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Tuesday, March 4, 2014

INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA- II

Parte terza: questioni principali dell'epistemologia teologica.

1 –Introduzione

In riferimento a quanto già detto circa i quattro elementi costitutivi ciascun modello teologico, è necessario introdurre altri due elementi: il magistero ed il sensus fidei. Oltre alla combinazione dei sei elementi, sarà importante porre l’accento sulla struttura relazionale e bipolare che li lega.
C. Vagaggini: gli elementi antinomici (le coppie) non devono essere considerati come aut…aut, bensì come et…et.
Questo è ribadito anche nel CV II, il quale promuove un decentramento delle polarità: Costituzioni Dogmatiche Conciliari “Dei Verbum”, “Lumen Gentium”, “Gaudium et Spes” e Decreto Conciliare “Apostolicam Actuositatem”.

2 - Scrittura e tradizione

Questa è una polarizzazione archetipica, in quanto sin dagli inizi della Chiesa i teologi hanno abbondantemente scritto riferendosi alla S. Scrittura. Essa è ci ò che gli apostoli hanno ricevuto da Gesù e che ci hanno tramandato.
Momento critico nel rapporto tra scrittura teologia è legato alla riforma di Lutero, il quale afferma la supremazia della parola e rifiuta e critica le tradizioni.
Dopo la morte di Lutero, il Concilio di Trento ribadisce la centralità della Scrittura (Antico e Nuovo Testamento), affermando la teoria delle due fonti: scrittura e tradizione. L'apparato della tradizione si fonda sulla successione apostolica, che rimanda agli apostoli. Clemente di Roma, sostiene che i vescovi sono successori degli apostoli: da ciò deriva la garanzia della regula fidei e dell’ordo traditionis.
Al concerto di tradizione e dimentico anche l'autorità dei concili ecumenici e dei sinodi delle chiese particolari.

2.2 - Scrittura e Tradizione nella teologia riformata.

Centralità della scrittura, in base a:
-         la Scrittura si fonda sull'annuncio di Gesù Cristo (esclusione radicale della tradizione);
-         lo Spirito Santo introduce ogni uomo all'interno della scrittura;
-         si accede ai principi contenuti nella scrittura per mezzo della fede.
La tradizione è tutto ciò che ha a che fare con la cura, custodia, consegna, e diffusione del Vangelo di Cristo.
La teologia riformata intende la Rivelazione un evento che operato per metro Spirito Santo rende possibile l'accesso al significato e alla verità della testimonianza di vita di Cristo.

2. 3 - Scrittura e tradizione nella teologia ortodossa


La concezione ortodossa è opposta a quella riformata: la tradizione è l'alveo della scrittura; la scrittura è certo la prima fonte, ma essa vive nell'esperienza credente attraverso la tradizione.
Diverse concezione del termine tradizione:

MODELLO SLAVOFILO ORTODOSSO
MODELLO NEOPATRISTICO
La tradizione si fonda sulla chiesa e sull'azione dello spirito che la vivifica. È ciò che rende ininterrotta ed inesauribile la tradizione; essa continua sempre. La scrittura è la voce di Dio verso l'uomo, e la tradizione viene convalidata dalla scrittura.
Differente dal modello slavofilo. La tradizione è il vero fondamento dell'ortodossia, in quanto fondato a sua volta sulla centralità dei padri.
Molto importante legame tra i Padri ed i Concili Ecumenici: la tradizione conciliare è costituita dai sacri canoni, i quali sono ispirati e la stessa Sacra Scrittura.

2. 4 - Scrittura e tradizione nella teologia cattolica

2.4.1 – Il CV II: la centralità della Rivelazione.

Il Concilio Vaticano II, afferma la centralità della rivelazione, evitando di parlare delle due fonti: Scrittura e tradizione. Questi due elementi sono in simbiosi. Nella Dei Verbum, la Rivelazione di Dio si attua attraverso la parola, le opere, i segni ed i miracoli compiuti da Gesù Cristo. La parola fonda sia la Sacra Scrittura (Verbum Dei scriptum), sia la tradizione (Verbum Dei traditum). Sempre il CV II afferma che tradizione e sacra scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla chiesa: provengono dalla stessa sorgente, formano una sola cosa che tendono verso lo stesso fine. Tuttavia, ammette sempre il CV II, la scrittura è superiore, in quanto ispirata direttamente da Dio. Tuttavia è lo Spirito Santo assiste la Chiesa nel mantenimento della tradizione.

2.4.2 - Scrittura come anima della teologia

Nel documento redatto dalla Pontificia Commissione Biblica, “L’'interpretazione della Bibbia nella Chiesa”, si afferma che della Bibbia in quanto parola di Dio messa per iscritto, ha una ricchezza di significato che non può essere pienamente colta né imprigionata in nessuna teologia sistematica.
Nello stesso documento si esprime l'importanza un metodo storico - critico quale l'indispensabile elemento di studio degli scritti in quanto essa è parola di Dio in linguaggio umano. Per tali motivi è criticato il metodo di lettura fondamentalista, il quale non tiene in considerazione i limiti e le risorse limitate dell'uomo. Il fondamentalismo, per la sua ristrettezza di vedute, è spesso antiecclesiale.

2.4.3. - Tradizione nella teologia cattolica

Il CV II afferma che la tradizione è una ininterrotta comunicazione da Dio all'uomo, tra uomo e Dio, assistita dallo spirito santo. Una realtà dialogica in costante crescita (“Verbum Dei traditus”). Da ciò si evince anche l'espressione “Tradizione viva”, presente nei documenti conciliari, la quale denota sia la continua presenza del Paraclito nella Chiesa, sia del crescente numero di chiamati alla comunione di Dio nella Chiesa stessa.. La tradizione è talmente legata alla vita della Chiesa e talmente la determina, da rappresentare il principio della sua stessa identità.
La tradizione viva rappresenta un luogo necessario di interpretazione della sacra scrittura; sempre nel documento “L’'interpretazione della Bibbia nella Chiesa”, si sottolinea la necessità di un approccio interpretativo alla scrittura, in quanto:
-         il testo biblico a valore in ogni epoca e in ogni cultura;
-         un è necessario a formare il messaggio biblico in epoche e lingue diverse.
In tal modo si evitano interpretazioni aberranti della scrittura, trasmettendone il dinamismo originale.
Sempre nel CV II, vengono indicate le fonti cui attingere per la trasmissione della tradizione: la Liturgia ed i Padri della Chiesa.
La liturgia è “fonte e culmine” della vita ecclesiale; nell'eucarestia essa esprime la sua vera natura di Chiesa.
Relativamente allo studio dei padri della Chiesa, la Congregazione per l'educazione Cattolica, afferma tre motivi necessari per lo studio dei padri:
1)      i padri sono i protagonisti e i testimoni privilegiati della tradizione (apostolica);
2)       i padri hanno dato vita alla scienza teologica, stabilendo alcuni criteri e procedimenti tuttora validi per lo studio della teologia;
3)      essi per primi hanno gettato il ponte tra il Vangelo e della cultura profana, cercando di procedere in maniera collegiale, scambiandosi le linee di condotta e indicazioni di carattere dottrinale.

3 – Magistero, sensus fidei e Teologia.

3.1 - Magistero e teologia cattolica

Il CV II parla di “Magistero vivo”, intendendo quello dei vescovi, successori degli apostoli, i quali hanno garantito la conservazione integra dell’evangelion nella Chiesa. Ad esso è affidata l'autorità interpretare autenticamente la parola di Dio scritta trasmessa esso è al servizio della parola. Scrittura tradizione e magistero costituiscono una triade indissolubile che agisce efficacemente per la salvezza delle anime sotto l'azione dello Spirito Santo. Nella seconda metà del XX secolo si recupera il ruolo dello Spirito Santo, quale unico denominatore di tutti i credenti, grazie al quale ed introduce tutti al “sacerdozio comune”.
Il CV II (Lumen Gentium), ripropone il concetto di sensus fidei, ovvero il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo cristiano (dal vescovo agli ultimi fedeli laici), che ha ricevuto l'unzione dello Spirito Santo - infallibilità della totalità dei fedeli. Pur tuttavia nella sua azione, lo Spirito Santo dispensa i suoi doni in maniera unica e individuale.

MAGISTERO
TEOLOGO
Il compito di insegnare è, per istituzione di Cristo, compito del collegio episcopale dei singoli vescovi uniti in comunione gerarchica al sommo pontefice.
I membri della Chiesa che per studi e per vita vissuta nella comunione di fede sono qualificati nell'approfondire la parola di Dio e conseguentemente l'insegnamento.
 Questa definizione sono state espresse dalla commissione teologica internazionale nel 1976.
Teologi e magistero – punti in comune:
1)      La parola di Dio
2)      il senso della fede
3)      i documenti della tradizione
4)      la cura pastorale dimissionaria verso il mondo

Teologi e magistero – differenze

DIFFERENZE
MAGISTERO
TEOLOGI
Le specifiche funzioni
Difendere in maniera autoritaria l'integrità della fede cattolica
Funzione mediazione tra magistero il popolo di Dio.
L'autorità del loro ufficio
Attingere autorità dall'ordinazione sacramentale.
Scientificità della loro qualifica
Il legame con la Chiesa
Svolgere un compito ecclesiale conferito dallo stesso sacramento dell'ordine.
Come battezzati vivono con impegno la vita della Chiesa
La libertà e la funzione critica

Vincolata al dovere del ministero
Deriva dalla responsabilità scientifiche

Anche la congregazione della dottrina della fede, nell'istruzione “La vocazione ecclesiale del teologo” (1990), esorta il dialogo fra magistero e che oggi, sotto la spinta del principio “unitas veritatis”, “unitas caritatis”. Lo stesso Ratzinger afferma che lo sviluppo dogmatico degli ultimi 150 anni è avvenuto grazie a tale collaborazione: si pensi ai dogmi del 1854, 1870, 1950, resi possibili grazie all'ispirazione del sensus fidei, successivamente a colpi di promossi dal magistero e dalla teologia.

3.2 - Magistero e teologia riformata.

D. Bonhoeffer parla della duplice autorità: quella assoluta della parola di Dio, quella relativa della Chiesa. Ciò implica una relativa ubbidienza richiesta ai credenti, inclusi i teologi, all’autorità ecclesiale.

3.3    - Magistero e teologia ortodossa.

L’organo supremo dell'autenticità della fede è il consenso dei fedeli, non i vescovi, né il patriarca, né il concilio.
A.   S. Chomjakov: “l'infallibilità risiede unicamente nell'universalità della Chiesa”; con ciò egli contesta l'autenticità di un magistero ecclesiale, affermando che nella Chiesa non c'è gerarchia, perché lo spirito ispira tutti i membri della Chiesa.
Soltanto i sinodi e di concili, organi autentici del magistero ecclesiale, sono infallibili. L'autorità del magistero dei concili si esprime in maniera eccelsa nei “Sacri Canoni”: essi sono regole di fede, di vita morale di organizzazione ecclesiale, emerse nei primi sette concili ecumenici. Sono cose da infallibili e comunque irrevocabili o revocabili soltanto da un nuovo concilio ecumenico. Pertanto la teologia ortodossa è obbligata non costante confronto con i canoni.

4       – Fede e ragione.

4.1 - Fondazione antropologica del rapporto tra fede ragione

L'antinomia tra fede e ragione, che manda allo scontro/incontro tra teologia e filosofia. Il problema è anzitutto antropologico in quanto il primo piano originario in cui fede e ragione dialogano è l'uomo stesso. Esse scaturiscono dalla richiesta di senso che da sempre urge nel cuore dell'uomo: il desiderio della verità, il perché delle cose, nella sua stessa vita.
L'uomo per sua natura ricerca la verità (FetR 33); tale ricerca non può trovare esito se non nell'assoluto.

4.2 - Verso un concetto più ampio di ragione

Ratio: stabilito, fissato
Il termine logos è polisemico: indica diversi piani di razionalità (momento soggettivo ed oggettivo).
Sophia (sapienza): la più perfetta delle scienze (Aristotele), quella delle cose che trascendono l'uomo.
San Paolo parla di “ratio naturale”, in fusa da Dio in ogni persona.
La morte di Cristo in croce è la massima sfida alla ragione umana: essa insegna che la morte fonte della vita.

4.3    - Verso un concetto più ampio di fede

Che cos'era fede?  “La ragione, priva della fede, ha rischiato di perdere di vista la sua meta; la fede, senza la ragione, ha perso la sua universalità. Non si può pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggiore gestita ponte, essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione” (FetR48).
Anzitutto la fede è sempre una reactio dell'uomo all’actio primaria di Dio (vedi AT).
Pistis (credere), è anch'esso polisemantico: da un lato intende prestar fede alle parole di Dio (accettazione verso la scrittura), dall'altro pistis ein (credere in), indica l'accettazione del Kerigma cristiano (credere in Gesù figlio di Dio che ci ha salvato).
Homologia: i credenti professa Gesù, Cristo e Signore, riconoscendo che quanto è ed ha, lo deve tutto ha ciò che Dio ha compiuto in Cristo.

4.4    - La fede nella teologia

La fede è presupposto, oggetto e punto di arrivo di ogni attività teologica. Essa determina prima di tutto l'oggetto della ricerca dell'attività teologica. Pertanto la teologia non può essere mai l'impresa di un singolo (privata), come può esserlo invece sapere filosofico.
Al centro della fede sono i dogmi, verità teologiche di assoluta e perciò costante validità (non solo per il teologo). Le verità dogmatiche sono irriformabili.
CV II parla di gerarchia delle verità della dottrina cattolica (Unitatis Redintegratio 11). Dal punto di vista cattolico, nucleo centrale della fede cristiana è il dogma Cristo-soteriologico (Cristo in sé e per noi).

4.3 - Filosofia e teologia
4.3.1 - Perché la teologia necessita della filosofia?

Leone XIII – Aeterni Patris (1879). La filosofia si relaziona alla fede e alla teologia: si raccomanda un continuo e molteplice uso della filosofia affinché la sacra teologia assuma e rivesta natura, forma e carattere di vera scienza
FetR 3: l'uomo per sua natura è filosofo, in quanto si interroga sui perché.
FetR 104: La filosofia, inoltre, è spesso l'unico terreno di interesse e di dialogo con chi non condivide la nostra fede
FetR 77: la teologia sempre avuto continuo ad avere bisogno dell’apporto filosofico, non ultimo come interlocutore per verificare l'intelleggibilità e la verità universale dei suoi asserti.

4.3.2 - l'eredità filosofica della verità teologica sono compatibili?

Problemi: alcuni teologi hanno la pretesa di conoscere e possedere la Verità assoluta; altri ritengono che la filosofia non possa aggiungere nulla alla verità teologica rivelata da Dio.
FetR 34, afferma che la conoscenza di fede e quella razionale filosofica conducono insieme alla verità nella sua pienezza.
FetR: sono tre forme/ livelli di verità: le verità quotidiane (evidenze), quelle filosofiche (che si raggiungono con l'intelletto) e quelle religiose (relative alle domande ultime). Ogni verità anche parziale, si è realmente verità, si presenta con universale. Tuttavia si deve mirare alla unitarietà della verità.
J. Ratzinger: La fede è un'anticipazione di ciò che non crediamo e ancora non possiamo avere; quest'anticipazione ci metti movimento in questo pellegrinaggio che il pensiero deve compiere per tutta la vita.

4.3.3. - Quale filosofia della teologia e quale tipo di rapporto tra le due?

Periodi di fedeltà tra teologia e filosofia/e: filosofia platonica, aristotelica, neoplatonica, stoica. Non si può pensare ad una filosofia ancilla della teologia, ma contemplare le due.
Proposta di ritorno all'intuizione di Cano, relativa ai “loci teologici” (Seckler): ognuno dei loci è legato in modo diverso alla parola di Dio. L'autentica testimonianza del fede cristiana non avviene solo in un luogo, in una condizione, in un ufficio, in un campo d'azione della Chiesa.






Parte quarta.

               Rivelazione: evento fondativo e forma originaria della teologia cristiana


1 –Introduzione: la centralità epistemologica della rivelazione

La rivelazione è il fondamento ed il centro della teologia cristiana. Il vero centro della sua riflessione sarà:
-         la contemplazione del mistero di Dio uno e Trino;
-         l'incarnazione del figlio di Dio;
-         passione, morte e resurrezione di Cristo;
-         ascensione al cielo di Cristo;
-         discesa dello spirito santo sulla Chiesa.

Von Balthasar: “La rivelazione è un atto teologico di Dio che culmina nel theologein della parola incarnata in Gesù Cristo”.

2 - La teologia di Dio in Gesù

L'esistenza di Gesù Cristo e in se stessa teologia, cioè rivelazione di Dio come Padre: il Figlio è la teologia detta dal Padre (dimensione ontologica).

2.1 - La teologia di Gesù

Tutto nella vita e nelle opere di Gesù theo-logico. Lui è un esempio per eccellenza del parlare di Dio per mezzo di parole umane . Il Vangelo di Giovanni parla del Figlio che ha rivelato il Padre (verbo exegesto = narrare, raccontare, dire): Gesù è il narratore di Dio; ma è anche in Logos su /di Dio (identità relazionale).
Duplice dimensione della missione di Gesù:
1)    l'esistenza relazionale con Dio Padre (in rapporto tra Lui e il Padre fonda la sua esistenza ab aeterno);
2)    la figliolanza di Gesù lo pone in un atteggiamento di affidamento assoluto Padre e di sottomissione la sua volontà. In quest'ultimo aspetto consiste l'esistenza teologica di Cristo: fare la volontà del Padre.
Gesù è un pioniere della fede; sulla croce Gesù manifesta una prova di fede senza precedenti (contraddizione tra le espressioni “io non sono solo perché il Padre è con me” e “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” .
Von Balthasar: “l'icona del crocifisso è una anti - immagine del Padre e insieme l'immagine suprema”.
Fa parte della theo – logia di Gesù anche la dimensione pneumatologica dei 40 giorni del Risorto, così come l'ascensione (movimento di ritorno della parola al parlante).

2.2 Gesù e la “teologia di Dio”

La persona dello Spirito Santo determina la natura dell'atto teologico: essa è persona in mezzo, nello spirito, il dià-logein dei due, diventa vita che scorre fuor di loro.
K. Hemmerle: il Figlio è tutto a partire dal Padre, egli deve se stesso al Padre. Entrambi si donano l'uno all'altro attraverso lo Spirito che è la reciproca presenzialità di Padre e di Figlio. La croce è l'esempio concreto della reciprocità dell'amore: La croce porta il segno della Santissima Trinità.

3.1 - Teologia e il suo oggetto: una relazione dialogica.

La teologia è chiamata di conoscere in Dio, suo primo e fondamentale “oggetto”, un “Dio dei vivi”: non si può scindere la teologia della fede, la fede intesa come dimensione relazionale personale con Dio.
K. Bart: L'oggetto della teologia (Dio) non consente al teologo di distanziarsi da esso e di andare per la strada. Non è il teologo che si è dato alla teologia: al teologo è accaduto di essere stato dato alla teologia.

3.2 - La teologia come evento dell'intersoggettività intra- interecclesiale.

-         La teologia necessita di un continuo scambio comunicativo tra gli elementi costitutivi (fede, ragione, scrittura, tradizione) o come afferma Cano, di un intenso dialogo tra i loci.
-         L'intersoggettività deve essere pensata in una prospettiva interecclesiale ed ecumenica. Giovanni Paolo II: fare della Chiesa la casa e va a scuola della comunione, ecco la sfida del nuovo millennio che inizia (NMI 43).

3.3 - La teologia come evento di un dialogo interpersonale
                       
La vera teologia è quella che si fonda sull’agape, lasciato come testamento da Cristo gli apostoli (Gv 13,35). L'esempio di una tale fratellanza che offerto dai teologi Cappadoci, dell'età patristica, medievale e rinascimentale: operavano con profondo e nobile sentimento di fratellanza. Lo stesso dicasi di teologi di epoca più recente: Florenskij e Bulgakov, Bonhoeffer e Bethge, Von Balthasar e Von Speyer.
Kasher: nel contesto del dialogo ecumenico ribadisce la centralità dell'amicizia.
D. Bonhoeffer: la teologia e il teologare sono possibili solo un pensare e vivere Cristo a partire da una profonda esperienza di comunione… con Cristo stesso. La comunione di Dio esiste solo nella Chiesa. Non c'è altra sicurezza per il teologo che credere che vivere nella comunità, nella Chiesa vissuta in Cristo.
S. N. Bulgakov: la teologia è un normale riflesso dell'esperienza ecclesiale.


3.4 - Teologia, culture e tradizioni religiose non cristiane

Compito della Chiesa (e quindi della teologia), è quello di annunciare il Vangelo tutti gli uomini: se la teologia vuole essere veramente ecclesiale, deve dedicarsi maniera costruttiva al dialogo con altre religioni e con e non cristiane.
Pur essendo la parola (logos) un elemento fondante della teologia, è necessario riscoprire il silenzio, inteso come disposizione all'ascolto, possibilità di sentire una verità altrui.

4 - Metafisica della carità e ontologia trinitaria

P. A. Florenskij: La Rivelazione di Dio come Trinità e Amore. L'essenza di Dio, la sua natura e l'amore.

5            - Dimensione simbolica della teologia

La teologia deve avere anche una dimensione simbolica.
K. Rahner: il Logos è il simbolo del Padre. (Gi. 14,9 - Chi ha visto me, ha visto il Padre).
P. A. Florenskij: il simbolo è una entità che manifesta qualcosa che esso stesso non è. La realtà è un simbolo, perché ciò che noi vediamo evoca una dimensione più vasta: essa è un simbolo, manifesta, rende presente qualcosa di infinito, di invisibile (es. Il campo energetico che concorre alle esistenza di un determinato oggetto). La parola contiene l'intenzionalità dell'uomo; essa è l'immagine di chi la proferisce, della sua natura. Ogni fenomeno è la manifestazione di qualcos'altro: la scienza dovrebbe interessarsi di questo. Lo scienziato dovrebbe essere guidato dal gusto della concretezza (toccare la realtà), ossia l'esperienza concreta. Per questo lo scienziato non deve spiegare ma piuttosto descrivere (spiegare presuppone una conoscenza completa, esaustiva e definitiva delle leggi che regolano un determinato fenomeno). La conoscenza e come una risacca del mare: avevo un'onda, ma subito dopo ne arriva un'altra, e così via fino a infinito.
Florenski invita a riscoprire la natura simbolica della teologia: simbolica per la simbolicità delle formule della fede con le quali custodisce e tramanda le verità di fede. E gli ricorda anche che la liturgia e il culto sono degli spazi simbolici per eccellenza di ogni autentica esperienza di fede.
Il simbolo ricorda alla liturgia che essa non è né silenzio né asserzione, bensì è silenzio e asserzione insieme.  Il simbolo pur suggerendo un approccio fenomenologico della realtà, rimanda al suo fondamento (alla res).

6            - La teologia come theologia crucis.

La croce – Kenosi, è il centro del linguaggio teologico della rivelazione.
K. Hemmerle: Dio è amore, amore e tornare se stessi, tornare se stessi significa perdere e diventare nulla, malessere nulla espressione dell'amore, che Dio.
K. Barth: si deve teologare, dialogando con il Padre e con i fratelli; senza questa comunione amore, non c'è teologia.
Bonhoeffer e Florenskij, imprigionati e condannati a morte, sono esempi di un irrinunciabile aspetto della vocazione teologica: il martirio.


7 – Conclusione: il paradosso della (e la) teologia cristiana

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