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Tuesday, March 4, 2014

ECCLESIOLOGIA

Ecclesiologia
1.    Definisce l’ecclesiologia e la differenza tra E. Dogmatica ed E. Fondamentale

L’ecclesiologia non è la Chiesa ma, come dice il termine, un discorso sulla Chiesa, più precisamente uno studio sistematico, organico scientifico su che cosa è la Chiesa. Poiché chi la studia già crede e vi appartiene si può dire che l’ecclesiologia è un’autocoscienza riflessa del mistero ecclesiale. Le sue diverse finalità sono ben espresse in questo passaggio dell’Ecclesiam suam di Paolo VI (6 agosto 1964):

«Approfondire la coscienza che la Chiesa ha di se stessa, meditare sul mistero che le è proprio, esplorare a propria istruzione ed edificazione la dottrina, già a lei nota e già in quest’ultimo secolo enucleata e diffusa, sopra la propria origine, la propria natura, la propria missione, la propria sorte finale, ma dottrina non mai abbastanza studiata e compresa, come quella che contiene “il piano provvidenziale del mistero nascosto da secoli in Dio […] affinché sia manifestato […] per mezzo della Chiesa (Ef 3.9-20)”» (EE 7/721).

Ecclesiologia fondamentale e dogmatica. Dalla sua nascita come disciplina autonoma, datata con il De regime christiano di Giacomo da Viterbo (+1307), l’ecclesiologia ha dovuto far fronte a una serie di problemi: il confronto con il potere imperiale, il protestantesimo, l’illuminismo. Per questi motivi Congar sostiene che il trattato di ecclesiologia è nato “con la spada in mano”. Dopo il luteranesimo si è accentuato un carattere apologetico, per dimostrare che la vera Chiesa era quella cattolica (demonstratio catholica).

Oggi l’ecclesiologia è invece studiata invece nell’ambito della dogmatica, seguendone le note e le caratteristiche specifiche. L’apologetica, che intanto ha conosciuto una revisione interna con la mutazione del nome in teologia fondamentale, non ha cessato di studiare la Chiesa ma lo fa a partire dai suoi specifici obiettivi che sono la rivelazione (vi rientra l’importante tema della Chiesa mediatrice della rivelazione) e la credibilità della Chiesa (e della fede) di fronte alla cultura contemporanea.

La dogmatica parte dalla fede acquisita e si caratterizza come una riflessione organica del mistero cristiano. Le sue tappe comprendono lo studio delle fonti (auditus fidei) e il lavoro speculativo (intellectus fidei).

2.    A quale testo conciliare abbiamo fatto riferimento per la metodologia  e come si chiama questo metodo

Il n. 16 dell’Optatam totius (decretto sulla formazione sacerdotale).

«Nell’insegnamento della teologia dogmatica, prima vengano proposti gli stessi temi biblici. Si illustri poi agli alunni il contributo dei Padri della Chiesa d’Oriente e d’Occidente nella fedele trasmissione ed enucleazione delle singole verità rivelate, nonché l’ulteriore storia del dogma, considerando anche i rapporti di questa con la storia generale della Chiesa. Inoltre, per illustrare quanto più possibile i misteri della salvezza, gli alunni imparino ad approfondirli e a vederne il nesso con un lavoro speculativo, avendo san Tommaso per maestro. Si insegni loro a riconoscerli sempre presenti ed operanti nelle azioni liturgiche e in tutta la vita della Chiesa. Infine, imparino a cercare la soluzione dei problemi umani alla luce della rivelazione, ad applicare queste verità eterne alle mutevoli condizioni di questo mondo e comunicarle in modo appropriato agli uomini contemporanei».

ELENCO  DEI  16  DOCUMENTI  ELABORATI  ED  APPROVATI
TIPO
NOME DEL DOCUMENTO
OGGETTO
1
COSTITUZIONE DOGMATICA
CHIESA
2
COSTITUZIONE CONCILIARE
SACRA LITURGIA
3
COSTITUZIONE DOGMATICA
DIVINA RIVELAZIONE
4
COSTITUZIONE PASTORALE
CHIESA NEL MONDO CONTEMPORANEO
5
DECRETO
UFFICIO PASTORALE DEI VESCOVI
6
DECRETO
ECUMENISMO
7
DECRETO
CHIESE ORIENTALI CATTOLOCHE
8
DECRETO
MINISTERO E SULLA VITA SACERDOTALE
9
DECRETO
FORMAZIONE SACERDOTALE
10
DECRETO
RINNOVAMENTO DELLA VITA RELIGIOSA
11
DECRETO
ATTIVITA' MISSIONARIA DELLA CHIESA
12
DECRETO
APOSTOLATO DEI LAICI
13
DECRETO
STRUMENTI DI COMUNICAZIONE SOCIALE
14
DICHIARAZIONE
LIBERTA' RELIGIOSA
15
DICHIARAZIONE
RELAZIONI DELLA CHIESA CON LE RELIGIONI NON-CRISTIANE
16
DICHIARAZIONE
SULL'EDUCAZIONE CRISTIANA

Il testo conciliare entra inoltre nel dettaglio, proponendo un metodo di tipo genetico: i dogmi della fede si studiano partendo dalla Scrittura, «anima di tutta la teologia», esaminando il pensiero dei padri (occidentali e orientali) e lo sviluppo lungo la storia della Chiesa. È questo il momento dell’auditus fidei in cui il teologo si pone in ascolto delle fonti, non arbitrariamente bensì lasciandosi guidare dalla fede della Chiesa e «sotto la guida del magistero della Chiesa».

4. Credere e amare la Chiesa. Nella professione di fede (il Credo) la Chiesa svolge un ruolo di soggetto e di oggetto. Il riferimento di entrambi non è a una Chiesa ipostatica che esisterebbe al di fuori dei suoi membri, ma «noi stessi - scrive Giovanni Paolo II - siamo la Chiesa che professiamo di credere; noi crediamo nella Chiesa essendo contemporaneamente la Chiesa credente e orante» (Udienza generale del 24 luglio 1991). La qualità di soggetto fa della Chiesa la prima credente: il Credo è suo, è la professione corale della Congregatio fidelium che giunge noi dagli inizi della sua storia e con la quale deve accordarsi ogni singola voce. Ma nella professione di fede la Chiesa è presente anche come oggetto, infatti diciamo: credo Ecclesiam. La prima comparizione di questo articolo in un Simbolo risale all’Epistula Apostolorum, datata intorno al 170. Da allora esso è accompagnato da alcuni aggettivi essenziali che hanno la forma più completa nel Niceno costantinopolitano: unam sanctam catholicam et apostolicam. In quanto oggetto di un credo la natura della Chiesa non è un fenomeno sociologico ma è riconoscibile solo per fede. Gli occhi esterni possono cogliere e studiare le strutture esterne, ma sono gli occhi della fede ad andare a fondo e a disporre gli animi per riconoscere un’azione divina. Questo non vuol dire divinizzare la Chiesa. Osservando l’assenza della preposizione “in”, Rufino faceva notare che non diamo alla Chiesa lo stesso credito che diamo a Dio: «Non è detto “nella santa Chiesa” […], ma si deve soltanto credere “la santa Chiesa”, cioè non come se fosse Dio, ma come Chiesa riunita per Dio» (Expositio symboli).
Così Agostino permettendo un’annotazione sull’opzione amante diceva: «ognuno possiede lo Spirito tanto quanto ama la Chiesa». «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,25). Una delle immagini classiche dell’ecclesiologia che, tra le sue caratteristiche, ha proprio quella di esprimere il mistero ecclesiale nei termini dell’amore. La Chiesa deve amare ed essere amata come ama e si ama una sposa.

Il legame tra Cristo e la Chiesa impedisce di separare ciò che Dio ha unito. La dicotomia tra Cristo e la Chiesa, come quella rappresentata dallo slogan del “Cristo sì/Chiesa no”, è giudicata assurda da Paolo VI. (Evangelii nuntiandi 16).

3.    La Chiesa è stata fondata da Cristo ?
Interrogativo nuovo che nasce con il modernismo. La provocazione del Loisy («Gesù annunciò il Regno e ciò che ne èvenuto fuori è la Chiesa») ha inserito nel dibattito ecclesiologico l’analisi di una possibile duplice dissociazione: tra il Gesù pre-pasquale e la Chiesa, tra questa e il regno di Dio. Entrambi gli argomenti, anche se in maniera divergente, sono presenti in alcuni autori odierni come Leonardo Boff, per il quale la Chiesa non nasce dall’incarnazione, ma dagli apostoli che, ispirati dallo Spirito pentecostale, presero una nuova coscienza dei tempi escatologici traducendo la dottrina del regno di Gesù in dottrina sulla Chiesa.

Il problema esige una diversa impostazione. Si tratta di chiedersi: 1) Se Gesù manifesta una volontà esplicita finalizzata a una fondazione della Chiesa; 2) Se quella realtà che i testi neotestamentari chiamano “Chiesa” cf. Matteo (16,18; “E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”, 18,17), sia in qualche modo riconducibile alla predicazione del Regno. Solo a queste condizioni è possibile parlare di un Gesù fondatore.

Sul primo punto emerge l’intenzione evangelica del maestro di assicurare una continuità alla sua opera. In questa prospettiva si comprendono alcuni atti fondativi: la scelta di una comunità di discepoli che invia in missione; il distacco tra questi discepoli del gruppo ristretto degli apostoli (Mt 10,1-15), il cui numero ricorda le dodici tribù di Israele, ciò che manifesta l’evidente intenzione di una ri-fondazione del popolo; all’interno degli stessi apostoli la posizione preminente di Pietro, cui è affidato un compito di roccia e il potere di sciogliere e di legare (Mt 16,18s); l’istituzione dell’eucaristia che doveva regolare l’ordine di una «nuova alleanza» (1Cor 11,25; Lc 22,20). Non è ancora la Chiesa come l’abbiamo oggi, ma, considerando i successivi sviluppi, è corretto vedervi il seme o, come scrive H. Schlier, la preformazione: «Questo discepolato con i dodici e Simon Pietro, per Matteo, è la preformazione della futura Chiesa. Essa, si può anche dire, nella sua struttura fondamentale è questa Chiesa nel modo della promessa».

L’evangelista che più condivide la continuità tra il Regno e la Chiesa è Matteo, che elabora il suo Vangelo nell’ottica di una comunità ormai strutturata. I suoi due passaggi che contengono il termine
Ekklesia esprimerebbero così la convinzione che la Chiesa è già segretamente presente nella comunità del Regno raccolta da Gesù Cristo. È la direzione offerta dal Vaticano II quando scrive:

«Il Signore Gesù diede inizio alla sua Chiesa predicando il buon annuncio, cioè la venuta del regno di Dio promesso da secoli nelle Scritture: “Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino” (Mc 1,15; cf. Mt 4,17)» (LG 5).
Preformata dal Gesù storico, in collegamento al Regno annunciato e atteso, la Chiesa è formata dopo l’esperienza della risurrezione e il dono pentecostale.
L’effusione dello Spirito, che i discepoli interpretano come una realizzazione delle promesse antiche (Gioele 3,15), fa capire i presupposti storici nel messaggio del maestro e continua ad assistere la neonata comunità perché sviluppi la propria autocomprensione e si dia le strutture necessarie per proseguire il suo cammino.

4.    Cristo è fondatore o fandamento della Chiesa ? Entrambi. Cristo è il fondatore e fondamento della Chiesa.
La questione del rapporto Cristo-Chiesa non si racchiude solo in quella della fondazione storica, ma implica l’idea del fondamento permanente. Gesù è sempre il fondamento attivo della costruzione della Chiesa, cioè senza Cristo la Chiesa non può crescere, edificarsi; motivo che portava i padri a vedere il luogo di nascita della Chiesa non tanto nella vita terrena di Gesù ma nel suo dono pasquale. Agostino commenta l’episodio della trafittura del costato (Gv 19,34) per dire: «Qui il secondo Adamo, chinato il capo, si addormentò sulla croce, perché così, con il sangue e l’acqua che sgorgarono dal suo fianco, fosse formata la sua sposa»
Scrive il documento della CTI:
«Fondata da Cristo, la Chiesa non dipende da lui solo nella sua nascita esteriore, storica o sociale; ma proviene dal suo Signore in maniera ancora più intima, essendo lui che la nutre e la edifica incessantemente mediante lo Spirito. La Chiesa nasce, come dice la Scrittura e nel senso inteso dalla tradizione, dal costato ferito di Gesù Cristo (cf. Gv 19,34; LG 3); è “acquistata dal sangue del Figlio”( At 20,28; cf. Tt 2,14); e la sua natura si fonda sul mistero della persona di Gesù Cristo e della sua opera salvifica. La Chiesa, perciò, vive costantemente del suo e per il suo Signore».

5.    Cosa significa il termine Chiesa

a.     Definizione del termine chiesa
Herbert Muhlen riconosce che, il mistero della Chiesa è una realtà così ricca di significato, che non può essere racchiusa in un’unica formula e ogni tentativo di definire la Chiesa risulta vano. Anche per Congar, la strada della definizione del termine Chiesa è molto difficile da percorrere. Egli sostiene infatti è più facile dire ciò che la Chiesa non è, piuttosto che quello che essa è. In un suo articolo Congar ci riporta due motivazioni per cui la Chiesa non è definibile:
1)     la Chiesa è troppo ricca di significato per essere  contenuta in un solo concetto e per essere identificata con un solo nome;
2)     Benché essa sia costituita dagli uomini, la Chiesa è una realtà di origine soprannaturale.

La motivazione di un’indefinibilità della Chiesa è dunque che la sua essenza sfugge ad un osservatore esterno (come fanno i sociologi, gli psicologi, etc.): il teologo sa bene questo. Le definizioni della Chiesa non sono in facie Ecclesiae (“davanti alla Chiesa”). Tuttavia, abbiamo visto che per superare le difficoltà della difinizione del termine “Chiesa”, gli  autori si servono spesso del procesimento descrittivo, rappresentando, in modo più o meno particolare alcuni elementi caratterizzante della Chiesa. E lo fanno i diversi linguaggi. La tradizione ha dato una particolare preferenza alla via delle immagini che implica l’utilizzo di diverse forme come rappresentazioni mentali, le metafore, le analogie, i simboli. Quali sono ?

Innanzitutto la via della storia: conoscere la storia è molto utile per la comprensione della Chiesa, distinguendo ciò che è assoluto da ciò che è relativo. In tal modo si supererà l’idealismo fondamentalista e il conservatorismo che rifiuta ogni tentativo di riforma, ma si supererà anche il progressismo, che si proietta sempre in avanti.
La seconda via è quella della descrizione: il Concilio non dà una definizione formale di Chiesa, ma ce la descrive. Questa via della descrizione è composta da tante “sottovie”: innanzitutto quella delle immagini (per immagine qui si deve intendere una rappresentazione mentale: sono stati i Padri ad utilizzare soprattutto questa via ed essa è stata ripresa da LG 6); abbiamo poi la via dei criteri: questa via si è affermata fin dall’antichità, dal momento che già in essa avevamo gruppi che rivendicavano di essere la vera Chiesa (Ireneo per esempio prenderà come criterio l’apostolicità). I criteri sono elementi di discernimento per determinare la vera Chiesa di Gesù Cristo. Oggi nel Credo abbiamo le 4 note della Chiesa (una, santa, cattolica, apostolica), che possono essere considerati criteri; Tommaso le definisce conditiones (da condo, che vuol dire “fondare”). Il termine nota nascerà soprattutto dopo la Riforma, quando si vollero trasformare le caratteristiche della Chiesa nel Credo in criteri per discernere la vera Chiesa rispetto alla Riforma; oggi il CCC parla di attributi della Chiesa.
Un’altra via è quella delle categorie. Si tratta di elaborare concetti (non immagini) astratti e generali in grado di circoscrivere meglio l’oggetto di studio, la Chiesa: a differenza delle immagini, essi forniscono una visione globale della Chiesa (le immagini colgono generalmente solo un aspetto); si pensi alla Chiesa come sacramento, come popolo di Dio. Vi sono due categorie chiave che guidano l’interpretazione di tutte le altre categorie: la categoria di societas e la categoria di comunione (la prima ci sta alle spalle, dal momento che la Chiesa prima veniva definita societas perfecta inequalis, mentre la seconda ci sta in avanti).
b.     Cos’è vuol dire chiesa
Chiesa vuol dire assemblea. Dalla testimonianza del risorto e dall’esperienza della pentecoste è nata fra gli uomini una fraternità di fede che si è  data un termine preciso. Ekklesia. La scelta di un tale termine “Ekklesia” risale nei tempi delle prime persecuzione della comunità di Gerusalemme da parte della sinagoga. La linea preferenziale della scelta del termine si spiega approfondendo le sue 3 direzioni di significato: ebraico, greco, e quello cristiani.
1.      Il significato ebraico
Per la teologia ebraica ekklesia è il vocabolo greco con cui i settanta, traduttori dell’A.T hanno scelto per rendere l’ebraico qahal. Questo ultime serve per indicare la comunità israelita nella sua piena estensione e nel suo radunarsi per occasione speciali, strettamente legata alla celebrazione dell’alleanza. In primo piano l’uso del termine pone l’idea di una risposta attiva lla convocazione. Un significato preciso di qahal (ekklesia) indica la radunabilità. Si tratta di un termine nato nel contesto della tradizione deuteronmista. Diveso di edah che indica il popolo dell’alleanza come realtà statica, qahal privilegia l’elemonto convocante diventando  sinonimo di giorno dell’assemblea. Dt 9, 10; Nm 10, 7.
Tra gli elementi costituitivo di qahal una condizione determinante è la voce convocante che serve a indicare l’importante collegamento dell’assemblea con Dio. Un’altro elemento è l’estensione perché tutto il popolo ha diritto alla partecipazione ed è oggetto della convocazione. Anche la chiesa primitiva ha preso coscienza che l’ekklesia ha una fisionomia missionaria e dunque implica la convocazione di tutti.
2.      Significato cristiano.
Ekklesia per i greci indicava una realta profana comprendente l’assemblea dei cittadini liberi. 3 riferimenti dell’uso greco-pagano sono evidenti nella nozine di ekklesia cristiana. Uno di questo è la localizzazione cittadina: il referente dell’ekklesia non è tanto il popolo intero come nel caso del qahal am la comunità locale territorialmente stabilita. Un’altro  è quello della deliberazione democartica che comporta la convizione di assumere le decisioni in maniera popolare, il terzo è il significato di un’assemblea che si raduna non solo per compiere atti cultuali ma anche per problemi di ordine pratico organizzativo. Ekklesia designa la chiesa universale, locale e la chiesa concretamente radunata.
1 Co, Ekklesia significa assemblea, la lettera agli ebrei Ekklesia significa assemblea dei primo geniti.
Ekklesia= convocatio, indica la qualità di questa assemblea ch’è di essere il frutto di un’azione divina; Congregatio indica il soggetto storico.
6.    Quali sono le spiegazione sulla sua origine e sulla sua scelta da parte della comunità primitiva.
Tra gli autori emerge Luca, noto per aver scritto la prima storia della Chiesa, chiamata Atti degli apostoli. Il tema generale è la storia della salvezza, che va dalla promessa (Israele) al compimento (Gesù) e alla sua realizzazione nell’oggi attraverso l’opera dello Spirito e della Chiesa. A Gerusalemme, la comunità vede i suoi primi passi e vive l’esperienza dello Spirito.
Le condizioni di ingresso alla Chiesa sono l’accoglienza del cherigma, con cui si confessa la propria fede in Cristo morto e risorto, e la celebrazione del battesimo che sancisce l’adesione.

Luca si preoccupa poi di tracciare la modalità dell’esistenza ecclesiale, delineandola attraverso alcuni brevi sommari, emerge Atti 2,42, definito «la carta di identità della Chiesa» (G. Betori): «Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere».

1) L’ascolto e l’annuncio della parola di Dio, nelle sue diverse forme, costituisce l’ossatura della primitiva comunità cristiana. In questa attività emerge la particolare responsabilità degli apostoli, primi testimoni e responsabili dell’insegnamento. La risposta alla parola di Dio comunicata dalla predicazione apostolica è la fede.

2) Da quest’ultimo brano si comprende il posto dei sacramenti. A partire dalla pentecoste, la prassi battesimale è ampiamente documentata. Il libro racconta molti battesimi, compreso quello di Paolo. L’altro rito focale è «la frazione del pane», espressione che ricordava il gesto di Gesù ai discepoli radunati nel cenacolo.

3) I primi cristiani si presentano infine come “fratelli”. Diventati figli nelFiglio, i cristiani formano una fraternità vissuta attraverso un intenso scambio relazionale che dovrebbe portare ad amarsi, a evitare le divisioni, a farsi carico dei bisogni dell’altro.

7.    Perché abbiamo ritenuto importante rilevare lo studio del termine Chiesa
Poiché l’uso corrente della parola chiesa è condizionato da diverse interpretazioni. Spesso la Chiesa viene identificata con lo stato della Città del Vaticano, quando si guarda alla Chiesa in termini politico-istituzionali; l’opinione pubblica pensa spesso in termini clericali, per cui la Chiesa si identificherebbe con i sacerdoti; oppure la Chiesa viene vista in termini ideologici, confondendo la Chiesa con la dottrina cristiana (Chiesa e cristianesimo non sono la stessa cosa), con i suoi riti, le sue leggi, le sue idee. Nel campo dello studio, la Chiesa può essere oggetto di un duplice approccio, quello empirico (come quello della sociologia, della psicologia) e quello teologico: coloro che utilizzano il metodo empirico guardano alla Chiesa come un’organizzazione di carattere religioso che interagisce con il contesto sociale (sociologia), con le diverse forze dell’animo umano (psicologia), oppure con le coordinate spazio-temporale (storici).
Purtroppo, molto spesso, sono gli stessi cristiani a nutrire una visione parziale della Chiesa, condividendo questi pareri oppure proiettando sulla Chiesa l’esperienza personale o quella della propria aggregazione, per cui si parla di una Chiesa conservatrice, aristocratica, popolare, amicale, pietistica, etc.: da queste comprensioni unilaterali e parziali non sono esenti preti e vescovi, di solito propensi a vedere la Chiesa in termini clericali, e nemmeno i teologi, in quanto essi hanno pure i loro preconcetti.
È stato inoltre importante studiare il termine chiesa per cogliere alcuni aspetti importanti per la sua autocomprensione
Innanzitutto l’aspetto dall’alto, che riconosce un’iniziativa divina per l’appello del popolo inteso come tutto
C’è anche l’aspetto comunitario, la chiesa non è solo una realtà convocata ma anche realtà congregata. Le 2 sono inseparabili.
L’aspetto del riunirsi. Essere cristiani vuol dire radunarsi, qui la chiesa manifesta e realizza in pienezza ciò che è.
8.    Spiega in sintesi la nozione di popolo di Dio nel N.T
La nozione di popolo è rilevante per l’AnticoTestamento. Israele è parte di tutti gli altri popoli della storia umana, ma si distingue nella sua origine per la consapevolezza di una vocazione trascendente. È il popolo di Jhwh (Gdc 20,2; II Sam 14,13). Radicandosi nelle esperienze dell’alleanza e dell’Esodo, Israele nutre un debito di riconoscenza nazionale e religiosa che lo rende proprietà di Dio. La preposizione “di” è dunque un genitivo di possesso, di appartenenza. Il popolo esiste non per i suoi meriti ma perché Dio lo ha scelto e chiamato (Dt.7,7; Is.48,12) attraverso l’amore dei patriarchi (Dt 10,14-15), soprattutto Abramo, il primo destinatario della promessa. Questo significato trascendente è il motivo per cui l’Antico Testamento tende a riservare il termine ‘am ad Israele, preferendo attribuire agli altri popoli quello di goy: «Tu infatti sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio; il Signore tuo Dio ti ha scelto per essere il suo popolo (‘am) privilegiato fra tutti i
popoli (goyim)».

La convinzione della comunità cristiana primitiva è che questo popolo eletto sfocia nella creazione di un “nuovo popolo”, radunato intorno alla fede nell’opera messianica del Cristo.

Un aggancio profetico è alla dottrina del “resto” di Israele, che Isaia rende con questa immagine: «Vi resteranno solo pochi racimoli, come in un olivo bacchiato, due o tre bacche sulla punta dei rami, quattro o cinque sui suoi rami fruttiferi» (17,6). Il resto è un seme santo, che rinasce da un’alleanza nuova, interiore e spirituale (Is 55,3; Ger 31,31) ed è seguendo questa via che gli autori del Nuovo Testamento presentano la realtà cristiana. Essa nasce dalla «nuova alleanza» annunciata nell’ultima cena (1Cor 11,25; Lc 22,20), un’alleanza «non della lettera, ma dello Spirito» (2Cor 3,6), che porta il popolo messianico a non aver più barriere, né nazionali, né sociali, né religiose

«Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa» (3, 26-29).
I diversi significati che il titolo di popolo di Dio aveva per Israele, vengono perciò conservati, ma l’unico riferimento esplicito del Nuovo Testamento è nella 1Pt che spiritualizza in senso cristiano il contenuti anticostestamentari

«Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo […]. Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce. Voi che un tempo eravate il non-popolo ora siete il popolo di Dio (laos Theou)» (1 Pt 2,4-5; 9-10).

Lo studio di questo titolo pone il problema del rapporto con Israele. La nascita di un nuovo popolo non implica rottura, opposizione o sostituzione di quello ebraico, Israele ha ancora una missione da compiere. Il “nuovo” indica una specifica originalità che proviene dal Cristo. Paolo è contrario alla teoria della sostituzione, che presuppone il ritiro dei doni di Dio, perché «i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (Rom 11,29).

9.    I significati della nozione di Corpo di Cristo sono:
Una delle immagini più celebri che emergono dall’ecclesiologia neotestamentaria e che sintetizza la visione paolina è il “corpo di Cristo”. Negli scritti dell’apostolo appare come una quasi-definizione (Ef 1,23) (cf R. PENNA, La Chiesa come corpo di Cristo), ma comporta significati diversi che in genere si riducono a tre aspetti:

Mistico, sottolinea l’unione vitale tra la Chiesa e Cristo. L’attenzione cade sul genitivo di appartenenza soma Christou: Paolo afferma che i cristiani non sono solo semplici seguaci di una dottrina o di un maestro, ma vivono un rapporto intimo con Cristo. Sulla base di questa profonda compenetrazione egli elabora la teologia del battesimo, dove dice che gli uomini rinascono a vita nuova perché partecipano in maniera misterica alla morte e risurrezione personale del Cristo (Rom 6,3-4) e dell’eucaristia, attraverso la quale la comunità cristiana diventa un’unica cosa con il Signore (1Cor 10,17). Per Paolo Gesù non è perciò un presente nella sua epoca del passato, ma lo è
nell’oggi, attraverso la sua comunità con cui vive nel mondo.

Ecclesiologico, Il secondo significato mette in evidenza l’orizzontale: il ritrovarsi in Cristo crea un’unità relazionale dei credenti (Rom 12,4-5). È a questo proposito che Paolo cita il classico apologo di Menenio Agrippa, presente in altri riferimenti della cultura ellenica, con cui, paragonando la polis a un corpo, se ne risalta l’unità al di là delle differenze sociali e della molteplicità dei componenti (1Cor 12,12-27). Essendo in relazione gli uni con gli altri, nessuno è più corpo o più presenza di Cristo dell’altro, ma tutti lo sono nella reciproca collaborazione e coesistenza. La forza di coesione del corpo è l’amore (1Cor 12,28-14,1).

Cristologico. Il terzo significato emerge dalle lettere tardive della prigionia. Le Chiese destinatarie di questi scritti (Efeso e Colossi) stavano lasciandosi sviare dallavera fede ricominciando a dare importanza a certe potenze celesti non ben identificate, a pratiche religiose superate riguardanti l’uso dei cibi, di bevande e a una spiritualità fatta di ricorrenze. Paolo vuole ricordare la centralità della fede in Cristo (Col 1,7) e usa la metafora del capo (kephalé) per dire che Cristo è il valore superiore a tutti gli altri e quindi deve essere l’unico criterio della vita e della condotta del corpo ecclesiale. Come un uomo sarebbe impensabile senza la sua testa, dalla quale partono i pensieri e l’azione, così sarebbe la Chiesa senza il legame con Cristo. Il ruolo del capo-Cristo è quello del fondamento che mantiene il primato nella gerarchia dei valori. La Chiesa, essendo il suo corpo, non deve mai dimenticare la propria dipendenza da Lui.

10. Dire che Chiesa è tempio dello Spirito vuol dire:
Lo Spirito unisce i dispersi (Gv 11,52) e dimora nella comunità facendone il tempio vivo (1Cor 3, 17; 6,19). La Chiesa, abitata dal Cristo e dallo Spirito, diventa essa stessa la dimora di Dio. D’ora in poi parlare di tempio non significherà altro che parlare del corpo vivo dei fedeli.
Scrive Congar:
«Dopo l’incarnazione lo Spirito è veramente dato: è nei fedeli un’acqua zampillante di vita eterna (Gv 4,14), li rende figli di Dio e capaci di possederlo veramente mediante la conoscenza e l’amore. Non si tratta più solo di presenza, è un’abitazione di Dio nei fedeli. Tutti personalmente e tutti insieme, nella loro stessa unità, sono il tempio di Dio, poiché sono il corpo di Cristo, animato e unito dal suo Spirito» Cf Ef (2,17) poiché Cristo è venuto per stabilire la pace e avvicinare i lontani, i cristiani non devono più considerarsi «stranieri, né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari con Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare (akrogoniaios) lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito»
Concepire la Chiesa come tempio conduce perciò a un concreto programma di comunione.

In quanto tempio dello Spirito la Chiesa realizza il vero culto quando è se stessa, comportandosi e agendo da Chiesa di Cristo nella fede e nell’amore. Al primo posto la fede, l’unzione fondamentale dello Spirito che ci fa riconoscere il Cristo. La fede precede ogni rito, compreso quello del battesimo, è costituisce l’elemento consacrante del nuovo santuario, quindi il fondamento in virtù del quale ogni uomo può farsi pietra costruttrice del tempio santo e può rendere feconda la stessa grazia sacramentale. La carità esprime invece la scelta operativa di porsi in sintonia con il comandamento più grande di Cristo che è quello dell’amore (Mc 12, 28-34)

11. L’autocomprensione prevalente della Chiesa nel primo periodo dei padri è quella di ?
La prevalenza del mistero. Il periodo patristico presenta un’ecclesiologia ancora embrionale, strettamente legata alla Bibbia. La Chiesa è vista come la riproduzione visibile, qui in terra, della città ideale del cielo. Essa è un mistero che ha una origine divina e che si vive principalmente nella liturgia. Entrare nella Chiesa, scrivono le Costituzioni Apostoliche, è penetrare il mistero della pietà. La Chiesa non è la comunità di un noi che nasce dal battesimo ed è collettivamentesacerdotale, profetico, regale.

12. Qual è l’immagine di Chiesa più frequente nei padri e cosa richiama ?
l’arca di Noè (Ippolito, Cipriano, Gerolamo), che serve per parlare della Chiesa riparo e salvezza in mezzo alle tempeste del tempo; vascello in riferimento al brano evangelico.
Mysterium lunae, per richiamare lo stretto contatto con Cristo. Come la luna, infatti, riflette la luce
del sole, così la Chiesa è in stretta correlazione con Cristo.
Una delle più frequenti, che sarà variamente interpretata, è quella dell’Ecclesia mater. Si ha il primo riferimento nella seconda lettera dello psuedo-Clemente, composta nella prima meta del II secolo. L’autore se ne serve per presentare l’idea della preesistenza della Chiesa, voluta da Dio già prima della creazione e manifestato negli ultimi giorni per salvarci.
La Chiesa madre è la figura preferita da Cipriano, che ne fa largo uso per parlare della sua mediazione salvifica, tanto da scrivere che «non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa per madre. Mediante il battesimo la Chiesa genera, in Cristo, nuovi figli a Dio Padre e li nutre mediante i sacramenti. La Chiesa è la mater terrestris dei figli di Dio, di qui la sua idea che chi si separa dalla Chiesa si condanna alla morte, perché essa è l’unica via della salvezza.

Un altro orientamento dell’epoca dei padri è l’ecclesiologia eucaristica che tiene in stretto collegamento la Chiesa e l’eucaristia. È l’ecclesiologia di Ignazio di Antiochia. Egli vede la
Chiesa in modo dinamico, come la comunità locale radunata intorno al vescovo per la celebrazione eucaristica.

13. Ricorda almeno un testo patristico sul primato papale
La visione misterica non esclude la comunione visibile-istituzionale, locale e universale, che si traduce concretamente in una organizzazione comprendente elementi comuni come il canone delle Scritture, l’unità nei formulari liturgici e dei simboli di fede, il ruolo dei ministeri. Tra questi ultimi emergono l’episcopato e il primato romano, entrambi collegati all’istituzione divina dell’autorità degli apostoli.

Il principale esponente dell’autorità del papato fu Leone Magno (+461) che usa l’espressione di plenitudo potestatis in senso giuridico e non solo onorifico, sostenendo che il mandato del vescovo di Roma è universale mentre quello dei singoli vescovi è limitato dai confini della propria Chiesa locale. Il principio di fondo rimane quello della successione di Pietro che con il suo martirio a Roma ne ha fatto la sede più autorevole. Nella lettera inviata ad Atanasio, vescovo di Tessalonica, scrive:

«I vescovi hanno una comune dignità, ma non un rango uniforme, in quanto anche tra i beati apostoli, nonostante l’analogia della loro onorevole condizione, vi era una certa distinzione di potere. Mentre l’elezione di tutti loro fu uguale, fu assegnato a uno solo il compito di guidare gli altri. Da questo modello è sorta la distinzione tra i vescovi e con una saggia disposizione si è provveduto affinché nessuno si arrogasse ogni cosa, ma vi fosse in ogni provincia uno la cui opinione avesse la precedenza su quella dei fratelli; e anche affinché certuni, la cui carica è maggiore nelle grandi città, assumessero una più piena responsabilità e per mezzo loro la cura della Chiesa universale convergesse verso la cattedra di Pietro e nulla, in alcun luogo, fosse separato dal suo capo».

14. Cosa riconosce il principio gelasiano
Il principio gelasiano riguarda il problema del rapporto dei poteri nell’epoca medioevale. Il riconoscimento civile del cristianesimo, che con Teodosio diventa religione dello stato, segna vantaggi, come la rapida espansione, e svantaggi, come l’indebolimento del fervore. L’autocomprensione della Chiesa è meno misterica e più imperiale. Si diffonde la convinzione di poter realizzare il regno di Dio già qui in terra. Di conseguenza aumenta l’interesse per l’aspetto istituzionale e gerarchico, determinando l’insorgere del problema del rapporto tra i due poteri, civile ed ecclesiastico. L’orientamento iniziale è il riconoscimento di due principi autonomi e indipendenti (principio gelasiano), ma col passare del tempo, i confini diventano più sottili e l’equilibrio verrà meno per il prevalere e l’invadenza di uno dei due poli sull’altro.

Coi carolingi è il potere imperiale a dominare, tanto che i principi entrano nel governo delle cose religiose. La reazione fu con il papa Gregorio VII (+1085), autore del Dictatus papae (1075) e della celebre riforma gregoriana. In nome della libertas Ecclesiae, il pontefice apre una fase che però fa pendere il piatto della bilancia dalla parte della supremazia ecclesiastica, sostenendo esplicitamente la superiorità del papato sull’impero, in base al principio che il bene delle anime è superiore a quello dei corpi. Ne scaturisce una visione di Chiesa clericale e caratterizzata dal prae-dominium.

15. Qual è l’opinione ecclesiologica più corrente di Lutero
Il principale attacco di Lutero si fonda sull’autocomprensione istituzionale, contro la quale riprende l’antico aspetto del mistero, elaborando la nozione fondamentale di Chiesa “santa assemblea dei fedeli”. Il problema è la grazia, cosa mi rende giusto dinanzi a Dio: se la dottrina corrente accentuava la parte dell’uomo, in maniera individuale attraverso i meriti delle opere e in maniera istituzionale col potere della mediazione gerarchica, Lutero ritiene invece la radicale impotenza umana (personale e istituzionale), per cui la salvezza può giungere mediante la sola fede, nella sola grazia del Dio che si comunica nella sola Scrittura.

Egli è così portato a criticare tutti i poteri della Chiesa in ordine alla salvezza: il modo di celebrare i sacramenti che pretendono di cancellare i peccati; la gerarchia che presume di far da mediatrice fra Dio e l’uomo; le indulgenze allora oggetto di considerazione e mercato. La vera Chiesa per Lutero è nascosta (abscondita est Ecclesia, latent sancti), gli uomini non hanno strumenti per poterla identificare, gli stessi veri credenti la portano dentro di loro in maniera ambigua e oscura.
Lutero non va però ritenuto uno spiritualista perché riconosce l’esistenza di una Chiesa empirica, visibile che per lui è quella rappresentata dalla comunità concretamente radunata intorno alla forza vitale del Vangelo. La Chiesa è là dove «si insegna l’Evangelo nella sua purezza e si amministrano correttamente i sacramenti».

La parola di Dio assume un primato assoluto, la Chiesa è sotto la parola di Dio, ne dipende continuamente come dalla sua unica e suprema autorità, tutto il resto dalla liturgia ai sacramenti, passa in secondo piano.

Altro elemento dell’ecclesiologia luterana è l’uguaglianza tra tutti i battezzati, con cui si giunge a escludere la sacramentalità dell’ordine che porrebbe un cristiano nella funzione del mediatore. Dio agisce direttamente nel cuore dei fedeli e non ha bisogno di intermediari, per cui ogni credente «è prete, vescovo e papa». Il ministero pubblico non è negato, ma proviene dalla libera elezione dei fedeli e la sua missione consiste nell’attività predicatrice (predicatores) più che sacerdotale (sacerdotes).

16. Cos’è il controversismo
Siamo nel periodo successivo al concilio di Trento. Il controversismo è un corente ch’è caratterizzato dall’apologetica cioè la reazione dei teologi cattolici contro l’anti-istituzionalismo di Lutero. Et per reagire a questo  anti-istituzionalismo protestante l’ecclesiologia cattolica fa quadrato intorno al principio gerarchico, dando rilievo all’immagine societaria che ha il suo maggio rappresentante nel cardinale Roberto Bellarmino (+1621): «La Chiesa è una società di uomini così visibile e tangibile come lo è la società del popolo romano o il regno della Gallia e la Repubblica di Venezia».

L’ecclesiologia più rappresentativa del periodo neoscolastico fu del cardinal Billot che nel 1898 scrisse un De Ecclesia che divenne libro di testo in quasi tutti i seminati del tempo. Egli analizza il
concetto filosofico di società per applicarlo alla Chiesa, senza ulteriori precisazioni. L’idea pre-moderna di società che anima l’autore lo porta a focalizzare gli elementi del governo, delle leggi e delle strutture. L’unica caratteristica soprannaturale della Chiesa è la fondazione da parte di Cristo, per il resto essa sembra un organismo che funziona da sola, in modo autonomo. È assente ogni considerazione della pneumatologia, dei rapporti interpersonali, della dimensione comunitaria.

Verso la fine del XVIII nasce un orientamento ecclesiologico chiamato ultramontanesimo, per la sua origine francese. Essa sviluppò un’immagine di Chiesa che Congar definisce «sotto il segno dell’affermazione dell'autorità». Animata da propositi controrivoluzionari, l’ultramontanesimo si schiera a favore della restaurazione, vedendo nell’autorità ecclesiastica l’elemento in grado di sconfiggere l’individualismo inaugurato dall’illuminismo e dal protestantesimo.

17. Inserisce il nome di qualche ecclesiologo del rinnovamento pre-conciliare
Adam Möhler (+1838) di scuola di Tubinga, nella sua opera principale l’unità della Chiesa ha dato ampio spazio alla dimensione pneumatologica, superando lo stile controriformista e ponendo le fondamenta di un’ecclesiologia di comunione, perseguendo l’intento pratico dirinvigorire la Chiesa sul piano spirituale e di cercare una forma ecclesiale più sinodale.

Nella scuola Romana, abbiamo i nomi come di C. Passaglia (+1887), J.B. Franzelin (+1886), C.S. Schraber (+1887), che assumono alcuni temi möhleriani, elaborando l’idea caratteristica della Chiesa “incarnazione continuata”. Accanto vi furono uomini che stimolarono il rinnovamento in altri settori vitali, come la liturgia, conferendo nuovo vigore soprattutto alla sacramentaria. In particolare l’abate benedettino Prosper Guéranger (+1875) che, nell’opera fondamentale L’Année liturgique, sviluppa l’idea della liturgia come preghiera della Chiesa.

Nei secoli XX, in ambito protestante emergono le figure di K. Barth (+1968), autore di una Dogmatica ecclesiale che valorizza il criterio ecclesiale della comunità, custode della parola di Dio, e di D. Bonhoeffer (+1945) che, nella tesi di laurea Sanctorum communio, fa interagire l’aspetto sociologico e quello spirituale, definendo la Chiesa: «Cristo vivente come comunità».

18. Fondamento Trinitaria della Chiesa

Parlare del fondamento trinitaria della chiesa vuol dire prima di tutto concepire la sua origine . In questo senso ha affermato Robert Coffy retenendo che la LG, rifacendosi al modello di una chiesa trinitaria, ha inteso sostenere che la chiesa  è una realta che parte dall’alto. Ciò non vuol dire dall’alto indica più l’episcopato e il Papato, ma la trinità. Rispecchiare la chiesa nella trinità vuol dire esprimere l’idea che essa non vive di una vita propria, ma di una vita ricevuta, come nell’icona l’immagine non è solo guardata ma si trasmette, così anche la chiesa vive per l’autocomunicazione divina.
Fondare inoltre l’ecclesiologia sulla trinità vuol dire concepire la chiesa come comunione. Il presupposto indispensabile di questa comunione è la fede (GS 13). La fede non è una semplice adesione associativa ma è un dono attuale che vive di un rapporto relazionale con il Dio incontrato.
La comunione trinitaria di cui si parla è la risposta all’esigenza presente nel cuore di ogni uomo che cerca la pace, quella con il Dio della pace.
L’idea di chiesa che ha origine dalla comunione trinitaria non serve a incorniciarla, chiudendola nella sacralità del trascendente. Il dono della comunione è escatologico, la chiesa rimane perciò uno strumento.
19. Ecclesiologia societaria, ecclesiologia di comunione. In che cosa si distinguono
Ecclesiologia societaria, per 8 secoli l’autocomprensione della chiesa è stata  determinata dal concetto di società come risposta ai movimenti anti-istituzionali della riforma 15-16 Secoli. Questo concetto ha contribuito all’affermazione della dimensione storica, dell’aspetto visibile-organizzativo della chiesa, ma anche della sua libertà nella società temporale. Lutero attacca l’identificazione della chiesa come società preferendo la nozione di chiesa come santa assemblea dei fedeli. La chiesa è la comunione di coloro che hanno un’assoluta fiducia nei meriti di Gesù. di conseguenza la vera chiesa è nascosta, invisibile, perché scritta nei cuori, anche se diventa poi visibile sul piano della riunione dei fedeli. Lutero  riconosce la necessità di un ministro che proviene però della libera elezione dei fedeli e che ha il compito di curare gli aspetti d’ordine del culto, ma non ammette la supremazia sui poteri temporali, soprattutto io potere di giuridizione. Pietra miliare dell’ecclesiologia societaria è il pensiero di Bellarmino che accentua gli elementi esteriori mettendo da parte quelli interiori oppure quelli comunitaria. Egli sostiene che, appertenere alla chiesa non è necessario alcuna virtù interiore, ma solo l’esterna professione e la comunione dei sacramenti.
3 conseguenze sono della nozione unilaterale della chiesa come società

Istituzionalismo: Fonzione dell’istituzione: l’istituzione in se stessa è positiva, concente alla chiesa di esprimersi a traversi forme, che situandosi nel diversi situazione... L’istituzione non è servilismo. Gli elementi dell’istituzione sono 3, deposito della fede, i sacramenti e i ministeri ordinati. La riflessioni diventa problematica quando l’istituzione giunge a coprire tutto il campo dell’esperienza religiosa fino a privare lo Spirito e gli uomini della loro libertà. Essa degenera allora in istituzionalismo.
Giuridiscismo, elemento che sottolinea l’aspetto del dirritto canonico, anche qui può essere un ipertrofia cioè dare alla legge un valore assoluto fino a riunchiedere la persona nel (legalismo) non è l’uomo per il sabato ma il sabato per l’uomo.
Clericalismo, Gongar lo chiama gerarchelogismo, si parla del pretre solo colui che agisce nella chiesa... Esso comporta l’accentuazione di quel elemento che partendo dalla definizione della chiesa come societas inaequalis, riduce la dignità ecclesiale al clero. La vita ecclesiale è vista come subordinazione alla gerarchia. È nota la denuncia di Rosmini sulla condizione aristocratica del clero del suo tempo.

Quest’ordinamento societario tendeva creare una mentalità universalistica dove l’appartenenza seguiva un modo preferenziale, conseguenza è stata la prevalenza dei rapporti organizzativi dove l’individuo era inserito in un corpo istituzionalistico. Altri effetti sono stati l’esaltazione della figura del papa visto come guida unica della chiesa, la dimunizione sacramentale dell’episcopato perché i vescovi venivano compresi come amministratori papali, la scomparsa del tema della collegialità e la perdita  del significato teologico delle culture.

Ecclesiologia di comunione,
Alla base di questa ecclesiologia c’è la L.G. Infatti, essa segni il passaggio da una visione giuridica a una visione comunitaria della chiesa. Dopo il concilio, la categoria di comunione è diventata centrale, offrendosi come nozione capace di risolvere i problemi lasciati aperti dal concetto di chiesa come società. L’ecclesiologia di comunione privelegia il riferimento dello spirito. Esso apre, suscitando nella chiesa diversi eventi che non sono riconducibili al naturalismo istituzionale, ma si collagano direttamente alla novità escatologica comportante un’evoluzione storica dell’identità ecclesiale. C’è il primto dello Spirito poiché non è la chiesa che amministra lo Spirito come Spirito di predicazione, Spirito dei sacramenti, S. Dei ministero. È invece lo Spirito che amministra la chiesa con gli avvenimenti della parola e della fede, sacramenti e grazia, ministeri e tradizioni. Moltmann.
Questa ecclesiologia mette al centro anche la persona umana perché si realizza attraverso un incontro di natura dialogica. La fisionomia interpersonale della comunione trascendente si riproduce nella comunione della fede da uomo a uomo, determinando anche una natura interpersonale della comunione ecclesiale. Welt
Il contenuto dell’idea comunitaria si spiega all’interno di diverse caratterizzazioni che vanno considerate per non svuotare il riferimento dei suoi significati:
1.      Affetivo cioè quando si parla di comunità non si cuol intendere solo una realtà quantitativa ma realtà relazionale. Questo stabilisce un’intesa fraterna integrale
2.      L’organizzazione ecclesiale, è la conseguenza della comprensione pneumatolgica che, superando i limiti clericlai del sistema societaria, richiama la necessità di individuare un soggetto comunitario per realizzare le diverse esigenzee ecclesiali.
3.      La terza caratteristica dell’idea comunitaria, che riassume i due primi è quella di comunità locale.
Nell’ordinamento comunitario l’itenario ecclesiale prende questa direzione:
Sia che si tratti del raduno dei credenti in un luogo determinato, anche in questa realizzazione locale la piena realtà della ekklesia si manifesta e si esprime concretamente. Tillards.
20. Chiesa locale e Chiesa universale, cos’è la chiesa locale ?
Per Chiesa locale intendiamo soprattutto la diocesi. Il termine diocesi è il meno adatto: le diocesi erano i settori amministrativi dell’impero romano. La diocesi è la comunione di persone che si crea all’interno di un territorio: essa è non è un semplice richiamo alla Chiesa, ma è la Chiesa di Dio che si realizza in tutto il mondo.
Prima del Concilio tutta la Chiesa veniva vista come una grande diocesi governata dal Papa: non era l’individuo che formava la Chiesa, ma era l’istituzione centrale che rendeva Chiesa l’individuo; vi era un forte centralismo romano, con una assolutizzazione della figura del papa: il vescovo non regge la diocesi a nome del papa, ma un vescovo governa una Chiesa. Il tema della collegialità era totalmente assente, e si era perso il significato teologico delle culture.
Nell’ecclesiologia di comunione del Vaticano II l’itinerario ecclesiale prende una direzione che si basa su una convinzione fondamentale: in ciascuna delle manifestazioni locali, la piena realtà della Chiesa di Dio si esprime concretamente. Circa il termine, il Vaticano II non usa il termine diocesi (di natura amministrativa), ma l’espressione Chiesa locale, riferita soprattutto alla diocesi, ma talora anche ad un raggruppamento di Chiese locali o anche ad una parrocchia (anche se molto raro). Molto utilizzata è anche l’espressione Chiesa particolare, espressione con la quale si intende sia una diocesi sia un nucleo complessivo di diocesi o addirittura Chiese diverse da quella cattolica. Congar chiama Chiesa locale la diocesi, mentre Chiesa particolare il raggruppamento di diocesi; de Lubac parla di Chiesa particolare circa la diocesi, mentre di Chiesa locale per un raggruppamento di diocesi. Vi è un’oscillazione linguistica. In ogni caso, la Chiesa locale non può essere più considerata una frazione del mistero della Chiesa, ma essa lo realizza compiutamente. In LG 26 si afferma che la Chiesa di Cristo esiste nelle Chiese locali in forma piena, anche se queste diocesi sono piccole e disperse; in CD 11 si dice che la Chiesa di Cristo non è solo presente, ma agisce nelle Chiese locali: l’essere locale è costitutivo della Chiesa. Dimensione universale e dimensione locale sono due dimensioni fondamentali e inscindibili della Chiesa.
Ma perché la Chiesa locale è la realizzazione piena della croce di Cristo? Nella Chiesa locale sono presenti tutti gli elementi costitutivi che fanno la Chiesa:
-        i ministeri, tra cui quello episcopale;
-        porzione dei fedeli
-        azione dello Spirito
-        annuncio della Parola di Dio
-        Eucarestia.

Il Concilio raggruppa tutti questi elementi in SC 41, dove si dice che si ha una speciale manifestazione della Chiesa quando vi è un solo altare, una sola preghiera, una sola Eucarestia. La Chiesa, per sua indole, si concretizza nella Chiesa locale:
Il Vat II chiama chiesa-locale, i singoli diocesi. A questa epressione viene applicata anche un preciso raggruppamento di diocesi o le singole parrochia. PO 6.
Congar chiama chiesa-locale diocesi mentre riserva l’espressione chiesa-particolare a una realtà caratterizzata da una fisionamia più complessa che può essere la lingua, la mentalità e quindi può comprendere più diocesi, un’intera nazione, o continente (chiesa particolare dell’Asia...).
La chiesa locale realizza compiutamento il mistero della chiesa.
LG 26 la chiesa di Cristo esiste nella chiesa locale in forma piena anche se questi diocesi sono piccoli e poveri.
Christus dominus 11 la chiesa di cristo è veramente presente e agisce nella chiesa locale
LG 23 nelle chiese locale e dalle chiese locale è costituita l’unica chiesa cattolica. La chiesa non solo esiste nelle chiese locale ma esiste apartire delle chiese locale. Essere locale è costituitivo per la chiesa. Nella santa messa nominiamo i nomi del papa e del vescovo per esprimere l’unione della chiesa locale e universale. Elementi costituitivo della chiesa: l’azione dello Spirito, l’annuncio della Parola di Dio, l’Eucaristia, i ministeri compreso il ministero episcopale, una porzione dei fedeli. Con questi 5 elementi c’è la realizzazione piena della chiesa. Or, la chiesa locale ha tutti questi elementi, quindi forma la chiesa. Luogo principale della manifestazione della chiesa locale è l’Eucaristia.

L’ortodosso Afanassiev dice ogni chiesa locale dove si celabra l’Eucaristia realizza la chiesa allo stesso modo come l’ostia spezzato in particolare realizza l’unico Cristo. Ogni framento di Cristo è tutto intero, così in ogni chiesa locale si esprime tutto il mistero della chiesa. La pienezza dell’Eucaristia, la pienezza della chiesa locale.
Il Valore teologico delle culture

Dire chiesa locale si intende anche il luogo, non solo spazio fisico ma soprattutto culturale. La presenza piena della chiesa locale a conseguenza della cultura. La visione ecclesiale non distrugge ma valorizza le caratteristiche del luogo con cui i cristiani accolgono la parola della convocazione cioè la cultura locale. Il processo di inculturazione deve essere considerato come un compito. La localizzazione implica il dovere della differenziazione, un’unità concepito in maniera cattolica. La chiesa s’incarna nelle diverse particolarità.

L’affermazione del particolare “chiesa particolare” non dice la parola conclusiva, perché lo Spirito, garanzia della pienezza locale, è anche colui che spinge alla comunione totale.
21. Concetto di Chiesa nella LG, dire i singoli capitoli della LG
La  Costituzione dogmatica Lumen Gentium  presenta nel suo primo capitolo una concezione misterica della chiesa.
CHIESA COME MISTERO,
La chiesa scaturisce dal disegno del Padre, realizzato con l’opera del Figlio e dello Spirito. La chiesa ha una natura misterica. L’idea  del mistero è coniugata con il tema dell’origine, per dire che la Chiesa viene da Dio e non dall’iniziativa umana. La chiesa vive di una vita che non si da sola, ma di un dono che non proviene né dal basso né dall’alto dell’episcopato o del papato, bensì dall’alto della Trinità. Così diceva Cipriano che definiva la chiesa “ popolo radunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ”. Il rapporto Chiesa-Trinità richiama una comunione di vita Trinitaria che si comunica, dando vita alla comunione ecclesiale. Così affermava Congar usando l’immagine di un fiume che vive della sua sorgente. Il  riferimento alla Trinità è dinamico e programmatico, specificando in una prospettiva articolata che si coniuga attraverso una comunione singolare con il Padre, con il Figlio e con lo Spirito Santo, che la GS 40 ripropone sintetizzando: “ la Chiesa procede dall’amore dell’eterno Padre, è fondata nel tempo da Cristo redentore, è radunata nello Spirito”. La visione misterica sfocia, in modo quasi naturale, nella ripresa del linguaggio simbolico, usuale tra i padri. È il N° 6 della L.G che porta una serie di immagine attingendolo dalla Bibbia, dai padri e dai documenti liturgici. Le immagine del lievito e del chicco di senape indicano la piccolezza della Chiesa Cf. Mt 13, 31-33, il campo seminato con grano e zizania indica la sua maturazione. Uno spazio a parte è dato all’immagine della chiesa corpo misterico di Cristo. Dalla concezione di “SOCIETAS PERFECTAqualificata come inaequalis hierarchica, composta di 2 ordini di cristiani, disuguali tra loro: la gerarchia e i fedeli , si passa a quella cristocentrica di ‘CORPO MISTICO DI CRISTO”, corpo di Cristo nel suo capo e nelle sue membra, a formare un unico corpo di Cristo: la chiesa formata dal magistero e la chiesa formata dai laici , unico corpo.

Il riconoscimento della natura misterica della chiesa non porta ad affermare che essa sia una realtà invisibile, puramento interiore e nascota nei cuori, perché comporta anche un’istituzione visibile.

A.    MISTERO E ISTITUZIONE

Nella sua forma essenziale l’istituzione comprende una serie di elementi contrassegnati dalla stabilità, come i dogmi, i sacramenti, le norme morali, i ministeri gerarchici, ma sul piano pratico si affermano altre realtà intermedie che intendono disciplinare l’organizzazione della vita ecclesiale, come il codice di diritto canonico. L’istituzione è garanzia di libertà , perché permette il riconoscimento visibile della chiesa, ne assicura la stabilità nel tempo e nello spazio. Essa favorisce inoltre l’indicazione dei luoghi concreti in cui incontrare la grazia  e dà al credente la possibilità di realizzare la sua identità comunitaria. L’istituzione è concepito al servizio del mistero di comunione. L’istituzione deve coltivare dipendenza e sottomissione.

LG 8: “ la società gerarchicamente organizzata da una parte e il corpo mistico dall’altra, l’aggregazione visibile e la comunità spirituale, la chiesa della terra e la chiesa ormai in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come 2 realtà; esse costituiscono al contario un’unica realtà complessa, fatta di un duplice elemento, umano e divino. Per una non debole analogia  essa è paragonata al mistero del verbo incarnato. Infatti come la natura umanana assunta serve al Verbo divino come vivo organo di salvezza indissolubilemente unito alui; in modo  non dissimile l’organisimo sociale della chiesa serve allo Spirito vivificante di Cristo come mezzo per fare crescere il corpo. Questa Chiesa, costituita e organizzata in questo mondo come società sussiste nella chiesa cattolica, gorvenata dal successore di Pietro e dai vescovi che sono in comunione con lui”.

B.     SACRAMENTO DI SALVEZZA

Un’altra funzione della nozione di mistero è l’orientamento soteriologico, precisando il perché della presenza della chiesa nel mondo. Sacramento di salvezza vuol dire come scritto nell proemio della LG: “ la chiesa è in Cristo come sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”.  Il concilio sceglie le immagini della “Gerusalemme celeste” “Madre”Sposa immacolata dell’agnello immacolato” “Corpo di Cristo” “Popolo di Dio” e poi la definizione che forse riesce a inglobare un po’ tutto e a unificarlo: CHIESA -COMUNIONE che parla di una realtà PLURIARTICOLATA di tanti elementi fatti  per comporsi in unità, senza escludersi, e dar vita così a una realtà ricchissima. Il modello sacramentale dice l’importanza della chiesa, ciò che la rende mediatrice della salvezza, ma anche il suo impegno perché non identificandosi con la salvezza, essa è chiamata a servirla sul piano del segno eda ogni segno si chiede la trasparenza.
Il secondo capitolo approfondice in termini biblici il tema del POPOLO DI DIO: La chiesa è POPOLO di DIO
Il tema della Chiesa come popolo di Dio costituisce un’unità col capitolo precedente sulla Chiesa come mistero. Il popolo richiama le coordinate storico-antropologiche del mistero ecclesiale, assumendole a partire da un significato comunitario. Nel primitivo schema conciliare “Philips” il titolo di popolo di Dio non è ancora presente; compare al 3 posto, in tutt’uno con il tema dei laici, il 30 nov 1963. Dopo dibattiti, in cui si cercò di chiarire che anche i pastori erano nel popolo di Dio, si decide, su proposta del card. FRINGS, di investire l’ordine fra il secondo cap.(dedicato alla gerarchia) e il terzo (identificato con i laici), facendo intuire che “ per popolo non si intendeva affatto il gregge dei fedeli affidati ai pastori, ma l’intera comunità alla quale appartengono capi e laici”. Questa operazione è stata seganalata come la rivoluzione copernica dell’ecclesiologia conciliare, perché declericalizza il concetto, portando a ritenere che tutti sono chiesa su un piano di uguaglianza ontologica derivante dal battesimo. Prima di ogni distinzione, l’esistenza in Dio nella chiesa è comunione, essa va vista come un corpo di cristianis. Così dice la LG: “ Unico quindi è il popolo eletto di Dio: “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo » (Ef 4,5); comune è la dignità dei membri in forza della loro rigenerazione in Cristo, comune è la grazia di essere figli , comune è la vocazione alla perfezione; non c'è che una sola salvezza, una sola speranza e una carità senza divisioni. Quindi in Cristo e nella Chiesa nessuna ineguaglianza. Anche se per volontà divina alcuni sono costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori a vantaggio degli altri, fra tutti vige però vera uguaglianza quanto alla dignità e all’azione nell’edificare il corpo di Cristo che è comune a tutti quanti i fedeli”. Non vale più lo schema cristomonista- esclusiva: Cristo-clero-comunità ma bensì quello pneumatologico-comunitaria: Cristo/Spirito- comunità-ministeri-carismi. Una diretta conseguenza del principio di uguaglianza è l’applicazione a tutti i batezzati del triplex munus, sacerdotale, profetico e regale. L’universalità del popolo non misconosce gli specifici patrimoni culturali; la corresponsabilità non appiattisce la ministerialità. Unaltro elemento di comprensione che scaturisce dalla categoria popolo di Dio è l’universalità. La chiesa esula da ogni cnfine di nazione, razza, genere o lingua. La chiesa è popolo di Dio. Infatti, il genitivo “di” Dio richiama l’elemento caratterizzante dell’origine dall’alto e che ha per soggetto prevalmente il Padre, colui dal quale tutto proviene. E ciò dice la cattolicità della chiesa. Se infatti la chiesa è il popolo di Dio, allora deve sentire suoi anche i problemi, le preocupazionei e gli interessei socilai e culturali di quel popolo in cui si inserisce e degli altri popoli con cui entra in contatto. Ecco l’appertura all’ecumenismo, al dialogo interreligioso, alla solideriatà.

Struttura della LG
CAPITOLO I: Il mistero della Chiesa
CAPITOLO II: Il popolo di Dio  
CAPITOLO III: Costituzione gerarchica della Chiesa e in particolare dell’episcopato
CAPITOLO IV: I Laici
CAPITOLO V: Universale vocazione alla santità  nella chiesa
CAPITOLO VI: I religiosi
CAPITOLO VII: Indole escatologica della Chiesa peregrinante e sua unione con la Chiesa celeste
CAPITOLO VIII: La Beata Maria Vergine Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa 
22. Le azioni della Chiesa
Ognuno di questi elementi è nell’altro e ciascuno si comprende alla luce dell’altro. Questi quattro attributi sono legati inseparabilmente tra di loro, indicano tratti essenziali della Chiesa e della sua missione.
1. Una
L’unità esprime un bene fondamentale della Chiesa e non a caso occupa il primo posto nell’elenco del gruppo simbolico. La sua importanza è ampiamente documentata dal dato scritturistico e dalle riflessioni dei padri di cui si possono citare tanti scritti, a partire dal primo abbozzo di ecclesiologia che Cipriano dedicò proprio al De unitate Ecclesiae. Il modo di intendere questa proprietà è però mutato nel tempo anche se le sue due accezioni essenziali sono rimaste inalterate: una nel senso che esiste una sola Chiesa e una nel senso unitivo dei legami interni. Entrambi gli aspetti sono sottolineati in questo passaggio di Lumen gentium 13:

«Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l’intenzione della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi».

1.1. Fondamento biblico. Si deve rimarcare l’interpretazione della salvezza di Gesù nei termini pregnanti della riconciliazione, Gesù è venuto «per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,52); ad abbattere il muro della separazione, eliminare l’inimicizia (Ef 2,13-22) e riappacificare tutte le cose, «sia quelle che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,19-20). L’unità è pure il dono ultimo che Gesù chiede al Padre per i suoi discepoli e anche la sua ultima consegna: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi,... (Gv 17,20-23).
Consapevole di questo lascito, la comunità nascente degli Atti si presenta alla storia unita nella comunione e nell’amore vicendevole: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola» (4,32). Guidata dallo Spirito della pentecoste essa diffonde nel mondo gli effetti salutari della redenzione di Cristo, compiendo due passi importanti: unire nel rispetto della diversità e diffondere il Vangelo a tutti i popoli. Di qui deriva lo stretto legame tra l’unità e la cattolicità: l’unità non esclude che ogni popolo comprenda nella “propria” lingua senza preclusione di razza o di condizione sociale (è dunque un’unità cattolica) ma impedisce la confusione o la frammentazione (è dunque una cattolicità che rispetta l’unità).

Un celebre testo paolino dà le ragioni teologiche di questa unità ecclesiale:

«Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,4-6).

1.2. Riflessione teologica. Consideriamo tre approfondimenti: il fondamento trinitario, la questione dei vincula unitatis, la nozione della communio sanctorum.

1) Il fondamento trinitario. La Trinità costituisce modello e fonte dell’unità della Chiesa: modello perché ciascuna persona divina è relativa alle altre e insieme esprimono l’unità; fonte perché la Chiesa è per sua natura estensione della vita trinitaria nel mondo, secondo l’espressione di Cipriano di «popolo radunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (de unitate Patris et Filii et Spiritus Sancti plebs adunata)».  La Chiesa attinge quindi la propria unità non dagli uomini (che spesso registrano piuttosto i propri fallimenti al riguardo) ma dall’uni-trinità divina. Essa è una perché Dio è uno.
2) I tre vincula. La questione dell’unità della Chiesa si è resa spinosa soprattutto dopo la divisione del XVI secolo che ha visto i cattolici assestarsi sugli elementi fondamentali dell’istituzione, e i protestanti su quelli più spirituali. Si è così giunti quasi a opporre due Chiese, quella della societas exteriorum e quella della societas in cordibus. Il Vaticano II sostiene che la Chiesa non è mai l’una o l’altra cosa, ma un’unica realtà complessa (complexa realitas) che comprende entrambi gli aspetti (LG 8). L’unità della Chiesa non comporta perciò solo principi divini e interiori, ma si esprime in vincoli strutturali che il concilio riassume rirendendo la triade tradizionale: medesima fede, stessi sacramenti, stesso governo ministeriale (LG 13; UR 2; OE 2).
- L’unità di fede porta a riconoscere un solo Vangelo, quello di Cristo (Gal 1,6) e, di conseguenza, a professare un medesimo credo.
- L’unità nel culto che si esprime soprattutto attraverso la celebrazione dei sacramenti, con formulari, canoni e riti che dicano la comunione della preghiera, pur nel rispetto della legittima loro varietà.
- Al servizio dell’unità il Nuovo Testamento presenta un’organizzazione ministeriale con compiti pastorali e funzioni specifiche di vigilanza e di responsabilità dell’unità ecclesiale (Ef 4,13-16).
3) La communio sanctorum. L’idea di communio sanctorum cioè comunione dei santi (comunione di coloro che sono santificato da Gesù) è così importante da aver ricevuto un posto a parte nell’elenco del credo. Servendoci del concetto di comunicazione si può vederla come una modalità particolare della prima proprietà. L’unità sull’unico Bene fonda tra i membri della Chiesa una reale comunicazione per cui uno può agire sull’altro. Non si parla solo dei membri attuali ma anche di coloro che sono defunti o che sono venerati come santi. La vita ecclesiale è come quella dei vasi comunicanti, tutti i membri vivono congiunti gli uni agli altri, al punto da essere gli uni negli altri in una forma di pericoresi ecclesiologica.
Due contrari dell’unità sono l’uniformità e l’eresia. La prima costituisce un equivoco perché riduce l’unità a un unico registro, senza dare il giusto spazio alla diversità.

Tre lacerazioni singolari e ampiamente studiate in questo ambito sono l’eresia, l’apostasia e lo scisma, che il Diritto canonico considera in questa sintetica definizione: «Viene detta eresia, l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa; apostasia, il ripudio totale della fede cristiana; scisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice e della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti» (can 751).
e) L’unità sociale. Che contiene un messaggio sociale che si ritrova ad esempio nel comandamento di amare il prossimo, tanto che «se uno dicesse: “io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore» (1Gv 4,20).

La concezione di unità nella Chiesa primitiva si estendeva anche alla solidarietà nei beni materiali.
3) L’impegno della missione. Per raggiungere e vivere un’autentica unità è necessario educare le coscienze. In un momento storico come l’attuale, in cui un esasperato individualismo spinge a rinchiudersi in interessi privati, la comunità cristiana è chiamata a promuovere una cultura di comunione.
2. Cattolica
L’aver posto questa proprietà in stretta relazione con la precedente ci porta a considerarla al secondo posto. Nella storia della teologia la cattolicità (dal greco kath'olou = ordinato al tutto), ha conosciuto due significati di fondo: quantitativo e qualitativo. Il primo (chiamato anche geografico) identifica la cattolicità con l’estensione della Chiesa super omnem terram, senza limiti di razza, nazionalità o condizione sociale; il secondo fa riferimento alle ricchezze particolari di questi uomini e popoli che vengono assunte con l’adesione al Vangelo, differenze che possono essere di ordine culturale, teologico, liturgico.
2.1. Breve indagine storica. Il Nuovo Testamento non conosce l’aggettivo katholikos, tra i Padri, il primo è Ignazio di Antio­chia (+110c) che lo riporta nella lettera agli Smirnesi, senza spiegarlo: «Là dove c’è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica (ubi fuerit Christus Jesu, ibi catholica Ecclesia». Nel Martirio di san Policarpo lo si trova più volte, attribuito alla Chiesa universale e locale, il martire Policarpo si presenta come «vescovo della Chiesa cattolica di Smirne». Il Vaticano II usa il termine in tutti e due i sensi richiamati, entrambi presenti nel n. 13 della Lumen gentium scrive:
- «L’unico popolo di Dio è presente in tutte le nazioni della terra, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i suoi cittadini, cittadini di un Regno che per sua natura non è della terra, ma del cielo. E infatti tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli altri nello Spirito santo, e così “chi sta in Roma sa che gli indi sono sue membra”»,
- «La Chiesa nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le risorse, le ricchezze, le consuetudini del popoli, nella misura in cui sono buone, e accogliendole le purifica, le consolida e la eleva».

2.2. Cattolicità e missione. La nozione della cattolicità è strettamente collegata a quella di missione, in quanto spinge a dilatare la Chiesa ai confini del mondo. Essa è dunque una delle ragioni dell’attività missionaria.

Saper convivere nella diversità. Gli africani, restando nella comunione universale della Chiesa di Cristo, hanno il dovere di costruire una Chiesa africana, e così via sudamericani. Questo dice la citazione di Ignazio di Antio­chia: «Lì dove è Cristo, ivi è la Chiesa cat­tolica». La prima cattolicità è quella di vivere nella pienezza del Cristo.

La nozione di cattolicità autorizza quindi il pluralismo, aprendo alla Chiesa un’ampia possibilità di forme che riguardano ambiti come i costumi, le leggi, le tradizioni, ma anche una «diversa enunciazione teologica delle dottrine» (Unitatis redintegratio 17: EV 1/553). La cattolicità non è una realtà monocolore, dove tutti vivono o agiscono allo stesso modo, ma un corpo diversificato che ricava la sua ricchezza dalla capacità di non escludere nessuna persona. Ma poiché, come si è accennato, questa proprietà è strettamente correlata a quella dell’unità, occorre fare il modo che il legittimo pluralismo non degradi al livello di un pluralismo selvaggio: senza la cattolicità l’unità declassa al livello dell’uniformità e senza l’unità la cattolicità si trasforma in un pluralismo privo di identità. Riferendosi al rapporto tra Chiese locali e Chiesa universale, J. Ratzinger scrive:

«Con questa parola [cattolicità] si allude all’unità della Chiesa in un duplice senso. Innanzitutto, ci si riferisce all’unità di luogo: solamente la comunità unita al vescovo è Chiesa cattolica, non i gruppi parziali che, per qualsiasi motivo, se ne sono staccati. In secondo luogo, è qui richiamata l’unità delle Chiese locali fra loro, le quali non possono rinchiudersi in se stesse, ma possono rimanere Chiesa solo mantenendosi aperte l’una verso l’altra, formando un’unica Chiesa nella comune testimonianza della Parola e nella comunione della mensa eucaristica, che è aperta a tutti in ogni luogo...».

Ciò non esclude che vi siano tensioni e conflitti, inevitabili in un corpo che cresce per giungere la pieno compimento.
2.3. Cattolicità e opzione per i poveri. Anche qui è possibile ricavare un’applicazione che porta la cattolicità verso un’attenzione specifica alla diversità oppressa. Seguendo l'esempio di Cristo, la chiesa deve accettare di porsi in difesa di quei “diversi” che sono oggetto di discriminazione e privati di dignità. Si può dunque affermare che la Chiesa è cattolica anche nella misura in cui riconosce l'amore di Dio che vuole la redenzione degli oppressi.
3. Santa
Un’attributo ricco di contenuti. È Cristo,  che purifica la Chiesa incessantemente «al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5,27). È anche l’attributo più problematico per la contro testimonianza di molti credenti.
3.1. Riflessione antropologica. La ricerca della santità ha un aspetto universale. Essa nasce dalla spinta umana verso l’ideale, dall’esigenza che ogni uomo ha di superare i propri limiti,. La società ha favorito tale orientamento, organizzando una disciplina del sacro; equipaggiandosi di particolari insegnamenti; proponendo figure significative in grado di fare da modello; venerandole dopo la morte con un culto che crede nel loro benefico influsso sull’avanzamento morale del popolo. Il mondo greco-romano aveva gli heroes, le cui gesta sono narrate in un misto di storia e di mito. Nelle religioni più sviluppate, l’islam presenta una forte accentuazione teologica del titolo di Santo che attribuisce solo a Dio, il quddush, il “santissimo” (Corano 59,23).
3.2. Riflessione biblica. Per l’Antico Testamento è quasi un dogma attribuire il titolo di “santo” solo a Dio. Con esso s’intende indicare la sua trascendenza, la sua perfezione morale e il fatto che egli è degno della lode e dell’ammirazione degli uomini. L’elezione fa di Isreale l’am segullah, che partecipa alla dignità del Qadosh. È quindi innanzitutto una santità-di-appartenenza che diventa però fondamento di una chiamata alla santità-vissuta: «Siate santi perché io sono santo» (Lev 11,45).
Per il cristianesimo, prima di essere un impegno, la santità è un dono della partecipazione al mistero personale del Cristo, «chiamato santo e figlio di Dio» (Lc 1,35). Lo scopo dell’elemento rituale (i sacramenti) è di realizzare il contatto-incontro con Cristo, ma se il battesimo santifica per Paolo è perché produce una unione personale con il Cristo (Rom 6,3-11).
3.3. Riflessione teologica. Nella Expositio in symbolum apostolorum, Tommaso segue il paragone della consacrazione del tempio per dire che i cristiani sono santificati nella Chiesa in più modi: per il sacrificio del Cristo, per la purificazione del battesimo, per l’unzione dello Spirito, per l’inabitazione divina, avvertendo però che si tratta pure di un dono minacciato, per cui i cristiani devono stare «attenti a non offuscare lo splendore di questo tempio di Dio
1) Il fondamento trinitario. Parlare di fondamento trinitario significa spiegare il motivo principale della santità della Chiesa. La Chiesa è santa per appartenenza e per partecipazione, con motivi che vanno cercati nella sua relazione con la Trinità.  È lo Spirito che trasforma la communio peccatorum in communio sanctorum.
2) La natura. Un modo tradizionale di studiare la santità della Chiesa segue la duplice tipologia sopra richiamata: la santità oggettiva (detta anche ontologica) riguarda gli elementi formali che costituiscono la via della grazia e cioè la Parola, i sacramenti e la carità; la santità soggettiva riguarda i membri chiamati alla santità. La dimensione oggettiva non può mai venire meno nonostante l’imperfezione dei membri, è ciò che fa dire alla Lumen gentium: «Noi crediamo che la Chiesa è indefettibilmente santa» (n. 39). L’avverbio non elimina la possibilità di attribuire alla Chiesa errori, peccati e limiti, bensì esprime la permanenza di un legame con Dio che si fonda sulla promessa del Cristo: «Io sarò con voi sino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
Scrive J. Ratzinger:
«L’aggettivo santo [...] non intende in primo luogo la santità delle persone umane, ma si riferisce al dono divino, al dono della santità umana. Nel simbolo la Chiesa viene chiamata santa non perché i suoi membri siano, insieme e singolarmente santi, uomini senza peccato.
3) Il problema del rapporto tra santità e peccato. La questione che più ha tormentato gli ecclesiologi è quella del rapporto tra santità e peccato, giusti e peccatori. Il rischio è quello di un’aporia: se la Chiesa è “santa” non si vede come i peccatori possano appartenerle ed essere detti suoi membri; se è pure “peccatrice” non si vede come possa essere detta pure “santa”, in quanto santità e peccato non possono coesistere senza annullarsi reciprocamente; se infine si riconosce che nella Chiesa c’è il peccato non si vede come questo non abbia una qualche influenza sulla sua esistenza. Sono tre problemi cui accenniamo separatamente.
- Per il primo problema si sono date diverse soluzioni che hanno visto opporsi, lungo tutta la storia della Chiesa, i puristi (che limitano l’appartenenza solo ai buoni e ai virtuosi) e gli accondiscendenti (contrari all’idea di una Chiesa di soli santi). Rigoristi furono i montanisti, i novaziani, i donatisti, i catari, gli ussiti, i giansenisti, tutti comprensibilmente preoccupati di una Chiesa fedele a se stessa, giungendo però a soluzione scissionista. Tra i padri prevale la seconda posizione, più attenta alla misericordia. Un esempio è dato dalla controversia coi donatisti, che escludevano dalla Chiesa i traditores, cioè quei cristiani che avevano “consegnato” ai pagani i libri sacri e che dichiaravano invalidi i sacramenti dei loro ministri. Ottato di Milevi scrive contro di loro, rimandando a Dio il giudizio:
«Non è peccatore colui che voi presumete sia tale. Se così fosse, anche noi potremmo imitare la vostra presunzione e dichiararvi peccatori. Ma si rinunzi una volta tanto a questa presunzione da una parte e dall’altra: nessuno di noi deve condannare un altro con un giudizio prettamente umano. È proprio solamente di Dio conoscere chi è colpevole, e appartiene a lui emettere una sentenza di condanna. Noi tutti, perché uomini, teniamoci in silenzio: Dio solo deve giudicare quel peccatore».
L’autore difende l’aspetto oggettivo più che soggettivo, sostenendo che la Chiesa è santa non tanto nei suoi membri, che sono sempre in cammino verso la perfezione, ma per la presenza dello Spirito Santo, i sacramenti, i ministeri, i beni ecclesiali come quello dell’unità con il vescovo di Roma.
La santità della Chiesa va quindi considerata in un’attribuzione dialettica che comprende il bisogno di una continua purificazione. Il n. 8 della Lumen gentium parla di «Chiesa santa insieme e sempre bisognosa di puri­ficazione (sancta simul et semper purificanda), (che) incessantemente si applica  alla penitenza e al suo rinnovamento».
- Riguardo alla questione se la presenza del peccato nella Chiesa possa portare a usare l’espressione di “Chiesa peccatrice”, i pareri sono discordi. È favorevole a questo lessico H. Küng, ritenendo che, in quanto assemblea di uomini, la Chiesa porta il peccato dentro di sé, nella sua stessa definizione, è in comunione con Dio ma anche distante da lui e dunque santa e peccatrice al tempo stesso, mentre Karl Rahner preferisce l’espressione “Chiesa di peccatori”:

«La Chiesa è la comunità degli uomini peccatori. In quanto comunità di uomini peccatori redenta e ordinata da Cristo e quindi  frutto della salvezza, essa è anche lo strumento salvifico mediante il quale Dio opera la salvezza dei singoli ».
Il Vaticano II, pur richiamando più volte la necessità della purificazione, non usa mai l’espressione “Chiesa peccatrice”. Dobbiamo perciò ritenere che:
«Il suo essere composta da peccatori non è la caratteristica essenziale come lo è la santità, perciò si può parlare di “una Chiesa di peccatori”, ma non di una “Chiesa peccatrice” (sarebbe come identificare la Chiesa fin dal principio con le sue membra peccatrici, dimenticando che il capo e i mezzi della grazia nella Chiesa non sono peccatori)» (L. Scheffczyk).
3.4. La chiamata universale alla santità. La santità oggettiva ed ontologica deve accompagnarsi alla santità soggettiva ed esistenziale passando, come fa Paolo nella teologia battesimale di Rom 6,3-11, dall’indicativo all’imperativo. Credere in una Chiesa santa implica una chiamata a percorrere la strada della santità, che altro non è se non è la fedeltà al proprio battesimo. «La volontà di Dio è questa: che vi santifichiate» (1Ts 4,3). Questo è il tema del capitolo V della Lumen gentium che gli conferisce una dimensione universale, sostenendo che è una meta comune a tutti: «È dunque evidente che tutti i fedeli cristiani, di qualsiasi stato o ordine, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità e che tale santità promuove un tenore di vita più umano anche nella stessa società terrena» (n. 40: EV 1/389).
4. Apostolica
Con il termine apostolicità, in senso stretto, si intende il primato assoluto degli apostoli per la Chiesa di ogni tempo e luogo, un primato qualitativo e causale, «in quanto la Chiesa ha in essi la propria origine: con gli apostoli la Chiesa esiste; invero Cristo l’ha istituita essenzialmente sui Dodici e la loro missione, con i poteri di ministero che comporta, basta a costituire in modo fondamentale la missione apostolica della Chiesa» (Congar).
4.1.Tre tipologie: apostolicità di origine, di fede e di successione nel ministero. La prima (anche chiamata apostolicità di fondazione) pone l’origine della Chiesa nella missione degli apostoli, con ovvio riferimento al Cristo che sta alla base della loro elezione; la seconda intende sottolineare la fedeltà e la continuità della Chiesa alla dottrina degli apostoli e dei padri, non solo nei contenuti della fede, ma anche nelle tradizioni e nei riti; la terza sostiene l’idea che il mandato conferito agli apostoli succede in alcuni successori che sono i vescovi, con particolare riferimento al papa, la cui validità legittima della successione era particolarmente evidente.
4.2. Apostolicità e romanità. Al centro della comunione visibile delle Chiese e come loro punto di riferimento si colloca il ministero universale del Vescovo di Roma, successore di Pietro. Suo compito essenziale è di «presiedere nella carità alla comunione delle Chiese».
Il Vaticano II ha riaffermato il primato giuridico del Romano Pontefice (LG 22b), collocandolo nel contesto dell’intera Chiesa e del collegio episcopale, unito al suo capo, «pure soggetto di suprema e piena potestà su tutta la Chiesa». Se quindi al Romano Pontefice viene attribuita «tutta la pienezza di questa suprema potestà», come dice la Pastor aeternus (DS 2064), essa non toglie nulla alla “pienezza” che appartiene anche al corpo episcopale. Il papa possiede questa pienezza a titolo personale, mentre il corpo episcopale la possiede collegialmente, unito sotto l’autorità del Papa.
4.3. La storicità dell’apostolicità. L’apostolicità esprime un dono e un compito: il dono è quello della durata contenuta nella promessa di Gesù che la Chiesa rimarrà nel tempo e che le forze del male non potranno distruggerla (Mt 16,18); il compito è di conservare fedelmente l’iden­tità ricevuta. Gli apostoli sono perciò quella realtà cui la Chiesa deve sempre far rife­rimento nel cammino della storia. La continuità è dettata dalla fedeltà. Ciò non spinge univocamente all’indietro, perché gli Apostoli sono anche coloro che circonderanno la seconda venuta del Figlio dell’uomo e ne proclameranno la signoria (Mt 19,28).
Questa proprietà non spinge quindi solo verso il passato, ma apre alla contemporaneità e al futuro. Il riferimento alla passato va vissuto attraverso una tensione aperta, perché lo Spirito non ha cessato di assistere la Sposa. L’apo­stolicità impedisce la creazione di una Chiesa nuova, slegata dalle sue radici ma si oppone pure alla creazione di una Chiesa imprigionata in un punto preciso del tempo. Il nucleo originario, che è oggetto della traditio, non è un puro ricordo, ma qualcosa che esige di essere incarnato di volta in volta in situazioni nuove, tempi e uomini diversi.
4.4. Tutta la Chiesa è apostolica. Nel credo diciamo che “la” Chiesa è apostolica, non solo la gerarchia o alcuni membri, quindi tutto il popolo di Dio è responsabile della fedeltà alla testimonianza degli apostoli. La funzione episcopale non è al di fuori del popolo di Dio, ma all’interno con il compito specifico di garantire e tutelare tale apostolicità. In altri termini si può dire: non è l’apostolicità che è in fun­zione dell’episcopato, ma è l’episcopato che è in funzione dell’apostolicità.
Lo stesso rapporto funzionale si realizza nel rapporto tra apostolicità di ministero e apostolicità dottrina: non è la prima che regola la seconda ma sono i vescovi che devono regolare il loro ministero sottomettendosi alla fede della Chiesa (simbolo della cattedra). Ne deriva che il rispetto e l’obbedienza che si devono al ministero episcopale non conducano a un credito incondizionato.
23. Rapporto Chiesa-Regno
LA META E IL REGNO (tesi ecclesiolica: dimensione escatologica)

Il rapporto tra il presente e il futuro. È Oscar Cullmann che ce lo dice in modo genuino. Inserisce l’idea di un escatologia a 2 tempi: il “gia” del Cristo venuto e il “non ancora” del Cristo atteso con la parusia. La dimensione escatoligica della chiesa è esperanza, fiducia dell’attesa di un compimento. Già nel battesimo siamo costituiti figli di Dio ma non lo siamo ancora nella sua pienezza, nell’Eucaristia siamo già in comunione con Cristo Signore ma non ancora nella piena comunione. Dunque una struttura bi-polare del Regno, dove il presente non assorbe tutto il futuro e dove il futuro non esclude il riferimento al presente. Tutta l’ecclesiologia può essere esposta e ordinata in questo quadrilatero: regno di Dio=Chiesa di Cristo=Chiesa cattolica romana=corpo mistico di Cristo in terra. Nel primo schema della LG “Philips” mancava ogni riferimento sull’impostazione escatologica. La posizione del concilio vat II sul rapporto Chiesa-Regno consiste nel superare l’idea di assimilazione, sostenendo che “il fine della chiesa è il regno e che essa avrà pieno compimento soltanto nella gloria del cielo, quando sarà giunto il tempo del rinnovamento di tutte le cose”LG 9. Il Regno costituisce la meta, la tappa ultima, il punto definitivo dell’approdo, che dà  al cammino di mezzo un carattere di esodo, in rifferimento all’identità ma anche allamissione salvifica, che non può essere raggiunta pienamente se non nel mondo futuro.
Secondo il Concilio, Chiesa e Regno di Dio non si identificano: il fine della Chiesa è il regno di Dio (LG 9), la Chiesa avrà compimento nel Regno di Dio. Conseguenza di questa distinzione (non dissociazione) è:
-        il fatto che la Chiesa non è ancora perfetta;
-        la dinamica del provvisorio: ciò che conta è unicamente Cristo;
-        l’urgenza della conversione: se il Regno di Dio fosse venuto, non ci sarebbe bisogno di conversione;
-        l’urgenza della penitenza;
-        solo in questa prospettiva si può ammettere la dimensione della riforma della Chiesa: non essendo già perfetta, la Chiesa può essere riformata.

Nel contesto di questa riflessione, la costituzione ecclesiologica compie la significativa operazione di sostituire l’antica espressione della chiesa militante con quella di chiesa peregrinante, figura già presente nel capitolo sul popolo di Dio.
l’aggettivo “militante” rimandava ad una dimensione in cui la Chiesa doveva combattere per difendere il “castello” già proprio. La dimensione del pellegrinaggio è invece molto bella: il pellegrinaggio esprime la fisionomia dell’uomo caratterizzato dalla storicità, il pellegrino non grida vittoria finché non vede Gerusalemme e piange di gioia.
Ecco allora che trova luogo la speranza per la Chiesa, la speranza del fatto che la Chiesa giunga a compimento. Anche LG 8 parla di questa dimensione del pellegrinare: la Chiesa agisce nella storia sotto l’ombra di segni, così come il suo Signore; anche qui è utilizzato il meccanismo della analogia. La condizione di Chiesa pellegrinante spiega anche l’incapacità della Chiesa di poter trasmettere direttamente la vita divina: di qui la necessità che la Chiesa abbia bisogno un’istituzione, della Bibbia, dei sacramenti, dei ministeri, etc.
La differenza tra chiesa e regno di Dio non dice estraneità o dissociazione. La posizione del concilio si muove tra il già ecclesiologico, per cui di questo regno (la Chiesa) costituisce in terra il germe e l’inizio, e il non ancora di un rapporto incoativo. La chiesa non è (est) il Regno, ma sua anticipazione e iniziale realizzazione.
NB: La natura misterica della chiesa, la chiesa popolo di Dio, la chiamata alla santità è l’essenza comune che riguarda tutti nella chiesa senza diistinzione.

Mariologia
24. Passi biblici e capitolo 8 della LG
Passi biblici
Partiamo dai quadri biblici.
Passiamo in rassegna i principali testi mariani contenuti nella Scrittura. Partiamo da Gal 4,4, che è il testo più antico: il contesto è qui cristologico (ogni volta che parliamo di Maria non bisogna perdere il riferimento cristologico: Cristo è sempre il centro della fede). All’interno del progetto di salvezza prospettato dalla Scrittura occupa un posto centrale: perciò la presentazione del mistero di Maria è fondamentale per la stessa presentazione dello stesso mistero di Cristo, non però come centro parallelo. Secondo Paolo, l’incarnazione di Cristo rappresenta il compimento dei tempi della salvezza: mentre argomenta su questo, egli fa anche riferimento a Maria nella professione di fede dell’incarnazione di Cristo.
Passiamo a Mc, che ha riferimenti scarni a Maria, anzi quasi controproducenti, in quanto egli allude spesso a contrasti fra Gesù e la sua famiglia, all’interno della quale fa riferimento anche alla madre di Gesù. Si possono scorgere 2 letture: 1) vedere anche in Maria una crescita nella fede; 2) dimostrare come la parentela carnale non sia un tratto sufficiente a definire la comunità di Gesù, definita invece la fede. Maria in tal senso diviene l’icona del perfetto discepolo. In Mc 6, Maria è presentata Maria in posizione solitaria (probabilmente si può dedurre che Giuseppe era già morto); inoltre il termine “fratello” si riferisce ai parenti più allargati di Gesù.
In Mt abbiamo Maria soprattutto nei vangeli dell’infanzia. Nella genealogia si afferma che Cristo è nato da Maria (e non da Giuseppe); inoltre, a differenza di Lc, Mt inserisce 4 donne nella genealogia. Circa la presenza di queste 4 donne, si può dire: Mt inserisce 4 donne peccatrici (Gesù salva i peccatori), 3 donne non sono israelite (Gesù è venuto anche per i non israeliti); inoltre, come ha messo in evidenza Paul, queste 4 donne hanno generato in una maniera particolare (riferimento alla generazione particolare di Gesù da parte di Maria). Nei versetti successivi Mt insiste particolarmente sulla concezione verginale di Maria.
In Lc Maria assume la dignità di un tema teologico. Nei vangelo dell’infanzia di Lc troviamo affermata fortemente la concezione verginale. Nell’annunciazione la concezione verginale di Maria serve a presentare l’origine divina di Gesù; tutta la persona di Maria viene riconosciuta come “piena di grazia”, anche prima della concezione verginale. Tutto l’episodio ci mostra Maria come vergine dell’ascolto (nonostante essa sia turbata): dopo aver ascoltato, Maria entra in dialogo. Molto bello è il Magnificat, che sintetizza la storia della salvezza. In Lc molto importanti sono i passi in cui ci si riferisce alla croce: questo già in Lc 2, con le parole di Simeone. Due perle lucane: Maria donna dell’ascolto in Lc (Maria serba tutte le cose nel suo cuore): si utilizza il termine symballein, che si riferisce ad una sorta di “sguardo d’insieme” che Maria ha su tutto.
Gv è l’evangelista che più degli altri mostra il rapporto tra Maria e la Chiesa. Il miracolo di Cana è miracolo messianico: l’acqua che Gesù trasforma è la situazione che Gesù è venuto a trasformare. Il vino di Gesù non è solo abbondante, ma buono. Maria si fa carico della sofferenza e dei bisogni del mondo. Cristo rimane la fonte dei beni messianici. Gv ci presenta poi Maria ai piedi della croce: mentre i discepoli fuggono, Maria-la Chiesa sta presso la croce. Con Gv la mariologia confluisce nell’ecclesiologia e l’ecclesiologia confluisce nella mariologia: negli scritti giovannei Maria è sempre immagine della Chiesa (cfr. anche Ap). La Chiesa ha raggiunto in Maria la perfezione del Regno, dove sarà senza macchia e senza ruga.
CAPITOLO VIII
LA BEATA MARIA VERGINE MADRE DI DIO
NEL MISTERO DI CRISTO E DELLA CHIESA
Maria e la Chiesa
53. Infatti Maria vergine, la quale all'annunzio dell'angelo accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio e portò la vita al mondo, è riconosciuta e onorata come vera madre di Dio e Redentore. Redenta in modo eminente in vista dei meriti del Figlio suo e a lui unita da uno stretto e indissolubile vincolo, è insignita del sommo ufficio e dignità di madre del Figlio di Dio, ed è perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo; per il quale dono di grazia eccezionale precede di gran lunga tutte le altre creature, celesti e terrestri.
L'intenzione del Concilio
54. Perciò il santo Concilio, mentre espone la dottrina riguardante la Chiesa, nella quale il divino Redentore opera la salvezza, intende illustrare attentamente da una parte, la funzione della beata Vergine nel mistero del Verbo incarnato e del corpo mistico, dall'altra i doveri degli uomini, e i doveri dei credenti in primo luogo.
II. Funzione della beata Vergine nell'economia della salvezza
La madre del Messia nell'Antico Testamento
55. I libri del Vecchio e Nuovo Testamento e la veneranda tradizione mostrano in modo sempre più chiaro la funzione della madre del Salvatore nella economia della salvezza e la propongono per così dire alla nostra contemplazione. I libri del Vecchio Testamento descrivono la storia della salvezza, nella quale lentamente viene preparandosi la venuta di Cristo nel mondo. Questi documenti primitivi, come sono letti nella Chiesa e sono capiti alla luce dell'ulteriore e piena rivelazione, passo passo mettono sempre più chiaramente in luce la figura di una donna: la madre del Redentore. Sotto questa luce essa viene già profeticamente adombrata nella promessa, fatta ai progenitori caduti in peccato, circa la vittoria sul serpente (cfr. Gen 3,15). Parimenti, è lei, la Vergine, che concepirà e partorirà un Figlio, il cui nome sarà Emanuele (cfr. Is 7, 14; Mt 1,22-23).
Maria nell'annunciazione
I santi Padri ritengono che Maria non fu strumento meramente passivo nelle mani di Dio, ma che cooperò alla salvezza dell'uomo con libera fede e obbedienza. Infatti, come dice Sant'Ireneo, essa «con la sua obbedienza divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano ». Per cui non pochi antichi Padri nella loro predicazione volentieri affermano con Ireneo che «il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione coll'obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva legò con la sua incredulità, la vergine Maria sciolse con la sua fede»  e, fatto il paragone con Eva, chiamano Maria «madre dei viventi e affermano spesso: « la morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria ».
Maria e l'infanzia di Gesù
57. Questa unione della madre col figlio nell'opera della redenzione si manifesta dal momento della concezione verginale di Cristo fino alla morte di lui; e prima di tutto quando Maria, partendo in fretta per visitare Elisabetta, è da questa proclamata beata per la sua fede nella salvezza promessa, mentre il precursore esultava nel seno della madre (cfr. Lc 1,41-45); nella natività, poi, quando la madre di Dio mostrò lieta ai pastori e ai magi il Figlio suo primogenito, il quale non diminuì la sua verginale integrità, ma la consacrò [181] Quando poi lo presentò al Signore nel tempio con l'offerta del dono proprio dei poveri, udì Simeone profetizzare che il Figlio sarebbe divenuto segno di contraddizione e che una spada avrebbe trafitto l'anima della madre, perché fossero svelati i pensieri di molti cuori (cfr. Lc 2,34-35). Infine, dopo avere perduto il fanciullo Gesù e averlo cercato con angoscia, i suoi genitori lo trovarono nel tempio occupato nelle cose del Padre suo, e non compresero le sue parole. E la madre sua conservava tutte queste cose in cuor suo e le meditava (cfr. Lc 2,41-51).
Maria e la vita pubblica di Gesù
58. Nella vita pubblica di Gesù la madre sua appare distintamente fin da principio, quando alle nozze in Cana di Galilea, mossa a compassione, indusse con la sua intercessione Gesù Messia a dar inizio ai miracoli (cfr. Gv 2 1-11). Durante la predicazione di lui raccolse le parole con le quali egli, mettendo il Regno al di sopra delle considerazioni e dei vincoli della carne e del sangue, proclamò beati quelli che ascoltano e custodiscono la parola di Dio (cfr Mc 3,35; Lc 11,27-28), come ella stessa fedelmente faceva (cfr. Lc 2,19 e 51). Così anche la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette (cfr. Gv 19,25),
Maria dopo l'ascensione
59. Essendo piaciuto a Dio di non manifestare apertamente il mistero della salvezza umana prima di effondere lo Spirito promesso da Cristo, vediamo gli apostoli prima del giorno della Pentecoste « perseveranti d'un sol cuore nella preghiera con le donne e Maria madre di Gesù e i suoi fratelli» (At 1,14); e vediamo anche Maria implorare con le sue preghiere il dono dello Spirito che all'annunciazione, l'aveva presa sotto la sua ombra.
III. La beata Vergine e la Chiesa
Maria e Cristo unico mediatore
60. Uno solo è il nostro mediatore, secondo le parole dell'Apostolo: « Poiché non vi è che un solo Dio, uno solo è anche il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che per tutti ha dato se stesso in riscatto » (1 Tm 2,5-6). La funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce questa unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l'efficacia. Ogni salutare influsso della beata Vergine verso gli uomini non nasce da una necessità oggettiva, ma da una disposizione puramente gratuita di Dio, e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo; pertanto si fonda sulla mediazione di questi, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia, e non impedisce minimamente l'unione immediata dei credenti con Cristo, anzi la facilita.
Cooperazione alla redenzione
Funzione salvifíca subordinata
Maria vergine e madre, modello della Chiesa
La Chiesa vergine e madre
64. Orbene, la Chiesa contemplando la santità misteriosa della Vergine, imitandone la carità e adempiendo fedelmente la volontà del Padre, per mezzo della parola di Dio accolta con fedeltà diventa essa pure madre, poiché con la predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio. Essa pure è vergine, che custodisce integra e pura la fede data allo sposo; imitando la madre del suo Signore, con la virtù dello Spirito Santo conserva verginalmente integra la fede, salda la speranza, sincera la carità.
La Chiesa deve imitare la virtù di Maria
IV. Il culto della beata Vergine nella Chiesa
Natura e fondamento del culto
66. Maria, perché madre santissima di Dio presente ai misteri di Cristo, per grazia di Dio esaltata, al di sotto del Figlio, sopra tutti gli angeli e gli uomini, viene dalla Chiesa giustamente onorata con culto speciale. E di fatto, già fino dai tempi più antichi, la beata Vergine è venerata col titolo di « madre di Dio » e i fedeli si rifugiano sotto la sua protezione, implorandola in tutti i loro pericoli e le loro necessità [192]. Soprattutto a partire dal Concilio di Efeso il culto del popolo di Dio verso Maria crebbe mirabilmente in venerazione e amore, in preghiera e imitazione, secondo le sue stesse parole profetiche: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata, perché grandi cose mi ha fatto l'Onnipotente» (Lc 1,48). Questo culto, quale sempre è esistito nella Chiesa sebbene del tutto singolare, differisce essenzialmente dal culto di adorazione reso al Verbo incarnato cosi come al Padre e allo Spirito Santo, ed è eminentemente adatto a promuoverlo.
Norme pastorali
67. Il santo Concilio formalmente insegna questa dottrina cattolica. Allo stesso tempo esorta tutti i figli della Chiesa a promuovere generosamente il culto, specialmente liturgico, verso la beata Vergine, ad avere in grande stima le pratiche e gli esercizi di pietà verso di lei.
V. Maria, segno di certa speranza e di consolazione per il peregrinante popolo di Dio
Maria, segno del popolo di Dio
68. La madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell'anima, costituisce l'immagine e l'inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell'età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore (cfr. 2 Pt 3,10).
Maria interceda per l'unione dei cristiani
25. Domande sull’ Ecumenismo
Cosa vuol dire la parola ecumenismo.
Da oikos=casa, abitazione, oikoumene è la terra emersa dalle acque che è diventata casa comune dei suoi abitanti. Il suo progetto antropologico è la creazione di una forma di vita planetaria che, nonostante le differenze, spinga alla convivenza pacifica e alla fratellenza universale. Nell’ambito teologico si chiama ecumenismo il movimento  che ha per obbiettivo la riconciliazione visibile dei cristiani separati. Poiché l’unità è uno dei doni divini preziosi per la chiesa: un solo corpo, un solo spirito come una sola è la speranza alla quale sieste stati chiamati... Ef 4, 4-6, cfr la preghiera di Gesù per l’unità Gv 17, 1-26
Genesi di un movimento
Un inizio che è fatto coincidere con la conferenza di Edimburgo del 1910, quando alcune società missionarie protestanti presero coscienza dell’incoerenza di annunciare il vangelo ai popoli, presentandosi in un contesto cristiano fondamentalememte diviso. Vennero creati 2 movimento: vita e azioni, più pratico e dedito a questioni sociali e fede e costituzione. Nella conferenza di Amsterdam 22 agosto-4 settembre 1948, i rappresentati di 147 confessioni cristiane dettero vita al consiglio ecumenico delle chiese, fondandolo sulla comune formula di fede: Gesù come Salvatore. 2 anni dopo, a Toronto, l’organismo chiarifica la sua fisonomia, sostenendo di non voler essere una sorta di super chiesa che si sostituisce alle altre, discutere e crescere stando insieme.
Come entra il cattolicismo.
A causa dell’origine protestante del movimento, la chiesa cattolica non ha inizialmente nutrito un atteggiamento favorevole, limitandosi solo a rendere più benevolo il modello del ritorno. Nel 1919, Benedetto 15 accolse i reposnabile di Fede e Costituzione, ma ribadì l’indisponibilità cattolica alla partecipazione ufficiale. Pio 11, nella Mortalium animos, elogiò gli sforzi della causa, ma ne sottolineò  gli errori perché si metteva in discusione l’esistenza dell’unica vera chiesa che è quella cattolica: la riunione dei cristiani non si può favorire in altro modo che favorendo il ritorno dei dissidenti all’unica vera chiesa di Cristo, dalla quale, un giorno, ebbero l’infelice idea di staccarsi.
Ciò non ha impedito la formazione di una corrente ecumenica cattolica. Mohler, Newmann, Congar, salutano come l’inizio del disgelo, per il superamento del confronto polemico e l’attenzione alle reciproche posizioni. Sul piano delle iniziative si ricordano i dialoghi di Malines con gli anglicani, condotti dal Padre Portal e dal Card. Mercier, con l’appoggio di Pio 11.
Il decreto unitatis redintegratio
Ecclesiologia di fondo per l’ecumenisimo è quella di comunione
Il primo principio è il riferimento trinitario, indicare una base comune della fede, si passa poi a valutare la relazione tra le comunità separate e la chiesa cattolica. Il primo passo per superare l’inimicizia è di impostare il rapporto in termini di stima e di amore. Un altro principio dell’ecclesiologia di comunione è quello di saper congiungere unità e cattolicità. La cattolicità  esprime il volto poliedrico dell’unità ecclesiale, non è un valore quantitativo ma qualificativo. Saper coniugare verità, libertà e carità, è il fondamento per il dialogo.  Un altro principio riguarda il carattere escatologico dell’unità. Il decreto riconosce che, il battesiomo e gli altri beni di salvezza costituiscono già un regime di comunione, che però è imperfetta. La prospettiva è realistica, si indica un cammino progressivo verso la meta, che è rappresentato dalla comunione eucaristica, quando tutti i cristiani , nell’unità celebrazione dell’eucaristia, si troveranno unita in quella unità dell’unica chiesa che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa.
Lo sguordo futuro, gli impegni dell’ecumenisimo
a.      L’impegno per l’unità:
La questione complessa verte su quale forma dare al progetto di unità, quale modello di unione visibile adottare. Si parla di unità organica, di comunione conciliare, di unità nella diversità riconciliata. L’ultimo sembra più adatto, poiché riconoscendo la diversità confessionale, ci si propone di far uscire  le Chiese dall’isolamento e dalla reciproca esclusione tramite un progetto di comunione visibile di cui fanno parte, come elementi costitutivi, il riconoscimento del battesimo, il ristabilmento della comunione nell’eucaristia, nel reciproco dei ministeri ecclesiali e una comunione nel servizio.
Bref, accettare un’ecclesiologia di comunione che sappia accogliere la categoria della diversità, da intendere come unità.

b.      L’impegno per la verità:
vi sono dei contenuti oltre i quali non si può andare, ma l’approcio alla verità implica l’osservanza di alcuni criteri che servono a disciplinarlo
1.      Il primo è la storicità, che porta a distinguere la verità delle sue concettualizzazioni, il dato rivelato dalle dottrine teologiche, la tradizione apostolica dalle tradizioni ecclesiastiche. Il decreto ne parla al n.6 quando invita a non confondere la sostanza immutabile con il rivestimento culturale. Importanza perciò saper distinguere i 2 aspetti
2.      Il secondo criterio serve a richiamare la ricezione del principio della gerarchia delle verità della dottrina cattolica; verità, sebbene esigono la fede, non hanno però tutta la medesima centralità nel mistero rivelato in Gesù.
A questi due criteri, si deve aggiungere quello di una concreta impossibilità a disporne totalmente, poiché la verità è data in modo tale che coloro che già la condividono, devono ancora conquistarla.
3.      Ultimo criterio riguarda la comunicazione che dovrebbe sempre essere ispirata da atteggiamenti dettati dalla carità e nell’umiltà.

c.      L’impegno del servizio:
Non si tratta di ridurre l’ecumenismo ad azione sociale, ma di un modo più responsabile di vivere la propria comunione. Un impegno autentico e decisivo  verso i bisogni umani concreto del nostro tempo. Tale è l’obbligo per la Chiesa cristiana che cera l’unità. Quell’unità di Cristo che non ammette divisione scrive Moltmann, non si esaurisce semplicemente nell’unità con i suoi discepoli né la comunione con tutti i credenti, ma comprende anche un’unità e comunione con la gente oppresa, umiliata e abbandonata.

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