell’ecclesiologia di comunione è quello di
saper congiungere unità e cattolicità. La cattolicità esprime il volto poliedrico dell’unità
ecclesiale, non è un valore quantitativo ma qualificativo. Saper coniugare verità, libertà e carità, è il
fondamento per il dialogo. Un altro
principio riguarda il carattere escatologico dell’unità. Il decreto riconosce
che, il battesiomo e gli altri beni di salvezza costituiscono già un regime di
comunione, che però è imperfetta. La prospettiva è realistica, si indica un
cammino progressivo verso la meta, che è rappresentato dalla comunione
eucaristica, quando tutti i cristiani , nell’unità celebrazione
dell’eucaristia, si troveranno unita in quella unità dell’unica chiesa che
Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa.
Lo
sguordo futuro, gli impegni dell’ecumenisimo
a. L’impegno
per l’unità:
La
questione complessa verte su quale forma dare al progetto di unità, quale
modello di unione visibile adottare. Si parla di unità organica, di comunione
conciliare, di unità nella diversità riconciliata. L’ultimo sembra più adatto,
poiché riconoscendo la diversità confessionale, ci si propone di far
uscire le Chiese dall’isolamento e dalla
reciproca esclusione tramite un progetto di comunione visibile di cui fanno
parte, come elementi costitutivi, il riconoscimento del battesimo, il ristabilmento
della comunione nell’eucaristia, nel reciproco dei ministeri ecclesiali e una
comunione nel servizio.
Bref,
accettare
un’ecclesiologia di comunione che sappia accogliere la categoria della
diversità, da intendere come unità.
b. L’impegno
per la verità:
vi
sono dei contenuti oltre i quali non si può andare, ma l’approcio alla verità
implica l’osservanza di alcuni criteri che servono a disciplinarlo
1.
Il
primo è la storicità, che porta a distinguere la verità delle sue
concettualizzazioni, il dato rivelato dalle dottrine teologiche, la tradizione
apostolica dalle tradizioni ecclesiastiche. Il decreto ne parla al n.6 quando
invita a non confondere la sostanza immutabile con il rivestimento culturale.
Importanza perciò saper distinguere i 2 aspetti
2.
Il
secondo criterio serve a richiamare la ricezione del principio della gerarchia
delle verità della dottrina cattolica; verità, sebbene esigono la fede, non
hanno però tutta la medesima centralità nel mistero rivelato in Gesù.
A
questi due criteri, si deve aggiungere quello di una concreta impossibilità a
disporne totalmente, poiché la verità è data in modo tale che coloro che già la
condividono, devono ancora conquistarla.
3.
Ultimo
criterio riguarda la comunicazione che dovrebbe sempre essere ispirata da
atteggiamenti dettati dalla carità e nell’umiltà.
c.
L’impegno del servizio:
Non
si tratta di ridurre l’ecumenismo ad azione sociale, ma di un modo più
responsabile di vivere la propria comunione. Un impegno autentico e
decisivo verso i bisogni umani concreto
del nostro tempo. Tale è l’obbligo per la Chiesa cristiana che cera l’unità.
Quell’unità di Cristo che non ammette divisione scrive Moltmann, non si
esaurisce semplicemente nell’unità con i suoi discepoli né la comunione con
tutti i credenti, ma comprende anche un’unità e comunione con la gente oppresa,
umiliata e abbandonata.
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