SACRAMENTARIA
INTRODUZIONE
La teologia sacramentaria è articolata in sacramentaria generale e
sacramentaria speciale.
Un corso teologico prevede questi momenti:
-
momento contestuale: come si vive e si pensa oggi. E’ l’auditus temporis, culturae et theologiae
(ricezione dei sacramenti nel contesto contemporaneo, status quaestionis della teologia sacramentaria);
-
momento fondativo: come si è vissuto e cosa si è pensato ieri. È l’auditus fidei in historia (fondazione
biblico-patristica e magistero nel suo sviluppo, ermeneutica storica
nell’orizzonte di una circolarità fra lex
credendi, orandi e vivendi);
-
momento sistematico: nuova proposta per vivere e pensare oggi (si
parte dall’oggi per arrivare all’oggi). E’ l’intellectus fidei, spei et caritatis (prospettiva
sistematico-organica e interdisciplinare, visione sintetico-categoriale:
trovare una categoria che faccia da sintesi al percorso sistematico, sempre nel
suddetto orizzonte di circolarità tra lex
credendi, orandi e vivendi).
Dunque questo sarà il nostro percorso:
-
primo punto
sarà la contestualizzazione antropologica nell’orizzonte ecclesiale attuale e
nella prospettiva culturale, interculturale e interreligiosa contemporanea;
-
secondo punto
sarà dato da: fondazione biblica sia nella testimonianza cristica come in
quella ecclesiale del NT, sia nella prospettiva veterotestamentaria, fondazione
patristica negli scritti, nell’esperienza liturgica e nella vita dei Padri,
percorso diacronico dello sviluppo e del rapporto fra le tre leges nella storia della teologia dal
Medioevo a oggi, in uno sguardo ecumenico, con particolare sottolineatura
all’apporto dei Concili e del Magistero;
-
terzo punto
sarà la prospettiva sistematica e interdisciplinare nella quale sono colte le
varie problematiche sacramentali nella circolarità della riflessione teologica,
liturgica, morale, etc. e infine vi saranno alcune questiono sull’oggi.
Circa l’approccio alla Sacra Scrittura, ne abbiamo di diversi tipi, tra cui
la tipologia (cfr. 1Cor 10,1-6: l’AT
si compie in Cristo e viene riletto alla luce di Cristo): nell’AT troviamo il typos, l’evento Cristo porta a
compimento queste realtà e nel NT i sacramenti o altre realtà divengono gli antitypoi (per esempio l’esodo è tipo
della salvezza della Chiesa, oppure il diluvio è tipo del Battesimo, oppure
Cristo è il nuovo Adamo). La tipologia dunque è analogia anche storico-teologica e non solo
allegorica: si tratta di analogia in senso teologico (DH 806), storico (tratta di eventi storici e non di miti: Agostino
dice factum audivimus, mysterium
requiramus) e teologica (tratta di eventi teologici). Il percorso è questo:
vi è il fatto, la storia rilegge il fatto con la ragione,
mentre il mistero rilegge il fatto
alla luce della fede. Di qui la domanda di Lessing: come può un fatti singolare
pretendere di aver valore universale per tutti i tempi? Bisogna sempre leggere
i fatti sempre alla luce della ragione e della fede: dunque Cristo può essere
semplicemente un fatto, oppure un avvenimento (quando Cristo lo si legge solo
con la ragione) oppure un evento (quando si legge Cristo nella fede); mentre
l’avvenimento è e rimane nel passato (e lo si ricorda con una cerimonia), l’evento invece viene
ripresentato nel presente (si pensi alla liturgia e alle celebrazioni). Quello di Cristo non è solo un avvenimento (che è
culturale), ma l’evento salvifico che riviviamo in ogni celebrazione.
Cristo è però molto di più dell’evento pasquale, in quanto è anche alfa e omega della storia.
Andiamo ora all’auditus temporis, culturae et theologiae.
Scrive Romano Guardini nel 1923: “L’aspetto
visibile, concreto della religione, il rito eil simbolo, viene compreso sempre
meno”. E oggi?
I sacramenti oggi non vengono capiti e non vengono accolti: sono visti come
residui di magia e superstizione, o come segni folkloristici; oppure vengono
accolti senza essere capiti, in nome del fascino del misterioso o di una
nostalgia di appartenenza ad una determinata comunità sociale (come nei piccoli
paesi). Anche nelle Chiesa i sacramenti possono essere non accolti e non
capiti: alcuni li ritengono ininfluenti per la vita spirituale e non necessari
(in nome di un rapporto “diretto” con Dio) o imposti (dalla tradizione della
Chiesa); oppure possono essere accolti senza essere capiti, sia in nome del
fascino del misterioso, sia perché sono una sorta di distintivo.
Ma i sacramenti possono essere anche capiti e accolti: in questa
prospettiva essi sono un punto di riferimento nelle tappe della vita, rendono
operante oggi il rapporto con Dio, comunicano la salvezza di Cristo, sono segni
di appartenenza alla Chiesa, sono fonti di vita spirituale, permettono la
comunione oltre il tempo. Ma i sacramenti formano la Chiesa? Daremo una
risposta a questa domanda.
Circa l’auditus culturae, con la
post-modernità abbiamo dei cambi di paradigma: nel Medioevo si aveva una
lettura teocentrica della realtà,
ordinata come dono da Dio, ma lettura in chiave platonica, dove l’idea della
cosa è in Dio. Tra il I e il II millennio l’attenzione si sposta al soggetto (si pensi all’importanza in
teologia morale dell’intuizione di Abelardo, per cui l’intenzione di un’azione
è fondamentale per la moralità dell’azione: intenzione significa riferimento al
soggetto) e all’umanità (l’umanità
di Cristo diviene soddisfazione per Dio: è la tesi di Anselmo). Nel XIII secolo
permane una lettura teologica della realtà, ma in chiave aristotelica: la res è
immanente, la forma dentro l’ente è voluta da Dio. La modernità scientifica
mantiene la prospettiva del XIII secolo, mentre la modernità culturale ha
invece una lettura antropocentrica
della realtà, ma sempre in chiave aristotelica: non è più Dio a stabilire
l’ordine delle cose, ma è l’uomo. Nelle ideologie del XIX e XX secolo la
lettura rimane antropocentrica, ma in chiave platonica: l’uomo non solo decide l’ordine degli enti, ma
stabilisce anche la realtà degli enti stessi (per cui qualcuno decide che il
proprio Stato è tutto). Questa prospettiva si mantiene anche nella
post-modernità, ma a decidere del valore della realtà non è più una ragione
ideologica, ma il singolo uomo: ecco dunque l’individualismo che caratterizza
il nostro tempo.
In sintesi, si parla dall’homo faber
(dove il mondo è un libro da leggere, ma le parole e la sintassi è di Dio),
all’homo creator (dove il mondo è un
libro da scrivere: nella modernità culturale le parole sono dell’uomo, ma la
sintassi è di Dio; nelle ideologie invece parole e sintassi sono dell’uomo) al postumano (dove l’uomo è un libro da
scrivere: non più solo sugli eventi, ma l’uomo decide su tutto, compreso se
stesso; non si accoglie più la realtà voluta da Dio).
L’esito della modernità che ha assolutizzato la ragione sono state tutti
gli orrori del secolo scorso, le crisi economica, energetica, ecologica di
oggi. Tutto questo genera oggi una grande sfiducia
nella ragione, per cui essa è incapace di elaborare sistemi di valore
universale. La ragione, incapace di indagare la realtà, si ripiega in una
ragione debole, che può risolvere solo piccoli problemi.
Circa l’auditus theologiae, ci
troviamo talora davanti ad ermeneutiche teologiche riduttive. Per lungo tempo,
per esempio, si è considerato come teologico solo quanto rientrava nel modello
teologico di Tommaso d’Aquino (come nota Gilson). Si hanno ermeneutiche
teologiche riduttive quando la riflessione sulla/nella fede non pone in
dinamismo dialogico l’auditus fidei e
l’auditus temporis, ma ne pone in
rilievo uno solo, offrendo così esclusivamente una parola archeologica o
relegata nel passato oppure una parola senza radici.
(manca una lezione)
- L’INIZIAZIONE CRISTIANA
L’iniziazione cristiana non è altro che la prima partecipazione
sacramentale alla morte e resurrezione di Cristo: si noti l’aspetto ontologico. Nelle premesse al RICA, la
CEI afferma che è importante richiamare l’attenzione sul fatto che
l’itinerario, graduale e progressivo, di evangelizzazione, iniziazione,
catechesi e mistagogia, è presentato dall’Ordo
con valore di forma tipica per la formazione cristiana: vediamo qui presente la
dimensione esistenziale, dopo quella
ontologica.
Partiamo dalla Scrittura, come prescrive OT 16 (vs. teologia manualistica,
dove la Scrittura doveva servire solo a fornire i dicta probantia) e soprattutto DV 24 (Scrittura anima della
teologia: lo aveva già affermato Leone XIII nella Providentissimus Deus). Il punto di partenza quindi non è dato da
categorie antropologiche o culturali sull’iniziazione: facciamo teologia
sacramentaria (ha un’indagine biblica: mette in rapporto evento cristologico e
fede della Chiesa nella loro circolarità) e non teologia della sacramentalità. Indaghiamo
i testi del NT: non è un’indagine biblica generale. Nel NT compare un’esplicita
terminologia battesimale: non si analizzano dunque possibili simbolismi o
prassi battesimali o di iniziazione cristiana.
Nei Vangeli notiamo che manca la descrizione esplicita della prassi
battesimale, nonostante si parli di Battesimo: a livello gesuano sono presenti
comunque fatti e parole riferite esplicitamente alla terminologia battesimale.
Vediamo ora alcuni passi in particolare dove troviamo questa terminologia,
senza però che troviamo una descrizione della prassi battesimale:
-
Mc 1,8: “Io vi ho battezzati con acqua,
egli battezzerà con lo Spirito Santo”. Battesimo, in greco, significa
immersione. Qui si parla dunque di 2 immersioni, una nell’acqua (Battista) e
una nello Spirito (Messia). I paralleli di questo testo in Mt e Lc si parla di
Spirito Santo e fuoco: il fuoco è il giudizio escatologico. Il Battesimo del
Messia ha dunque una valenza escatologica e avviene nell’immersione nello
Spirito
-
Mc 10,38-39: “Potete bere il calice che io bevo
e ricevere il battesimo che io ho ricevuto”. Il calice, nella Scrittura,
indica l’ira di Dio, quindi un elemento che implica una sofferenza. Mc 10
indica dunque la sofferenza di Gesù all’interno del disegno del Padre: anche i
discepoli perciò dovranno soffrire come Gesù. Nella Bibbia “battesimo” indica i
flutti che sommergono (cfr. Sal 42,8; 69,2-3; 2Sam 22,5): si riferisce ancora
dunque alla sofferenza, e qui alla sofferenza di Gesù e dunque anche al
martirio dei discepoli. Dunque, per i discepoli, sembra che il Vangelo si
riferisca al martirio e non al Battesimo. L’acqua, per gli Ebrei, non era un
elemento connotato positivamente (non è un caso che gli Ebrei non erano
navigatori): indicava la morte. Mancano dunque elementi, a livello di Vangelo,
per affermare un cammino di iniziazione cristiana. Tuttavia, mettendo insieme
questi primi due passi, possiamo dire che il Battesimo: è immersione nello Spirito, ha valenza escatologica, si pone in rapporto con la morte di Gesù (con il possibile martirio del battezzato);
-
Mc 16,15-18: “il credente e battezzato sarà
salvo”. Al v. 15 il Risorto ordina di andare dappertutto a predicare ad
ogni creatura. L’ordine dato dal Risorto è assoluto, nella prospettiva della
totalità. Al v. 16 il Risorto contrappone chi crede e chi non crede: non è
automatico che l’annuncio porti alla fede; credere è essere battezzato: non
sono due fasi o azioni successive ma realtà complementari di un unico soggetto
(i due participi hanno il medesimo articolo, il medesimo soggetto: il participio
inoltre indica un’azione dinamica, che continua nel tempo; dunque il credere
del battezzato continua nel tempo: l’aspetto ontologico si invera nell’aspetto
storico). L’essere battezzati è dunque la manifestazione esterna del credere.
Ai vv. 17-18 il Risorto afferma che per chi crede vi saranno effetti, segni che
accompagnano chi crede. Questi segno sono conseguenza della comunione del
battezzato con Cristo, che provoca un cambiamento sostanziale e azioni ben
visibili e incisive. Il nome del Risorto indica l’essenza del Risorto stesso;
scacciare i demoni significa la presenza del Regno nei credenti; parlare lingue
nuove è dono dello Spirito; prendere in mano serpenti significa dominare il
male; bere veleno senza danni significa la vita che non può morire; il bene ai
malati è azione del Risorto.
Credere quindi porta all’essere battezzati, che implica dei segni: più
credo, più sono battezzato e più porto dei segni. È dunque un processo
dinamico, non statico.
Tornando su Mc 16, vediamo come vi sia:
-
un fondamento cristologico: lo troviamo al
v. 15 (“andate”) e al v. 17 (“nel mio nome”): il Risorto accompagna l’azione
dei suoi discepoli;
-
un fondamento pneumatologico: segno delle
lingue nuove;
-
un orizzonte ecclesiologico: si viene
battezzati perché raggiunti dai discepoli, si testimonia la propria fede, vi è
la presenza del Regno;
-
una valenza antropologica: nel nome del
Risorto i battezzati sono risorti.
Il Battesimo non esaurisce il credere ma lo manifesta, ma apre la strada
della manifestazione dei segni della vita risorta.
In Mt 28,19-20 troviamo ugualmente a Mc il Risorto come soggetto: tutti i
sacramenti hanno stretto riferimento con il Kyrios,
a cui è stato dato ogni potere. Anche qui vi è l’imperativo andate, che ha in sé dunque il
fondamento cristologico, ma anche una valenza ecclesiologica (è al plurale). Vi
è in questi versetti un’inclusione: si è iniziati con il Kyrios (“andate”) e si
finisce con il Kyrios (“tutto ciò che vi ho comandato”). Nell’inclusione (nella
potenza) del Kyrios vengono fatte discepole tutte le nazioni: Mc diceva “nel
mio nome”, qui vi è questa inclusione. Questo comando del Kyrios assume due
determinazioni: battezzare e insegnare, mentre in Mc c’era il riferimento a
battezzare e ai segni. Il Battesimo non esaurisce il discepolato, occorre una
continua ripresa di quanto ha insegnato Gesù.
Dunque, concludendo:
-
in Mc: al
Battesimo seguono segni straordinari;
-
in Mt: al
Battesimo seguono gli insegnamenti di Gesù che devono essere vissuti.
Il Battesimo, alla luce di questo,costituisce una tappa importante nel
cammino di iniziazione cristiana, ma non lo esaurisce.
Vediamo ora gli Atti degli Apostoli:
-
in 2,37-42 si
parla del Battesimo di 3000 giudei nel giorno di Pentecoste. Questo lo schema
di questa pericope: dono dello Spirito agli Apostoli e parlare in lingue
(2,5-13), predicazione di Pietro, pentimento dei presenti, Battesimo, vita
nella comunità cristiana;
-
in 10,1-48 si
parla del Battesimo nella casa di Cornelio. Questo lo schema di questo
pericope: azione dello Spirito su Pietro e Cornelio, predicazione di Pietro,
venuta dello Spirito con il dono delle lingue, Battesimo, vita nella comunità.
Gli schemi dunque si somigliano: in entrambi l’azione dello Spirito precede
il Battesimo, in entrambi c’è la predicazione di Pietro e in entrambi al
Battesimo segue l’inserimento nella vita della comunità.
Il Battesimo è suscitato dal Signore e dallo Spirito nella mediazione
ecclesiale: anche in At 8 vi è un’azione che precede il Battesimo e una che la
segue. I segni della presenza di Dio in At 8 sono la gioia e la Scrittura.
Dopo il Battesimo si ha dunque partecipazione alla vita della Chiesa: il
Battesimo dunque non viene visto come elemento puntuale, che ha senso da solo
in rapporto colo dono di Dio, ma rimanda alla vita concreta della comunità dei
credenti. Ma questa partecipazione alla vita della Chiesa richiede sempre una
rinnovata adesione (dimensione esistenziale che segue a quella ontologica): la
vicenda di Simon Mago evidenzia che il Battesimo non garantisce, da solo,
l’inserimento nella vita cristiana in modo pieno ed efficace.
Dopo il Battesimo non si ha automaticamente il dono dello Spirito: il
battesimo di Filippo non basta a conferire lo Spirito Santo in At 8, ma
necessita dell’imposizione delle mani degli apostoli (8,17): il Battesimo è
sempre un inizio, ma c’è bisogno di altro.
Concludendo:
-
vi è un agire di Dio che precede il Battesimo:
effusione dello Spirito, parlare in lingue;
-
vi sono delle
mediazioni che precedono il
Battesimo: Scrittura, dialogo personale, predicazione, integrazione di
conoscenze precedenti;
-
il rito non è
mai isolato, ma integrato da altri
momenti: imposizione delle mani
-
importanza
dell’inserimento nella comunità.
Passiamo ora a Paolo.
Nelle sue lettere Paolo utilizza alcune immagini traendole dalla Scrittura:
esse sono figure (typoi) della realtà. Si pensi a 1Cor 10,1-5.
Qui essere sotto la nube e attraversare
il mare rimanda al Battesimo, mentre la manna
dal cielo e l’acqua dalla roccia sono figura dell’Eucarestia: in Cristo gli
antichi segni vengono risignificati e sono visti come immagini delle realtà
attuali. Il Battesimo è collegato dunque all’Eucarestia in un unico processo di
aggregazione alla comunità: Battesimo ed Eucarestia sono un’unica realtà (molto
più ricco di At). Vi è inoltre il riferimento alla necessità del cammino
costante nella vita cristiana: come non bastano i doni ricevuti nel deserto da
Israele perché esso entri nella terra promessa, così non bastano i sacramenti
dell’iniziazione cristiana (aspetto ontologico) per salvarsi (necessità
dell’aspetto esistenziale, storico). Dall’iniziazione cristiana devono
scaturire la vita in Cristo (aspetto ontologico) e il cammino di sequela Christi (appartenenza
esistenziale).
Anche in 1Pt 3,21 troviamo il diluvio indicato come typos del Battesimo.
Quindi l’iniziazione cristiana nel
NT:
-
manca una struttura precisa nell’iniziazione
cristiana nel NT: vi è però la consapevolezza che non basta il Battesimo;
-
vi è sempre
l’iniziativa di Dio (effusione dello
Spirito, lingue nuove);
-
coinvolgimento
della comunità e non solo del
singolo;
-
capacità di coinvolgere altri nella vita cristiana:
vi è una dimensione missionaria (cfr. Filippo con l’Etiope);
-
prodigi come segno della presenza di Dio: la dimensione escatologica è realizzata
nella vita dei credenti, che diventano testimoni perché realmente risorti in
Cristo;
-
il Battesimo
non basta all’iniziazione cristiana: necessità di un processo più ampio (es.
imporre le mani) e necessità di una sequela
Christi.
Passiamo ora ai Padri.
Troviamo che l’iniziazione cristiana si struttura in 3 momenti successivi e
strutturalmente legati:
-
catecumenato: il catecumenato antico è un tempo di noviziato,
un’istituzione pedagogica, un processo d’iniziazione, di crescita e di
apprendistato, per mezzo del quale la totalità della persona si trasforma,
orientando la propria vita in forma radicalmente nuova, verso il Dio di Gesù
Cristo e la comunità della Chiesa (sempre i sacramenti hanno un orientamento
cristologico ed ecclesiologico, sullo sfondo antropologico). Questa istituzione
ecclesiale di tipo pastorale-liturgico è nata e consolidata dall’esperienza, fu
approvata dall’autorità ecclesiastica, si sviluppò all’interno delle comunità
cristiane a partire dalla fine del II sec., si diffuse rapidamente nel III sec.
e la prima metà del IV sec., si trasformò nella seconda metà del IV sec.,
rimase vitale durante il V sec., decadde fino a scomparire nei secoli VI e VII;
-
sacramenti
dell’iniziazione
-
mistagogia
Circa l’iniziazione cristiana, le fonti principali sono:
-
gli scritti liturgici e canonici: si pensi agli scritti di Ippolito Romano, alla Traditio Apostolica, ai canoni del
Concilio di Elvira (306/314);
-
le catechesi battesimali: in Occidente
troviamo gli scritti di Ambrogio (De
mysteriis, De sacramentis) e di
Agostino (De catechizandibus rudibus),
mentre in Oriente troviamo le Catechesi
di Cirillo di Gerusalemme, di Giovanni Crisostomo e di Teodoro di Mopsuestia;
-
gli scritti dottrinali: ricordiamo fra
questi la Demonstratio apostolicae
praedicationis di Ireneo di Lione, il Pedagogo
di Clemente Alessandrino, il De baptismo e
il De oratione di Tertulliano, il Contra Celsum di Origene, il Testimonia ad Quirinium di Cipriano, l’Itinerarium Aetheriae, l’Oratio catechetica magna di Gregorio di
Nissa, il De baptismo contra donatistas,
il De unico baptismo contra Petulianum,
il De peccatorum meritum et remissione,
il De fide et operis di Agostino, il De ecclesiasticis officiis di Isidoro di
Siviglia;
-
i libri liturgici: fra essi segnaliamo il Sacramentario Gelasiano.
Guardando all’iniziazione cristiana nel III secolo, fondamentali sono
alcune opere: la Traditio apostolica di Ippolito e il De baptismo di
Tertulliano per l’Occidente, il Contra Celsum di Origene per
l’Oriente.
Consideriamo la Traditio apostolica
di Ippolito (forse), che è un testo antico e autorevole. In essa si parla di
diverse fasi del catecumenato:
-
ingresso (da postulante a catecumeno) e primo
esame a cui i padrini (che presentano il candidato ai responsabili della
comunità) rispondono circa i motivi della conversione, lo stato di vita e la
condizione sociale e il mestiere svolto (doveva essere compatibile con la via
cristiana);
-
periodo catecumenale: durava 3 anni, durante i quali i catecumeni
ascoltano le catechesi dopo una liturgia della Parola;
-
elezione (da catecumeno a eletto) e secondo
esame sulla condotta morale del catecumeno a giudizio dei catechisti e dei
padrini. Si inizia la quaresima e si ascolta il Vangelo: il manuale dei
catecumeni era il libro dell’Esodo, mentre il catecumeno leggeva e meditava
anche il vangelo;
-
periodo battesimale: settimana precedente la Pasqua, digiuno, letture
e catechesi;
-
celebrazione dei riti di iniziazione cristiana: il giovedì santo si lavano, venerdì e sabato
santo digiunano, il sabato santo si stava tutta la notte in preghiera con
letture e catechesi, al canto del gallo vi era la rinuncia a Satana, l’unzione,
la triplice domanda sulla fede, il Battesimo per triplice immersione. Poi i
neofiti entrano nell’assemblea dei fedeli in attesa, dove il vescovo amministra
la Confermazione per partecipare tutti, fedeli e neofiti, all’Eucarestia;
-
momento mistagogico: prima di partecipare alla comunione venivano
loro dati latte e miele (simboli della Terra promessa). Poi ricevevano brevi
istruzioni dottrinali del vescovo, che li esortava a vivere rettamente da
cristiani.
In definitiva l’esperienza dei catecumeni era un’esperienza di morte e
resurrezione (cfr. Rm 6).
Nel primo millennio l’iniziazione cristiana è costituita da un rito
fortemente unitario: vi era la triplice domanda della professione di fede, la
prima unzione del presbitero, il Battesimo,
l’ingresso in chiesa, l’imposizione
delle mani e la preghiera del vescovo, la seconda unzione, il bacio della
pace e l’Eucarestia. Come si vede,
in questo rito vi sono tutti e tre i sacramenti dell’iniziazione cristiana.
Consideriamo ora lo scritto di Tertulliano. Il De baptismo è la più antica e completa esposizione sul Battesimo,
prototipo delle future catechesi mistagogiche e prolungamento della tradizione
evangelica. Se Ippolito ci descrive i riti, Tertulliano ne mette in evidenza il
significato teologico: i due testi sono complementari. Il De baptismo è un prezioso documento che ci offre però anche la
prassi liturgica e la dottrina battesimale del III secolo, dove la seconda è
fondata nella prima.
In Tertulliano sono presenti e complementari un aspetto esistenziale (i catecumeni devono
essersi accuratamente preparati e moralmente lavati) e un aspetto ontologico (teologia dell’acqua,
giuramento/appartenenza). Circa l’aspetto esistenziale, per Tertulliano è necessaria
una accurata preparazione prima di accedere ai sacramenti dell’iniziazione
cristiana: c’è un esame di entrata (come in Ippolito) e vi è una veloce
istruzione sulla dottrina e sulla morale cristiana (prima ancora che diventi
catecumeno; cfr. De paenitentia); in
questo Tertulliano sembra quasi pelagiano (sottolinea lo sforzo umano nella
preparazione pre-battesimale). Circa l’aspetto ontologico, nei primi capitoli
del De baptismo si sottolinea
l’importanza dell’acqua ma vengono lasciate in secondo piano le parole del
battezzando (la fede del battezzando) e le parole del ministro (la comunità):
qui sembra quasi che Tertulliano si contraddica rispetto al De paenitentia, dove era importante la
moralità del catecumeno, mentre qui Tertulliano insiste sull’importanza
dell’acqua. Nell’acqua Dio opera con potenza che misteriosamente è trasmessa
all’acqua che, per creazione, ha caratteristiche battesimale (fecondità e
liberazione); la nascita e la salvezza viene dal Battesimo e si ha un
fondamento cristologico del Battesimo stesso. Uscito dall’acqua battesimale, il
battezzato è accolto dalla comunità e il Battesimo segna una sua nuova nascita
(oltre all’aspetto cristologico, vi è sempre quello ecclesiologico e
antropologico): la Chiesa è la nuova Madre del neofito, diventato Figlio di
Dio. Accanto alla nuova nascita, il Battesimo è colto come liberazione dal
diavolo, effetto della vittoria di Cristo: inizia qui la soteriologia dei
“diritti del demonio” (Cristo avrebbe pagato con il suo sangue il riscatto
perché potesse liberare l’uomo dal diavolo), che verrà abbandonata unicamente
con Anselmo d’Aosta nel Cur Deus homo:
il demonio non ha diritti, perché è un usurpatore che ha ingannato l’uomo.
Dunque l’acqua è segno di fecondità ma anche di distruzione: questo viene
applicato al Battesimo, perciò l’acqua diviene fecondante e rigenerante (nuova
nascita, la Chiesa diventa madre, il neofita diventa Figlio di Dio), ma anche
distruggente (cancella il peccato e libera dal demonio). Pur avendo l’acqua,
per invocazione dello Spirito Santo, una forza santificante datale da Dio in
Cristo, tuttavia occorre la fede e l’impegno del battezzando.
Altro schema utilizzato da Tertulliano e dai Padri è quello del Battesimo
come giuramento: come il soldato
giura fedeltà all’imperatore e viene arruolato, così nel Battesimo il neofita
viene segnato con la fede e il neofita d’ora in poi appartiene a Cristo.
I Padri leggono tipologicamente 1Cor 10,1-4: il Battesimo non lo si vede
solamente nel mare, ma anche nell’acqua che sgorga dalla roccia. Vi è
un’ermeneutica patristica della tipologia biblica: il mare è tipo del
Battesimo, l’uscita dall’Egitto è tipo dell’abbandono dell’idolatria pagana, la
traversata del Mar Rosso è immagine dell’ingresso nel catecumenato, la
traversata del Giordano è il Battesimo.
Vediamo ora Origene. Per
l’Alessandrino, la liberazione di Israele dall’Egitto, il suo pellegrinare nel
deserto e l’ingresso nella Terra sono prefigurazione del cammino cristiano. In
Origene il cammino catecumenale è ancora segnato da tappe come in Ippolito
Romano. Anche per Origene l’uscita dall’Egitto è immagine dell’abbandono
dell’idolatria pagana, la traversata del Mar Rosso è immagine dell’ingresso nel
catecumenato e la traversata del Giordano è il Battesimo. Molto importante è
l’ermeneutica biblica in Origene: per i rudes
vi è l’ermeneutica letterale, mentre per i perfecti
vi è l’ermeneutica allegorica.
Considerando ancora 1Cor 10, l’acqua dalla roccia viene vista da Ambrogio
come immagine del Battesimo; la manna dal cielo è l’Eucarestia dono di Dio,
mentre l’acqua della roccia è il Battesimo ma anche il Sangue scaturente da
Cristo (due ermeneutiche diverse in 2 opere diverse, De mysteriis e De sacramentis)
Dunque, la “celebrazione
dell’iniziazione cristiana non è solo il culmine del “catecumenato” e il
compimento del cammino, ma l’inizio di una vita nuova ottenuta dal lavacri di
rigenerazione nello Spirito Santo, orientata verso il bene per piacere a Dio,
attraverso una viva esperienza ecclesiale sorretta dalla catechesi e una
costante attuazione esistenziale di quanto appreso durante il lungo periodo
catecumenale”. Importantissimo, dunque, è l’unione fra aspetto esistenziale
e aspetto ontologico.
Molto importante in antichità era il momento della domenica in albis: cfr. i
brani di Agostino nelle slides. Otto giorni dopo il Battesimo i catecumeni
deponevano le albae: ma, nota
Agostino, spogliarsi dell’abito bianco, non significa deporre quell’essere
rivestiti di Cristo che si è ricevuto nel Battesimo. Agostino, nei suoi
discorsi e catechesi per questa domenica, riprende anch’egli Rm 6; inoltre egli
vede la domenica in albis come
prefigurata nel rito della circoncisione, che si compiva all’ottavo giorno.
L’iniziazione cristiana inizia ad entrare in crisi nel IV-V sec., con la
svolta costantiniana e, successivamente con Teodosio, con la proclamazione del
Cristianesimo a religione di Stato. Questo comportò un’ampia diffusione del
catecumenato, dal momento che da esso è riconosciuta l’appartenenza cristiana a
livello civile (Agostino nel Sermo 46
dice che cristiani sono anche i catecumeni, oltre ai fedeli). Si ebbe inoltre
un forte flusso migratorio dal nord con l’invasione dei barbari: fra questi
popoli succedeva che la conversione del capo portava poi alla conversione del
popolo, giungendo a conversioni e battesimi di massa che rendevano impossibile
il catecumenato.
Vediamo meglio l’itinerario catecumenale:
-
la signatio: si entrava nel catecumenato e
si diventava audientes del libro
dell’Esodo (letto tipologicamente);
-
si diveniva
poi electi;
-
nomendatio: il diacono annunciava i nomi di quanti sarebbero stati battezzati e,
durante la Quaresima, essi divengono competentes,
cioè ricevono il Simbolo della fede e il Pater, che vengono appresi;
-
infine vi è
la celebratio: avveniva nella Veglia
Pasquale e venivano amministrati tutti e 3 i sacramenti dell’iniziazione
cristiana.
Nella fase decadente del IV-V secolo il catecumenato viene ridotto alla
sola Quaresima ed inoltre veniva protratto moltissimo, anche fino alla fine
della vita: infatti importava unicamente l’acquisizione dei diritti civili, e
il differimento del Battesimo serviva a non assumersi gli impegni derivanti dal
sacramento. Il catecumenato perciò diviene scadente in quanto ridotto e senza
esame e protratto per paura delle pubbliche penitenze (se si cadeva in peccato
dopo il Battesimo); a questo però fanno da contraltare eccellenti catechesi
mistagogiche di ottimi vescovi, che in tal modo tentano di supplire il
catecumenato ridotto.
Concludendo circa l’epoca patristica, dobbiamo dire che i Padri
sottolineano che:
-
la storia
della salvezza è orientata e compiuta in Cristo: il vertice e compimento di questa storia è
Cristo, si viene inseriti in questa storia attraverso Cristo, la mistagogia
spiega l’inserimento in Cristo (testo fondamentale è Rm 6);
-
il popolo
di Dio, la Chiesa, è salvato e rende partecipi della salvezza: la Chiesa è madre poiché concepisce figli
unendosi al Verbo (i quali però divengono essi stessi madri). Il catecumenato
non è una tecnica ma un’esperienza vitale generante. La comunità locale è
attiva ed è rappresentata dai catechisti e dai padrini ma soprattutto dal
vescovo; inoltre tutta la comunità digiuna per tutta la Quaresima. Il cammino è
personale, non massificato e anonimo, non individuale e isolato, ma è
all’interno di una comunità che genera;
-
il
catecumeno è già considerato christianus: il catecumeno è già visto come membro della Chiesa. Il catecumenato non è
solo un tempo pedagogico, sociologico, giuridico, anagrafico, ma ha un valore
sacramentale-teologico;
-
il Battesimo
è ingresso e permanenza nella salvezza: il Battesimo introduce e apre all’alleanza (salvezza), e immagine di
questo è l’ingresso nella Terra promessa. Il Battesimo impegna tutta la vita
come permanenza nell’alleanza e questo impegno è nella caritas. Il Battesimo, proprio per questo, richiede dunque una
“formazione permanente”.
Vediamo ora il Medioevo e il XX secolo.
Il motivo della decadenza del Battesimo degli adulti è dato dalla
diffusione del Battesimo dei bambini, anche se fino al IX secolo il secondo è
ancora inferiore al primo. La notevole mortalità infantile invita al Battesimo
dei bambini e inoltre sempre di più senza aspettare la veglia pasquale. In
genere i genitori partecipano ad una sorta di cammino catecumenale al posto dei
bambini.
Carlo Magno tentò di stabilire, per motivi politici (Impero stabile), una
liturgia uniforme e “romana” attraverso la celebrazione dell’iniziazione
cristiana: si introduce perciò il Sacramentario
Gelasiano e si dà un’inchiesta ai metropoliti.
Sino al XII secolo sono prescritti pontificali nei quali si sottolinea l’unità della celebrazione dei sacramenti
dell’iniziazione cristiana. Tuttavia, la Confermazione si staccò
progressivamente, divenendo autonoma e riservandola al vescovo. Ciò è dovuto:
-
alla
scomparsa del catecumenato;
-
al Battesimo
dei bambini fatta dai presbiteri, lasciando al vescovo la Confermazione: la
Confermazione perde in tal modo valore, perché non ritenuta essenziale per la
salvezza.
Dal IX secolo la Confermazione diviene autonoma: il Battesimo dei bambini
si allarga (ministro del Battesimo è il sacerdote) e la cresima è differita
perché prerogativa del vescovo. Si cercò di giustificare teologicamente questa
separazione fra Battesimo e Confermazione.
Quale valore ha il Battesimo nel Medioevo? Vi è un’importanza laica del Battesimo: è segno di appartenenza alla
comunità sociale (christianitas =
societas). Tuttavia il Battesimo perde importanza a livello ecclesiale: il
Battesimo è ormai universale e dato per scontato. Importante perciò diventa
essere continentes (monaci) o almeno praedicatores (chierici). La societas e ecclesia si divide in 3 ordines
(l’ordine è garanzia che Dio domina sulla realtà): oratores, bellatores, laboratores
nella società, continentes, praedicatores, coniugati nella Chiesa. La
gerarchia dei differenti stati di vita poggia sul postulato che la condizione
carnale sia deteriore: più ci si allontana dalla carne, identificata con la
sessualità, tanto più si è perfetti. In questa prospettiva, il matrimonio, pur
essendo un sacramento, non ha alcun valore positivo: rappresenta unicamente un
rimedio alla concupiscenza e una concessione alla debolezza umana. Questa
visione pessimista della condizione dei laici nonché del loro ruolo della
Chiesa non è appannaggio di qualche autore isolato o estremista. Viene
condivisa anche dagli stessi fedeli, che non riescono ad intravedere alcuna
salvezza se non in un’unione assai intima con il mondo dei religiosi. Tuttavia
la visione è più complessa.
Nell’ambito della letteratura monastica medievale convivono due tendenze,
una di rifiuto e l’altra di accoglienza verso il mondo rappresentato dal
laicato, soprattutto dalla donna e del matrimonio. Anche in ciò che riguarda la
donna e il matrimonio, quali espressioni tipiche del mondo, i monaci conservano
uno sguardo positivo. Donna e sesso sono talora assunti a parametro della
stessa esperienza religiosa (si pensi al Cantico dei Cantici, che è uno dei
testi più letti nel Medioevo monastico).
Guardiamo ora al Vaticano II,
nel quale si riscopre l’iniziazione cristiana: Battesimo, Confermazione ed
Eucarestia hanno un’intrinseca unità (SC 71) e sono detti sacramenti
dell’iniziazione cristiana (AG 14;
PO 2): cfr. anche gli altri passi. Ci concentriamo su AG 14: leggere bene! I catecumeni non devono
solo apprendere verità dogmatiche o norma morali, ma devono essere portati
all’incontro con Cristo. Successivamente si mette in evidenza la dimensione ecclesiologica, quando si parla di
celebrazione del memoriale della morte e resurrezione del Signore con tutto il popolo di Dio. L’iniziazione cristiana
non deve essere solo opera dei catechisti e dei sacerdoti, ma di tutta la
comunità (si tratta della Chiesa
particolare); inoltre si sottolinea ancora una volta la dimensione
missionaria della Chiesa, che tutti i battezzati devono coltivare. I
catecumeni, come già diceva Agostino, sono già uniti alla Chiesa e non è raro
che essi conducano già una vita ispirata alla fede, alla speranza e alla
carità.
Pasquato ha affermato che il Vaticano II non ha voluto riprendere passivamente
di valori della Chiesa antica, ma ha voluto riappropriarsi di valori che
permangono tali nel tempo, facendoli interagire con le attuali situazioni
storiche.
Da qui dunque la riforma dei libri
liturgici (v. sulle slides). Nei praenotanda
dei vari rituali si trovano notizie molto preziose: i praenotanda generalia del RICA riprendono AG; l’iniziazione
cristiana non è altro che la prima partecipazione sacramentale alla morte e
resurrezione di Cristo (configurazione ontologico-sacramentale a Cristo). Si dice
anche nel RICA che il tempo della purificazione e dell’illuminazione deve
coincidere con la Quaresima e la mistagogia deve essere inserito nel Tempo
Pasquale: l’iniziazione cristiana deve rivelare chiaramente il suo carattere
pasquale. Sul piano esistenziale l’iniziazione cristiana deve avvenire con
gradualità in seno alla comunità cristiana: quest’ultima deve non solo pregare
per i catecumeni, ma anche incoraggiarli in un orizzonte di conversione per corrispondere più
generosamente alla grazia dello Spirito Santo. La CEI, nelle premesse al RICA,
richiama l’attenzione sul fatto che l’itinerario progressivo di
evangelizzazione, iniziazione, catechesi e mistagogia è presentato come la forma tipica per la formazione cristiana.
In Sacramentum Caritatis 17, Benedetto
XVI afferma che, se l’Eucarestia è fonte e culmine della vita della Chiesa, ne
consegue che il cammino di iniziazione cristiana ha come suo punto di
riferimento la possibilità di accedere a questo sacramento: bisognerà dunque
verificare se nelle comunità cristiane è percepito il rapporto fra
Battesimo-Confermazione-Eucarestia (in questo ordine!); infatti noi veniamo
battezzati e cresimati in ordine all’Eucarestia: è necessario far comprendere
dunque questo orizzonte unitario. Il Battesimo, prosegue il Papa, costituisce
la porta di accesso a tutti i sacramenti, dal momento che con esso si viene
inseriti nel Corpo di Cristo: tuttavia è la partecipazione al Sacrificio
eucaristico a perfezionare in noi il dono battesimale; l’Eucarestia porta a
pienezza l’iniziazione cristiana.
Vediamo alcuni aspetti sull’iniziazione cristiana, circa la sua natura e la
presenza di una prospettiva teologica o cronologica e in una prospettiva
soteriologica, pneumatologica-trinitaria, ecclesiologica ed eucaristica.
Spesso abbiamo dei riduzionismi: si identifica infatti l’iniziazione
cristiana col momento del catecumenato; in realtà nell’iniziazione cristiana si
tratta essenzialmente della valenza teologico-sacramentale colta in chiave
cristologico-pasquale. Falsini afferma che l’iniziazione cristiana non è da
considerarsi:
-
un semplice
fatto educativo che tende a dare corpo e valori insiti nella coscienza umana;
-
un cammino
dove si impara un comportamento, né un atto giuridico richiesto dalla situazione
sociologica cristiana;
-
un rituale di
appartenenza giuridico-religiosa ad una comunità con ovvi impegni di rapporti
determinati;
-
un sistema
moralistico per far apprendere norme di condotta cristiana.
Invece, secondo Falsini, che riprende AG 14, l’iniziazione cristiana
esprime il mistero e la realtà che introduce l’uomo nella vita nuova, sia
trasformandolo nel suo essere (aspetto ontologico) sia impegnandolo
personalmente (aspetto esistenziale) sia integrandolo in una comunità (aspetto
ecclesiologico) che lo accoglie come suo membro (Battesimo), gli dona lo
Spirito (Cresima), lo ammette alla mensa della Parola e dell’Eucarestia
(Eucarestia): l’uomo in tal modo raggiunge la sua identità cristiana, che poi
dovrà sviluppare nella sua esperienza di vita perché essa raggiunga la sua pienezza.
La realtà dell’iniziazione cristiana è il mistero pasquale di Cristo, morto
e risorto, applicato al credente, che muore alla vita precedente (peccato) per
vivere la nuova vita di risorto: è dunque una dinamica di vita e di morte. La
medesima realtà viene significata e comunicata mediante i 3 riti sacramentali,
con modalità e finalità diverse.
Possiamo vedere 2 fasi:
-
nella prima
la modalità cristologica formativa è data dalla sequela Christi in cui il soggetto ha quale cifra antropologica
esistenziale la conversio. Nella fase
catecumenale la fede celebrata si presenta con una dimensione parziale in
quanto il soggetto non può partecipare alla celebratio
perché non è ancora membro a pieno della Ecclesia.
La preghiera che ne deriva sarà “soggettiva” e del cuore (il catecumeno,
leggendo il libro dell’Esodo, pensa di compiere soggettivamente lo stesso
cammino), ispirata alla professio fidei,
soprattutto biblica, e orientata verso la celebratio
fidei quale culmen;
-
nella seconda
fase la modalità cristologica formativa è la configuratio Christi, in cui il soggetto ha come cifra
antropologica esistenziale la conversatio,
ossia una disposizione permanente, una connaturalità alla conversione come status et modus vivendi, mentre la conversio si pone sul piano fattuale e
contingente. La conversatio è una
realizzazione a-posteriori del soggeto, la conversatio
è una permanenza a-priori del soggetto. In questa fase in cui la celebratio fidei è l’a-priori
costitutivo, anche la fede pregata dipende e si invera dalla e nella celebratio fidei.
Vediamo la prospettiva cronologica. Si è iniziati ai sacramenti: la catechesi è orientata alla liturgia. Ma se la
catechesi è orientata ai sacramenti, dopo i sacramenti la gente va via dalle
parrocchie. In tal modo non abbiamo più un autentico catecumenato. Si è invece
iniziati verso i sacramenti (questa è
la prospettiva teologica): la catechesi è finalizzata alla vita cristiana e i
sacramenti sono dei momenti importanti all’interno di essa, ma l’orizzonte
rimane sempre la vita; inoltre si è iniziati dai sacramenti: la liturgia precede la catechesi, che diviene
mistagogia. Quindi la liturgia è culmen
e la catechesi diviene catecumenato; ma allo stesso tempo la liturgia è fons e la catechesi è mistagogia. Sono questi i due aspetti della
prospettiva teologica.
- IL BATTESIMO
Guardiamo innanzitutto il fondamento
biblico. Partiamo dalla tradizione di Israele:
- simbolismo dell’acqua: ha 3
aspetti:
1) morte: Dio libera e salva dalla morte. Si guardi a Gen 1,6-10, in cui Dio permette la vita
separando le acque creando il firmamento (che è segno della fedeltà di Dio): le
acque sono segno del male e Dio salva dal male e dalla morte. Ma Dio lotta
anche contro i mostri del mare (diverse citazioni nei Salmi). In alcune
preghiere inoltre è immagine di angoscia mortale (2Sam 22,5 e nei Salmi).
Nell’evento fondante inoltre Israele si salva dall’acqua (Es 15; Is 51), segno
del male, che non ci sarà nella nuova creazione (Ap 21,1);
2) vita: Dio dona la vita. L’acqua è un bene per la creazione (Gen 2,10-14),
l’acqua dalla roccia salva il popolo nel deserto (Es 16; Nm 20), l’anelito ai
corsi d’acqua è immagine dell’orante (Sal 42), sulle rive dell’acqua (si tratta
dell’acqua di fiume e non di mare, che è distruttiva) crescono alberi molto
fruttuosi (Ap 22,1);
3) purificazione: Dio purifica dall’impurità. Naaman guarisce dalla lebbra
(la lebbra rende il corpo insensibile ed è contagiosa: esattamente come il
peccato) bagnandosi al Giordano (2Re 5), chi diviene cultualmente impuro deve
essere ritualmente purificato prima di rientrare in comunità mediante abluzioni
(Lv 11-15; Nm 19,11-22), si riferisce al cuore nuovo e al dono dello Spirito di
Dio (Ez 36; Is 32,15-40; 44,3). Vediamo come abbiamo 3 tipi di impurità: fisica
(malattia), cultuale (contatto con forze di vita o di morte), morale (peccato);
Gesù elimina le prime due.
- abluzioni: servivano a
purificare coloro che erano divenuti cultualmente impuri, mediante aspersione
con acqua o bagno nel fiume. L’importanza dei riti di purificazione crebbe sempre
più nel giudaismo (si parla di giudaismo dopo l’esilio, di ebraismo prima
dell’esilio), fino ai tempi di Gesù: la frequente ripetizione divenne un
obbligo, tanto che accanto alle sinagoghe vengono costruite vasche per
l’immersione.
Il diluvio è immagine sintetica di tutto questo: Dio infatti purifica,
salva (Noè) e rinnova l’alleanza (purificazione).
-
battesimo dei proseliti: i proseliti erano quei pagani che entravano a
far parte del popolo di Israele. Il battesimo dei proseliti avveniva per
immersione e si compiva una sola volta; le immersioni erano compiute dal
soggetto.
-
battesimo di Giovanni: esso riprende i “bagni” in chiave profetica
(escatologia prossima) e non è rituale: ha invece una forte accentuazione
etica, è necessario convertirsi. Diversamente dalle abluzioni, esso non è più
ripetibile: dunque ciò indica una radicalità nella conversione e
l’irripetibilità della situazione escatologica annunciata. A differenza dei
proseliti, non ci si battezza, ma si viene battezzati: non è il segno di una propria
volontà di conversione, ma occasione unica offerta in dono; inoltre viene
sottolineata l’importanza della mediazione. Il battesimo di Giovanni fu
importante per le prime comunità cristiane, dal momento che Gesù stesso si fece
battezzare.
Passiamo ora al NT:
-
sinottici-At: la comunità cristiana battezza fin dagli inizi. Vi è una continuità e
discontinuità col mondo giudaico: il battesimo è ora amministrato nel nome di
Gesù, sintesi e compendio della salvezza, con il quale si entra in un nuovo
rapporto; il battesimo è amministrato nella formula trinitaria; il battesimo
suppone Cristo predicato e creduto; il battesimo opera il perdono dei peccati e
comunica lo Spirito Santo;
-
Paolo: il battesimo suppone Cristo predicato e creduto. Esso opera una nuova e
fondamentale relazione con Cristo, espressa dai verbi con syn; vi è però una diversità rispetto ad At: in At si dice nel nome (il nome esprime proprietà,
possesso: l’uomo è passivo), mentre in Paolo si dice eis Christon (moto a luogo, dimensione dinamica: unione intima). Questo produce la remissione dei peccati e il dono dello Spirito Santo: la Chiesa ha la struttura di nuovo popolo di Dio. Circa la relazione
con Cristo, già prima di Paolo, si affermava che il Battesimo ci permette di
partecipare alla salvezza di Cristo e che la salvezza ci è ottenuta dalla morte
e resurrezione di Cristo: Paolo “elimina” il riferimento alla salvezza di
Cristo e mette direttamente in relazione Battesimo e morte e resurrezione di
Cristo. Ciò appare benissimo in Rm
6,1-11: il Battesimo è inserimento nella morte di Cristo (vv. 3-4.8), segnando una comunione profonda con
Cristo crocifisso, e nella resurrezione
di Cristo (v. 4). In questo versetto 4 ci si sarebbe aspettati che Paolo
parlasse di con-resurrezione: ma qui Paolo pone in evidenza la necessità della
vita nella resurrezione, quindi l’aspetto esistenziale e non solo ontologico
oggettivo; camminare in una vita nuova è possibile perché la morte/resurrezione
di Cristo ci ha resi nuove creature (il termine kainè ktisis compare in Paolo solo in 2Cor 5,17 e Gal 6,15: ma
questo tema è importantissimo in Paolo). Il Battesimo è rivestirsi di Cristo,
come giustamente mette in evidenza Gal 3,26-29, da interpretarsi correttamente.
C’è una diversità del Battesimo rispetto ad At: in At 2,38 si parla di
Battesimo nel nome di Cristo (significa
appartenere a Cristo come un dono che viene dall’alto, in maniera quasi
passiva), mentre in Rm 6,3 si parla di Battesimo in Cristo (è un’unione dinamica e intima, che fa riferimento ad un
movimento dell’uomo). Il mistero pasquale di Cristo viene partecipato al
battezzato, che muore al peccato e risorge a vita nuova.
Circa la remissione
dei peccati, possiamo vedere Rm 6,10.14; 1Cor 6,11; Col 2,8-13. Camminare a
vita nuova è possibile solo perché la morte/resurrezione ci ha resi nuove
creature (kainè ktisis): il cristiano
perciò è chiamato a vivere da risorto (Col 3,1-2.5-6.8-15), da uomo nuovo, di
cui egli si è rivestito (quando Paolo parla di rivestire allude alla dimensione
ontologica).
Circa il dono
dello Spirito, si può vedere Gal 3-4.
Circa la formazione della comunità,
si vedano 1Cor 12,13 e Ef 1,13: la formazione della comunità e il Battesimo
sono inseparabili, perché il Battesimo è comunione dello Spirito, il quale
forma la comunità come Corpo. Mentre il secondo millennio e Trento accentuano
molto l’aspetto cristologico, il Vaticano II accentua l’aspetto ecclesiologico
(molto presente nel primo millennio);
-
Giovanni: guardiamo a Gv 1,29.31-33. Cristo immerge continuamente nello Spirito
Santo e toglie continuamente il peccato (la presenza di numerosi participi
accentua il carattere dinamico di tali azioni di Cristo). Giovanni Battista
inoltre non vede ma contempla: il termine theoria
esprime il vedere con gli occhi di Dio (orao
in Gv rimanda al vedere con gli occhi della fede, a differenza di blepo): non si è solo coscienti di
quanto si sta vedendo, ma tale coscienza viene per mezzo di Dio.
Guardiamo anche a Gv 3,1-15: qui si affermano 3
necessità. 1) Necessità di rinascere dall’alto: con questa espressione si
afferma che Dio è necessario per essere rinnovati e che è Dio a porre le
condizioni per rinascere; 2) necessità di nascere dall’acqua e dallo Spirito:
in questa espressione abbiamo il compimento della prospettiva
veterotestamentaria: si pensi alla tradizione veterotestamentaria sull’acqua e
anche ai riferimenti allo Spirito (Ez 36; Ger 31: trasforma i cuori per mettere
in pratica la legge); 3) necessità di ritornare nel seno della propria madre:
in ebraico, con la stessa parola raham,
si esprime il significato viscere e utero: la misericordia di Dio fa
rinascere, come da un utero.
Guardiamo ora a 1Gv 5,6-8: Gesù è venuto con acqua
e sangue, segni del Battesimo e della morte di Gesù. Al v. 7 si parla di tre
testimoni: Spirito, acqua e sangue.
Sintetizzando Gv: il Battesimo è causa della
nostra rinascita, è testimonianza dell’opera redentrice che Gesù compie nella
storia, è testimonianza che lo Spirito Santo rende a favore del Figlio inviato
dal Padre e che mantiene sempre viva ed efficace; in Gv risulta più
sottolineato l’aspetto pneumatologico del Battesimo.
Vediamo il rapporto Battesimo-fede
nel NT:
-
la fede
prepara il Battesimo: la lex credendi
fonda la lex orandi. Si guardi a At
8,12ss.; 18,8;
-
la fede nasce
dal Battesimo: la lex orandi fonda la
lex credendi. Si guardi a Ef 1,8; Eb
6,4;
-
la fede
suppone il Battesimo e lo approfondisce: si guardi a Rm 6,3ss., 1Cor 6,11; 1Pt
3,21.
Nel NT emerge inoltre una
prospettiva cristocentrica del Battesimo:
-
salvezza in Cristo attraverso il Battesimo: il Cristo crocifisso e risorto è il centro che
il Padre ha costituito per l’intero creato e la sua storia. Ora si può essere
integri e graditi a Dio soltanto se riferiti a Cristo. E questa professione di
fede, che lo Spirito Santo rende possibile, sta alla base della concezione
biblica del Battesimo e ne spiega gli sviluppi;
-
il Battesimo istituito da Cristo: nella visione biblica tutti i doni del
Battesimo, missione dello Spirito, santificazione, remissione dei peccati, sono
frutto dell’opera salvifica di Gesù. Perciò si potrà fondatamente sostenere,
con la Chiesa apostolica, che il Battesimo è stato istituito direttamente da
Gesù.
Guardiamo ora all’esperienza patristica e facciamo alcune domande ai Padri:
-
orizzonte cristocentrico e/o trinitario? La tradizione lucana parla del Battesimo nel nome
di Gesù: è quindi cristocentrica; in Paolo, Rm 6,11, si parla della relazione
tra morte-resurrezione di Cristo e Battesimo. Ma in Rm 1,4 appare un orizzonte
trinitario, come anche in Mt 28,19. Dunque già nel NT emergono entrambe le
prospettive: una non esclude l’altra, si tratta di due modi diversi di
interpretare la realtà. Nella Didachè
il Battesimo ha un orizzonte cristologico e trinitario giustapposti; Giustino e
la Traditio apostolica hanno
unicamente un orizzonte trinitario. Circa il Battesimo trinitario, è
interessante notare che prima delle controversie trinitarie del IV secolo la
prospettiva trinitaria del Battesimo è già chiara ed esplicita (la lex orandi anticipa di secoli la lex credendi). Al sinodo di Arles (314)
ai donatisti sarà considerato valido il loro Battesimo solo se conterrà la
professione di fede trinitaria; tuttavia Ambrogio di Milano attesta ancora
l’orizzonte cristologico: nel De Spiritù
Sancto Ambrogio afferma che il Battesimo conferito nel nome di Gesù è
valido se in questo nome si comprendono anche le altre persone della Trinità e
chi è stato battezzato in questo modo non deve ripetere il Battesimo perché e
valido. Questa riflessione di Ambrogio eserciterà una grande influenza nel
Medioevo, diventadone una quaestio disputata;
-
Battesimo solo nel nome di Gesù? Il Battesimo nel nome di Gesù è valido: questo
viene attestato da Ugo di S. Vittore e da Pietro Lombardo; Gilberto Porretano
afferma invece che il Battesimo nel nome di Gesù non è mai stato valido;
Alberto Magno, Tommaso e Bonaventura affermano che il Battesimo è stato valido per
gli apostoli. Per Ugo di s. Vittore, è la fede nel Dio trinitario che qualifica
il Battesimo, mentre la formula con cui si battezza è secondaria; il Battesimo
può essere implicitamente trinitario all’interno di una prospettiva
cristologica: la forma non coincide con
la formula. Per Gilberto Porretano la forma coincide con la formula: il
Battesimo nel nome di Gesù contraddice l’esplicito comando di Mt 28,19 di
battezzare nel nome della Trinità. Per quanto riguarda la posizione di Tommaso,
l’Aquinate afferma che la causa efficiente del Battesimo sta nella formula (“Io ti battezzo nel nome del P, F e SS”):
in questa formula vi è una causa efficiente principale (Trinità) e una causa
efficiente strumentale (ministro). La forma equivale alla causa formalis del Battesimo, che equivale alla forma sacramenti, che coincide con la
formula. Ma per Tommaso vi è un’eccezione: per uno speciale privilegio, gli
apostoli hanno battezzato nel nome di Gesù. Da Tommaso in avanti, la forma
coincide con la formula: prima non era stato così;
-
il Battesimo degli eretici è valido? Circa il Battesimo degli eretici, i Padri ebbero
diverse posizioni: per alcuni (come Cipriano di Cartagine) il Battesimo deve
essere ripetuto, mentre per altri non si deve ripetere, ma è sufficiente la
penitenza e l’imposizione delle mani (papa Stefano I). La questione qui è
questa: cosa garantisce l’effetto del Battesimo, lo stato di grazia del
ministro o l’azione di Dio?
Cipriano afferma che gli eretici e gli scismatici
sono peccatori, perciò non hanno lo Spirito Santo e non lo possono comunicare:
Cristo infatti ha affidato i sacramenti agli apostoli e ai loro successori. Gli
eretici non professano la fede nel Dio trinitario, perciò non possono agire
nello Spirito di Cristo anche se pronunciassero la forma esatta.
Stefano I afferma che gli effetti del Battesimo
sono realizzati da Cristo e non dal ministro e dalla sua santità. Il Concilio
di Costantinopoli, ripreso da Trento, proibisce di ribattezzare l’eretico che
entra nella Chiesa: le disposizioni del ministro e di chi lo riceve non sono
essenziali.
Vediamo ora Agostino. Nella controversia donatista Agostino affermò la validità
del Battesimo con ministri eretici o indegni: vi è una differenza tra Battesimo
valido e fruttuoso. Per un Battesimo valido è necessaria la forma trinitaria,
che esso sia amministrato anche da un cristiano laico e persino da un eretico;
per un Battesimo fruttuoso è necessario però che l’eretico si converta dai suoi
errori e rientri nella Chiesa. Il Battesimo dell’eretico è dunque valido: il
carattere infatti è dono di Dio; ma esso non è fruttuoso: non c’è infatti
automatismo tra Battesimo e suo frutto. Il Battesimo è unione permanente con
Cristo e, attraverso di lui, con il Dio trinitario: esso imprime il carattere, che è una nota distintiva
che si imprime indipendentemente dallo stato di grazia di chi lo riceve e non
si perde nemmeno a causa del peccato mortale. Nella controversi pelagiana invece Agostino insiste invece
sul rapporto tra Battesimo e peccato
originale (quarta domanda).
Passando all’epoca medievale, vediamo la lettera di Innocenzo III al
vescovo di Arles (1201): in questa lettera si tratta della necessità della
libertà del battezzando per avere un Battesimo valido; il carattere può essere
impresso solo laddove non vi è l’opposizione della libertà, mentre il Battesimo
non è valido se non vi è un’esplicita opposizione.
Mentre i Padri erano stimolati dall’esperienza degli eretici e dall’esperienza
pastorale, nel XIII sec. gli stimoli sono di tipo accademico, in cui la scienza
equivale ad Aristotele, per il quale la scienza è scienza delle cause e nel quale prevale una visione
ilemorfistica. Vediamo il pensiero dell’Aquinate, contenuto in S. th. III, qq. 66-71. Tommaso rilegge
il Battesimo con l’ilemorfismo di stampo aristotelico.
Nella quaestio 66, art. 1,
Tommaso distingue tra:
-
sacramentum tantum (signum
tantum): è il segno esteriore, il rito. Nel Battesimo sarà l’acqua;
-
res et sacramentum: è l’effetto oggettivo intermedio (permanente), è
il carattere. Nel Battesimo è il carattere, la conformazione a Cristo (che non
si può perdere);
-
res et sacramenti (res tantum):
è la grazia effetto del sacramento (fine del sacramento). Nel Battesimo è la grazia
santificante, la santificazione gratia
habitualis (che si può perdere).
La fonte esplicita di Tommaso è Giovanni Damasceno di cui mette in evidenza
4 parole: sigillum/custodia
(equivalente alla res et sacramentum)
custodisce l’anima al bene, mentre la regeneratio
si riferisce alla vita nuova e la illuminatio
si riferisce alla fede (queste ultime due realtà si riferiscono alla res sacramenti).
Per Tommaso la causa principale è la Trinità, mentre la causa strumentale è
il ministro. Il ministro del Battesimo è per ufficio il sacerdote, ma per
necessità può essere anche un laico o persino un non credente, purché intenda
fare ciò che fa la Chiesa e usi la forma della Chiesa: in tal modo Tommaso
risolve la questione lasciata in sospesa da Agostino. Circa l’iniziazione
cristiana, Tommaso afferma la necessità del Battesimo per la salvezza, il
Battesimo di desiderio, che il Battesimo dei bambini non va differito e che il
Battesimo degli adulti va differito, sia per esigenza del catecumenato
(l’adulto deve conoscere e vivere la fede) sia per esigenza liturgica
(Battesimo nella Veglia pasquale). Circa le disposizione del battezzando, per
gli adulti fondamentale è la conversione:
chi ha volontà di peccare non può essere battezzato; la fede non è necessaria
per la res et sacramentum, mentre è
necessaria per la res sacramenti.
Circa gli effetti del Battesimo, essi sono: liberazione dal peccato (colpa) e
dalle pene; incorporazione a Cristo e alla Chiesa, suo corpo; illuminazione:
conoscenza della verità e fecondità nel fare il bene; rigenerazione spirituale.
La vita spirituale e morale è fondata nel Battesimo.
Nella Scolastica dunque:
-
abbiamo una
particolare chiarezza e precisione;
-
l’impostazione
e le categorie sono quelle aristotelico-tomiste;
-
si ha
un’accentuazione cristologica;
-
la
riflessione scolastica sarà un riferimento per il Magistero successivo;
-
non è
evidente l’unità dei sacramenti dell’iniziazione cristiana;
-
vi è un
modesto riferimento alla lex orandi e
alla dimensione ecclesiale e comunitaria;
-
vi è un modesto
riferimento pneumatologico.
Il Concilio di Firenze riprende Tommaso.
Il Concilio di Trento risponde ai riformatori, che accettano il Battesimo
come vero sacramento e sottolineano molto la fede. Il Concilio di Trento non
offre una dottrina sistematica sul Battesimo, ma esso viene considerato in
rapporto a vari temi: il peccato originale, la giustificazione, il settenario
sacramentale, la penitenza, 14 canoni.
Circa il Battesimo e il peccato originale, Trento afferma che lo stesso
merito di Gesù Cristo è applicato agli adulti e ai bambini: perciò i bambini
appena nati devono essere battezzati e vengono veramente battezzati per la
remissione dei peccati anche se non hanno commesso peccati. La grazia del
Battesimo toglie la macchia del peccato originale e non è semplicemente non
imputato il peccato (il peccato non era perdonato): nei battezzati rimane la
concupiscenza, che non è peccato, ma ha origine nel e inclina al peccato; essa
viene lasciata come prova per il combattimento spirituale: in tal senso può essere
occasione di meriti, dovuti anche allo sforzo umano. Per Lutero invece la
concupiscenza è la prova che l’uomo è rimasto peccatore anche dopo il
Battesimo, per cui non gli è stato rimesso il peccato.
Circa il Battesimo e la giustificazione, la giustificazione del peccatore è
il passaggio dallo stato in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo allo stato
di grazia per mezzo del secondo Adamo, Gesù Cristo: questo passaggio non può
avvenire senza il lavacro di rigenerazione o senza il desiderio di esso (qui le
citazioni bibliche sono in fondo: non è la Bibbia che deve uniformarsi alla
teologia). Il Battesimo dunque è inizio della giustificazione dalla grazia
preveniente (contro il semipelagianesimo). La giustificazione non è una
semplice remissione dei peccati, ma è anche santificazione e rinnovamento
dell’uomo interiore, mediante la libera accettazione della grazia e dei doni
che l’accompagnano, per cui da ingiusto diviene giusto. Le cause della
rigenerazione sono:
-
causa finale:
la gloria di Dio, di Cristo e la vita eterna;
-
causa
efficiente: la misericordia di Dio, lo Spirito Santo;
-
causa
meritoria: passione di Cristo;
-
causa
strumentale: il sacramento del Battesimo, che è sacramento della fede, senza la
quale nessuno ha mai ottenuto la giustificazione.
Per Lutero la giustificazione è un atto giudiziario: libera dalla pena del
peccato e non dal peccato; essa dunque non è anche santificazione e
rinnovamento dell’uomo interiore, per cui il peccatore resta peccatore (simul iustus et peccator): l’uomo in re è peccatore, in spe è salvo. Per Lutero, a giustificare non è il sacramento, ma
la fede in esso: l’ex opere operato
sembra una magia, mentre l’importante è la fede soggettiva; il Battesimo non
giustifica nessuno, ma a giustificare è la fede nella promessa di Dio, a cui si
aggiunge il Battesimo. Tra giustizia di Dio e battezzato vi è solo un rapporto
esteriore, in quanto l’uomo non è toccato: con il sacramento Dio si lega con un
patto all’uomo e, pur lasciandolo peccatore (in re), con la sua grazia lo cambia gradualmente fino alla salvezza
escatologica (in spe).
Rispondendo a Lutero, nel can. 6 De
sacramentis in genere, Trento risponde a Lutero:
-
i sacramenti
sono necessari per la salvezza;
-
i sacramenti
della nuova legge contengono la grazia;
-
non solo
segni esteriori della grazia già ricevuta mediante la fede (Lutero): il
sacramento è causa strumentale con cui si riceve la grazia;
-
per ottenere
la grazia non basta la sola fede nella promessa divina.
Il can. 1 specifica il battesimo di Cristo rispetto al battesimo di
Giovanni: per Tommaso la circoncisione e il battesimo di Giovanni perdonano il
peccato; il Concilio di Firenze afferma che i segni dell’antica alleanza non
contengono la grazia ma orientano verso di essa. Trento, fra queste due
posizioni contrastanti, non si esprime su questo tema (a Trento premeva
rispondere alla Riforma e non affrontare problemi della Scolastica).
Al can. 2 si afferma che la rinascita nel Battesimo non è semplicemente
simbolica. Al can. 4 si riafferma il Battesimo valido anche se amministrato
dagli eretici; al can. 5 si afferma la necessità del Battesimo in ordine alla
salvezza; ai cann. 6-10 si afferma non solo la necessità di credere ma anche di
vivere la fede; ai cann. 11-13 si afferma la unicità del Battesimo e la
possibilità del pedobattesimo.
Il Concilio di Trento:
-
riprende
Tommaso: non è originale Trento;
-
risponde ai
riformatori: non è organico perciò;
-
vi è un clima
controversistico: ciò porta ad avere una visione non organica, ma apologetica;
-
vi sono
tematiche antropologiche: rapporto Battesimo-peccato,
Battesimo-giustificazione;
-
non affronta
il Battesimo nell’insieme dell’iniziazione cristiana;
-
non affronta
il rapporto tra Battesimo-fede-vita, il rapporto tra il Battesimo dei bambini e
quello degli adulti, il rapporto tra Battesimo ed esistenza ecclesiale.
Il rinnovamento pastorale dopo Trento culmina nel Rituale Romano e nel Catechismo.
Nel Rituale Romanum il Battesimo
viene celebrato in un unico rito continuo in cui non si offre più il senso
dinamico di cammino e di ingresso nel mistero della salvezza; non viene
recepita la proposta del card. Santoni, che proponeva di ricostituire il
catecumenato. Nel Catechismo romano
si fissa la Confermazione all’età di 7 anni, mentre la Comunione a 11 anni.
Vediamo ora il Concilio Vaticano II. All’interno di esso il Battesimo ha un
orizzonte cristologico ed ecclesiologico: vi è una continuità sul cristologico
(Trento), ma una novità rispetto all’ecclesiologico. Circa l’aspetto
cristologico, tramite il Battesimo si è:
-
uniti al
mistero pasquale;
-
conformi a
Cristo;
-
figli
adottivi nello Spirito;
-
adoratori del
Padre.
Tutte queste realtà denotano l’aspetto ontologico. Ma vi è anche un aspetto
esistenziale: con il Battesimo si è incorporati a Cristo:
-
nel popolo di
Dio;
-
nella
triplice funzione;
-
nella
missione nella Chiesa e nel mondo.
Inoltre il cristiano viene inserito nello stile oblativo di Gesù.
Circa l’aspetto ontologico, cfr. SC 6 (il Battesimo non ha un riferimento
assoluto nell’ottica sacramentale, ma è orientato all’Eucarestia in uno sguardo
escatologico; vi è il riferimento al mistero pasquale), LG 7 (unione di aspetto
cristologico ed ecclesiologico: mediante i sacramenti si diffonde la vita di
Cristo nel suo corpo e allo stesso tempo i fedeli si uniscono in modo arcano e
reale a lui sofferente e glorioso; anche qui vi è il riferimento al mistero
pasquale), ancora LG 7 (ancora una volta l’Eucarestia viene concepito come
compimento del Battesimo).
Circa l’aspetto esistenziale, cfr. LG 31: la missione nella Chiesa non è
individuale, ma è tutto il popolo cristiano, il popolo di Dio, impegnato nella
missione della Chiesa.
Circa l’aspetto ecclesiologico, abbiamo alcuni motivi:
-
inseriti nella Chiesa (incorporati) → LG 11. Non bisogna aspettare
qualcuno che mi spinga, ma già in forza del Battesimo siamo chiamati a
professare pubblicamente la fede: in questa professione della fede vi è uno
stretto rapporto tra il culto e la vita. Con la Confermazione questa
professione della fede pubblicamente deve essere ancora più forte; si fa anche
riferimento alla partecipazione all’Eucarestia: vediamo l’unione dei sacramenti
dell’iniziazione cristiana. Il Battesimo non solo incorpora nella Chiesa, ma
rigenera figli di Dio, non ha solo valenza ad
intra ontologica, ma anche storica; similmente la Confermazione non ha solo
valenza ad extra (testimonianza),
storica, ma anche ontologica. La partecipazione all’Eucarestia non è solo culto
in cui si offre la vita divina, ma anche offerta della propria vita (SC 48).
Battesimo ed Eucarestia sono orientati all’Eucarestia.
La salvezza operata da Cristo è un evento nel
quale si comunica la salvezza nel tempo (kairos),
per cui la storia diventa storia della salvezza: la salvezza di comunica
attraverso l’azione cultuale che diventa l’oggi, per cui il culto diventa actio sacra, actio Dei. Per
ritus et preces = Il rito perciò è importante, non
inteso come ritualismo rubricale, che tende a ridurre all’essenziale valido; le
preghiere sono molto importanti, non intese come formule “magiche”, ma quale
azione liturgica che coinvolge tutto l’uomo quale risposta all’azione di Dio.
L’azione sacra coinvolge tutto l’uomo: conscie
rimanda all’intelletto (mente concorde con le parole); pie rimanda all’affetto (devotio);
ma cosa significa actuose? Di
partecipazione attiva avevano già parlato diversi documenti precedenti di Pio X
(Tra le sollecitudini), di Pio XI (Miserentissimus Redemptor) e di Pio XII
(Mediator Dei): in quest’ultimo
documento il papa afferma che i fedeli partecipano del sacerdozio cristiano,
partecipando all’offerta del culto eucaristico e offrendo se stessi. Testo
molto importante è LG 10;
-
prospettiva
storico-escatologica;
-
popolo di
Dio;
-
aspetto
materno della Chiesa: grembo;
-
sacerdozio battesimale: abbiamo 3 dimensioni: sacerdotale, profetica,
regale. Circa la dimensione sacerdotale, i fedeli partecipano del sacrificio di
Cristo, che ha offerto se stesso: anche i fedeli perciò offrono se stessi e
partecipano al culto (nessuna separazione tra culto e vita). Circa la
dimensione profetica, i fedeli partecipano della profezia di Cristo, Parola di
Dio: anche qui i fedeli offrono se stessi, testimoniando e annunciando il
Vangelo (nessuna divisione tra vita e missione). Circa la dimensione regale, i
fedeli partecipano della regalità di Cristo, re dell’umanità, del cosmo e della
storia: anche qui i cristiani offrono se stessi, non separando la propria vita
dalle realtà terrene. Per questa dinamica di offerta di sé in relazione
all’Eucarestia, cfr. LG 11;
-
scoperta del laicato: i laici sono chiamati, in forza del Battesimo e
della Confermazione, a partecipare alla missione della Chiesa; l’Eucarestia
costituisce l’anima di questo apostolato (LG 33; AA 3). Battesimo e Cresima
costituiscono il legame fondativo con Cristo, mandante dell’apostolato; inoltre
Battesimo e Cresima fondano il sacerdozio regale, la nazione santa in forza
delle quali i laici possono offrire sacrifici spirituali con le proprie
attività nonché testimoniare Cristo (emergono le 3 funzioni: sacerdotale,
regale, profetica). Battesimo e Cresima, incorporando in Cristo e nella Chiesa,
abilitano all’apostolato e tendono all’Eucarestia (culmen), ma allo stesso tempo l’Eucarestia comunicando la carità
costituisce l’anima dell’apostolato (fons).
Cfr. anche AG 36
-
universale chiamata alla santità: cfr. LG 40. Anche in questo passo troviamo
aspetto ontologico ed esistenziale: i fedeli hanno ricevuto la santità, che
essi devono vivere e perfezionare;
-
unità dei
sacramenti dell’iniziazione cristiana;
-
ripristino
del catecumenato;
-
aspetto
ecumenico.
Vediamo ora la celebrazione del sacramento.
Abbiamo due riti: il Rito della
iniziazione cristiana degli adulti (1978) e il Rito del Battesimo dei bambini (1970). Questi due rituali
manifestano che vi sono 2 possibilità: il Battesimo degli adulti, che segue
l’iter antico (Battesimo, Confermazione, Eucarestia), e il Battesimo dei
bambini, che non segue l’iter antico (Battesimo, Confessione, Eucarestia,
Cresima all’età di ragione).
All’interno dei praenotanda rito
ritroviamo tutti gli aspetti messi precedentemente in esame:
-
fondazione e orizzonte cristologico: parlano di inserimento e configurazione a
Cristo; inoltre la celebrazione del Battesimo viene contestualizzata nella
Veglia Pasquale o in domenica;
-
appartenenza ecclesiale: missionarietà della Chiesa in cui sono coinvolti
tutti i battezzati; importanza della Chiesa locale (importanza del Vescovo,
battezzandi nella stessa Chiesa);
-
prospettiva unitaria dei sacramenti
dell’iniziazione;
-
valenza storica (conversione) non solo ontologica: importanza dell’accompagnamento spirituale e
della parrocchia.
Vediamo gli aspetti del rito. Innanzitutto la spiritualità. La sequela
Christi è l’imitatio Christi:
l’agire di Gesù e la sua parola, le sue azioni e i suoi precetti, costituiscono
la regola morale della vita cristiana (VS 20); tuttavia seguire Cristo non è
un’imitazione esteriore, perché tocca l’uomo nella sua profonda interiorità:
essere discepoli di Gesù significa essere conformi
a lui, che si è fatto servo fino al dono di sé sulla croce (sequela Christi = conformatio Christi).
La configurazione (ontologica; è diversa dalla conformazione, che si pone a
livello del cuore) a Cristo è la vita
nuova: il Battesimo configura radicalmente il fedele a Cristo nel suo
mistero pasquale. Morto al peccato, il battezzato riceve la vita nuova: vivente
per Dio in Cristo Gesù, è chiamato a camminare secondo lo Spirito e a
manifestarne nella vita i frutti.
Vediamo un secondo aspetto: l’ecumenismo.
Cfr. UR 22: il Battesimo è il vincolo sacramentale dell’unità che vige fra
tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati. Il Battesimo è solo
l’esordio, in quanto esso tende all’acquisto della pienezza della vita di
Cristo. Esso è dunque ordinato all’integrale professione di fede, all’integrale
incorporazione nell’istituzione della salvezza e all’integrale inserzione nella
comunione eucaristica. Il Battesimo assicura la comunione con la Chiesa;
l’unità cristologica precede ontologicamente le divisioni confessionali: il
riconoscimento reciproco del Battesimo è presente in quasi tutto l’ambito
cristiano. Il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, in un direttorio
del 1993, ha
affermato che il Battesimo per immersione o infusione con la formula trinitaria
è sempre valido.
I padrini del Battesimo devono essere cattolici: essi sono testimoni della
fede; un non cattolico può essere ammesso come testimone.
Vediamo ora un terzo aspetto: la pastorale.
Le differenziazioni delle tradizioni presenti nella Chiesa non sono di
carattere dogmatico, ma di carattere pastorale. Tuttavia bisogna verificare
quale prassi possa aiutare i fedeli a mettere al centro il sacramento
dell’Eucarestia, come realtà a cui tutta l’iniziazione tende (Sacramentum caritatis 18). La prassi
liturgica fonda la pastorale: i documenti sulla pastorale richiamano la prassi
liturgica. Nel documento L’iniziazione
cristiana. Orientamenti per il catecumenato degli adulti della CEI (1997)
vede l’iniziazione cristiana come itinerario “iniziatico” per condurre l’uomo a
diventare cristiano maturo, cioè membro cosciente e attivo della Chiesa (n. 1):
tuttavia in questa affermazione manca l’aspetto ontologico (ovviamente bisogna
tener conto che si tratta di un documento pastorale, che chiaramente mette in
evidenza l’aspetto esistenziale). In Educare
alla vita buona del Vangelo, n. 40, si dice che l’iniziazione cristiana è
l’esperienza fondamentale dell’educazione alla vita di fede: essa non è una
delle attività della comunità cristiana, ma l’attività che qualifica
l’esprimersi proprio della Chiesa. Essa ha assunto un’ispirazione catecumenale,
che conduce ad una progressiva consapevolezza della fede, mediante itinerari di
catechesi e di esperienza di vita cristiana (non si tratta di una dottrina). Al
n. 54 si dice che il primo punto degli obiettivi e delle scelte dei Vescovi
deve essereci l’iniziazione cristiana.
Il documento Pastoralis actio della
CdF dice che la pastorale del Battesimo dei bambini deve ispirarsi a questi due
grandi principi, di cui il secondo è ordinato al primo:
-
il Battesimo
è necessario alla salvezza: per questo esso non deve essere differito;
-
devono essere
prese delle garanzie perché tale dono possa svilupparsi mediante una vera
educazione nella fede e nella vita cristiana. Se queste garanzie non ci sono,
il Battesimo può essere rifiutato: non basta l’aspetto ontologico, ma è
necessario anche quello esistenziale.
Inoltre il documento afferma che la comunità cristiana deve essere
coinvolta nella preparazione al Battesimo e nella formazione cristiana: questa
partecipazione è necessaria anche per il Battesimo dei bambini. D’altronde la
stessa comunità crescerà nella fede partecipando ai Battesimi.
Il n. 1231 del CCC parla di un catecumenato post-battesimale per il
Battesimo dei bambini: non si tratta solamente della necessità di una
istruzione dottrinale posteriore al Battesimo, ma si tratta di portare a
compimento la grazia battesimale nella crescita della persona. È questo
l’ambito proprio del catechismo
Vediamo ora l’aspetto del diritto
liturgico. Il CJC, circa i sacramenti dell’iniziazione cristiana, prevede
una celebrazione unitaria con preparazione a tappe per gli adulti e una
celebrazione a tappe con preparazione a tappe per i bambini. Il can. 842
richiama l’unità tra i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Il can. 851
afferma che la celebrazione deve essere debitamente preparata: ecco il senso
del catecumenato per gli adulti e della preparazione dei genitori per i
bambini. Il can. 866 afferma che dopo il Battesimo, gli adulti devono ricevere
la Cresima e l’Eucarestia. Il can. 893 consiglia che il padrino della Cresima
sia lo stesso del Battesimo: si vuole mettere in rilievo l’unità
dell’iniziazione cristiana. Il can. 863 afferma che il Battesimo degli adulti
sia deferito al Vescovo diocesano. Il can. 872 afferma l’importanza del
padrino, che ha una funzione molto importante e richiama la presenza della
comunità cristiana (come era in origine, un membro della comunità).
La critica che Montan fa è l’assenza evidente dell’ordinamento del
Battesimo e della Confermazione all’Eucarestia.
Accanto alla celebrazione unitaria dei sacramenti dell’iniziazione
cristiana, il CJC prospetta una celebrazione a tappe: il can. 867 prescrive il
Battesimo nelle prime settimane di vita; il can. 891 prescrive la Cresima
nell’età della discrezione (7 anni); il can. 914 prescrive l’Eucarestia all’età
della ragione, premessa la confessione sacramentale.
Ai cann. 849-878 vi è il riferimento fondativo al Vaticano II e ai libri
liturgici: rispetto al 1917, è tolta la precedente divisione tra Battesimo
solenne e non solenne (privato), vi è una visione unitaria dell’iniziazione
cristiana e una duplice modalità nella celebrazione del Battesimo. Questi
canoni inoltre mettono in evidenza diverse valenze del Battesimo. Circa il
luogo del Battesimo, il luogo di preferenza deve essere la chiesa parrocchiale.
Nel Battesimo degli adulti, perché il Battesimo sia valido è necessaria la
volontà di ricevere il Battesimo, mentre per la liceità è richiesto che
l’adulto sia sufficientemente istruito nella fede, che vi sia stato un periodo
di prova (catecumenato) e che vi sia il pentimento dei peccati.
Vediamo la parte sistematica sul
Battesimo. In esso vi sono diverse dimensioni: trinitaria, cristologica,
pneumatologica, ecclesiologica, escatologica; vediamo anche alcune tematiche:
conseguenze del Battesimo, sacerdozio battesimale, salvezza dei bambini senza
Battesimo. I manuali seguono 3 tipi di impostazione differenti:
cristologico-trinitaria, ecclesiologica (è quella del Vaticano II) e quella
neoscolastica (più individualista).
Circa la dimensione trinitaria abbiamo già detto: i sacramenti in quanto mysterion devono essere compresi
trinitariamente, dal momento che sono in relazione all’agire storico di Dio nel
quale tutto ha origine dal Padre, tutto si realizza nel Figlio e per il Figlio,
tutto si compie e viene portato a compimento nello Spirito Santo; viceversa
tutto nello Spirito Santo per il Figlio torna al Padre. Il Battesimo è
accoglienza della vita trinitaria attraverso una via trinitaria: il Padre è
origine, il Figlio realizza e sviluppa, lo Spirito porta a compimento la vita
trinitaria nel battezzato. Il mysterion
è l’unico progetto di Dio in 3 momenti: 1) creazione; 2) redenzione; 3)
compimento escatologico. Il peccato originale vela la sacramentalità del mondo;
con l’incarnazione del Logos la corporeità e il creato assumono tutta la loro
rilevanza; le realtà create (acqua, pane, vino, etc.) sono trasformate dallo
Spirito divenendo segni di grazia. Nella creazione dunque si trovano le vestigia Dei, che non si riconoscono più
col peccato; sempre col peccato l’uomo, pur mantenendo l’immagine di Dio, perde
però la somiglianza, sempre in attesa del compimento escatologico.
Circa la dimensione cristologica, il Battesimo è azione salvifica del Kyrios (come anche gli altri sacramenti)
e l’azione salvifica del Kyrios è il
suo evento pasquale (cfr. Rm 6,1-11). Dal Battesimo, quale partecipazione della
Pasqua, deve scaturire una duplice appartenenza cristologica: la vita in Christo (appartenenza
ontologica) e il cammino di sequela
Christi (appartenenza esistenziale); la prima sottolinea la partecipazione
alla morte di Cristo, la seconda sottolinea la partecipazione alla resurrezione
di Cristo. Sempre per la dimensione cristologica, è importante il “camminare
nella vita nuova”: esso è possibile perché la morte e la resurrezione ci ha
resi nuove creature e dunque l’appartenenza ontologica precede l’esistenziale.
Circa la dimensione pneumatologica, (v. slides).
Circa l’impostazione ecclesiologica, Isidoro di Siviglia parla di Chiesa
come convocata et congregata e come convocans et congregans; Cipriano parla
della Chiesa come della plebs adunata
dalle persone divine. Con il Battesimo si è accolti nella Chiesa e incorporati
in essa (dimensione passiva); si è inoltre incorporati a Cristo e si diventa
figli nel Figlio (Trinità) e membra del corpo di Cristo (Chiesa). Questo filone
ecclesiologico, sviluppato dal Vaticano II, era però già esistente nella
teologia. La valenza ecclesiologica del Battesimo è sottolineata dal fatto che
ministro ordinario di esso è il Vescovo ed esso deve essere amministrato nella
celebrazione domenicale, quando l’assemblea è riunita. Nel Battesimo inoltre la
Chiesa genera nuovi figli come una madre.
Circa la dimensione escatologica, dato che il Battesimo partecipa alla
resurrezione di Cristo, esso ha delle implicazioni escatologiche, dal momento
che la resurrezione di Cristo ha implicazioni escatologiche; in tal senso, il
Battesimo è sigillo e caparra per il giorno della parusia.
Vediamo ora le tematiche.
Innanzitutto le conseguenze del
Battesimo: sono rimessi tutti i peccati, nuova creazione, figlio adottivo
di Dio, partecipazione alla natura divina, membro di Cristo, coerede di Cristo,
tempio dello Spirito Santo (cfr. CCC 1265: manca l’aspetto ecclesiologico!
Altro limite è che, parlando della nuova creazione, cita solo 2Cor 5,17 e non
cita Gal 6).
Quali peccati vengono perdonati? Sono perdonati il peccato originale, i
peccati personali e le conseguenze del peccato (pena). Per i Padri il Battesimo
costituiva una sorta di ritorno al paradiso terrestre: il rito del Battesimo non
c’è solo la professione di fede, ma anche la rinuncia a Satana; Tommaso afferma
che dopo il peccato permangono le paenalitates
presentis vitae: nel battezzato permangono le conseguenze del peccato. Per
Lutero e Trento, abbiamo già visto sopra. Per il CCC, dopo il Battesimo
rimangono le conseguenze temporali del peccato (sofferenza) e l’inclinazione al
peccato. Nella dichiarazione congiunta (cattolico-luterana) sulla Dottrina
della giustificazione si afferma l’essere peccatore del giustificato, sebbene per
noi cattolici l’uomo è fatto santo nel Battesimo.
Circa l’effetto di nuova creazione, cfr. testo di Gregorio di Nissa.
Circa la filiazione divina, si pensi a Gv 1,12, dove credere non ha solo
valenza giuridica, nominale, ma ha valenza ontologica (cfr. Gv 6,42; 1Gv 3,1):
chi crede ha la vita eterna, perciò la vita eterna è già qui. Tertulliano ci
dice che la Chiesa è la madre del neofito diventato figlio di Dio; anche Ireneo
parla del Battesimo come nuova nascita.
Circa la partecipazione alla natura divina, questo tema è più caro agli
orientali (v. slides).
Le conseguenze del Battesimo sono di 3 tipi: spirituali, etiche, pastorali.
In Novo millennio ineunte, Giovanni
Paolo II afferma che il Battesimo dà la santità all’uomo nuovo (cap. III) e
spinge poi al comandamento dell’amore (cap. IV).
Vediamo ora il sacerdozio
battesimale. Esso è sacerdozio:
-
dei fedeli:
per fedeli si intendono tutti i battezzati
-
comune: non
perché secondario, ma comune a tutti i battezzati;
-
battesimale:
fondato sul Battesimo;
-
fondamentale:
costituisce il fondamento di ogni stato di vita.
Vediamo il fondamento biblico del sacerdozio. Il sacerdozio greco-pagano ed
ebraico hanno come elemento caratterizzante la mediazione tra il divino (sacro)
e l’umano (profano). Il termine ebraico kohen
può essere tradotto o con iereus o
con leitourgos: la LXX preferisce
sempre il primo (che ha significato di mediazione in ambito cultuale) e non il
secondo (significato politico e generale, prima che cultuale). Soltanto con 1Pt
2,5.9 e Ap 1,6; 5,10; 20,6 si parla di sacerdozio battesimale e queste
citazioni sono in riferimento a Es 19,6 (basileion
ierateuma): la Bibbia ebraica parla di regno di sacerdoti (regno come somma
di sacerdoti), mentre la LXX parla di regno sacerdotale (il regno come corpo
sacerdotale); nella Bibbia ebraica il regno è un insieme di singoli e la
sovranità è assunta solo dai sacerdoti, mentre nella Bibbia greca il regno è un
corpo unico e la connotazione sacerdotale è estesa a tutto il popolo. Il
termine ierateuma è un neologismo della
LXX e ha un sufisso importante (-euma)
che esprime una dimensione corporativa: siamo perciò di fronte all’idea del
corpo. Nella Scrittura abbiamo infine la presenza di altri termini (popolo,
stirpe, nazione), che esprimono questa dimensione corporativa e sottolinea la
dignità della Chiesa nel suo insieme. Il sacerdozio dei fedeli non si tratta
perciò di un sacerdozio vissuto in una modalità individualistica, ma di un
sacerdozio posseduto tutti insieme in modo organico. Esso non è in
contrapposizione con il sacerdozio ordinato: non si intende dare una dignità
particolare ai singoli battezzati in rapporto ai sacerdoti ordinati, come
avvenne con la Riforma che utilizzò questo passo per esaltare il sacerdozio dei
fedeli a scapito di quello ordinato. I battezzati hanno invece una loro
dignità: essi sono tempio del Dio vivente e sono chiamati ad offrire la propria
vita come sacrificio santo e gradito a Dio.
Circa la riflessione patristica sul sacerdozio battesimale, Ambrogio
commentando, l’unzione post-battesimale, afferma che tutti siamo unti con la
grazia spirituale per il regno di Dio e per il sacerdozio. Agostino,
commentando Ap 20,6, afferma che queste parole non riguardano solo vescovi e
preti, ma a causa dell’unzione battesimale consideriamo tutti i fedeli unti del
Signore. Giovanni Crisostomo, commentando 2Cor 1,21, afferma che Dio ci ha dato
lo Spirito rendendoci re, sacerdoti e profeti. Riguardo alla riflessione
patristica, si può vedere che il metodo è una fondazione liturgica e biblica,
mentre il contenuto riguarda tutti i fedeli, il sacerdozio.
La riflessione medievale riprende quella patristica e accentua il culto.
Nell’epoca moderna, Lutero afferma che non vi è alcuna distinzione
ontologica tra gerarchia e laici e nessuna distinzione ontologica tra
sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune. In forza del Battesimo e della
fede tutti hanno davanti a Dio la stessa dignità sacerdotale: in quanto
sacerdote, ogni cristiano non ha bisogno di alcun mediatore se non di Cristo
per accedere al Vangelo. Ogni cristiano è inoltre chiamato ad annunciare al
Vangelo. Il ministero ordinato ha il compito di guidare la comunità e predicare
ed è la stessa comunità che stabilisce chi deve diventare ministro ordinato.
L’ordinazione non conferisce alcuna consacrazione, ma solo il diritto di
annunciare la Parola e amministrare i sacramenti: tutti i battezzati hanno il
medesimo diritto, ma per amore dell’”ordine” vengono delegate alcune persone.
Trento risponde con la sacramentalità dell’Ordine: essa si oppone alle tesi
luterane sui sacerdoti, che hanno un potere spirituale specifico che li
differenzia dai laici, che hanno un ministero non temporaneo ma permanente, che
hanno un ministero non solo funzionale alla predicazione e ai sacramenti; i
vescovi sono successori degli Apostoli. Mentre Lutero dunque esalta e
assolutizza il sacerdozio battesimale e nega il sacerdozio ordinato, da Trento
al XX sec. si minimizza il sacerdozio battesimale e si esalta il sacerdozio
ordinato.
Nei documenti dei papi del Novecento si riprende la prospettiva del
sacerdozio dei fedeli; ciò viene dichiarato esplicitamente dal Vaticano II, in
LG 10, dove troviamo la triplice dimensione regale (offrire tutte le attività
umane), profetica (annunciare i prodigi) e sacerdotale (sacerdozio santo).
Circa la dimensione sacerdotale, Cristo è il sacerdote che ha offerto se stesso
e i fedeli partecipano al sacerdozio di Cristo, in quanto offrono se stessi e
partecipano al culto divino: non vi è divisione tra vita e culto. Circa la
dimensione profetica Cristo è la profezia di Dio e i fedeli partecipano a tale
profezia, in quanto offrono se stessi e annunciano rendendo testimonianza: non
vi è divisione tra vita e missione. Circa la dimensione regale, Cristo è re
dell’umanità, del cosmo e della storia e i fedeli partecipano a tale regalità,
in quanto essi offrono se stessi e, risorti offrono le attività umane: non vi è
divisione tra vita e realtà terrene.
Vediamo ora la questione della speranza
della salvezza dei bambini che muoiono senza Battesimo (cfr. documento CTI
2007). Al n. 103 vi è la sintesi di tutto questo documento: Dio vuole salvare
tutti. Il fatto che Dio possa salvare senza Battesimo è faccenda sua, a noi sta
rimanere nella via ordinaria che è quella del Battesimo.
- LA CONFERMAZIONE
Nella prospettiva biblico-patristica il Battesimo è stato associato al dono
dello Spirito Santo: esiste allora un sacramento specifico che conferisce lo
Spirito? Nella prospettiva teologica, se il Battesimo porta alla pienezza
dell’inserimento in Cristo, che valore ha la confermazione? Nella prospettiva
storica, nella genesi dei sacramenti dell’iniziazione cristiana la
Confermazione sembra accessoria al Battesimo. Nella prospettiva ecumenica la
Confermazione è considerata sacramento solo nel mondo cattolico e ortodosso, non
in quello riformato. Ma allora: in che senso è sacramento la Confermazione? In
prospettiva pastorale, come si configura la Confermazione all’interno della
formazione cristiana? Nell’iter dei bambini la Confermazione sembra il culmine,
mentre in quello degli adulti è l’Eucarestia a sembrare anche il culmine.
Vediamo il fondamento biblico:
-
in 1Cor 12,13
si parla di un solo Spirito e di un solo corpo nel contesto battesimale;
-
in 1Cor 6,11
si afferma che siamo stati lavati, santificati e giustificati nel nome di Gesù
e dello Spirito;
-
in 2Cor
1,21-22 si afferma che Dio, conferma in Cristo, conferisce l’unzione
(importante verbo ungere), imprime
il sigillo (importante il verbo suggellare),
e dà la caparra dello Spirito;
-
in Ef 1,13-14
si dice che i cristiani hanno ricevuto il suggello dello Spirito, che è caparra
della nostra eredità;
-
in Tt 3,5 si
dice che siamo stati salvati mediante un lavacro di rigenerazione e di
rinnovamento nello Spirito.
Ci soffermiamo sull’unzione, sul sigillo e sullo Spirito.
Circa l’unzione, nell’AT
troviamo che venivano unti i sacerdoti (Es 29,7; Lv 4,3), i re (1Sam 16,1-13:
dopo l’unzione lo Spirito si posa su Davide da quel giorno in poi; vi è uno
stretto legame tra unzione e dono dello Spirito: con l’unzione si comunica lo
Spirito) e i profeti; circa la consacrazione dei profeti, essa si pone spesso
su un piano metaforico e indica l’investitura da parte di Dio attraverso un suo
rappresentante autorizzato e riconosciuto tale (il profeta diviene
rappresentante di Dio). Nell’unzione vi è sempre una persona autorizzata a
ricevere l’unzione: l’unzione porta lo Spirito e lo Spirito porta alla
consacrazione e alla missione.
Nel NT l’unzione compare solo in Gc 5,13-15: essa non dona lo Spirito
Santo, ma porta alla guarigione dei malati.
Circa il sigillo, “suggellare”
significa accoglienza di Dio che offre protezione e significa appartenenza a
Dio (che diviene proprietario): in altri termini, attraverso il sigillo Dio
salva. In 2Cor 1,21-22 il soggetto è Dio ed è trinitario. Quanto detto viene confermato
da CCC 1295-1296: il sigillo è il simbolo della persona dello Spirito, il segno
della sua autorità e della sua proprietà (per questo lo si imprimeva sui propri
soldati o sui propri schiavi): il sigillo dello Spirito Santo segna l’appartenenza totale a Cristo, l’essere
a suo servizio per sempre e la promessa della divina protezione nella grande
prova escatologica.
Circa lo Spirito, in Paolo e Gv
abbiamo uno stretto legame tra il Battesimo e il dono dello Spirito. Nell’AT lo
Spirito non è per la persona in sé, ma per la sua missione, tanto che lo
Spirito si può ritirare dalla persona (1Sam 16,14); infine lo Spirito sarà dato
in pienezza al Messia: vi è una dimensione messianico-escatologica, dal momento
che il Messia verrà consacrato con l’unzione dello Spirito. È l’unzione
profetica che ha le due dimensioni della consacrazione e della missione. L’AT è
dunque già orientato alla pienezza cristologica. Inoltre, nell’AT, la salvezza
raggiungerà Israele e tutti i popoli (Is 11) e Dio metterà lo Spirito nel cuore
dell’uomo (Ez 36): già l’AT ha la visione di una salvezza universale; di fatto
è quanto avverrà con la Nuova Alleanza,
di cui già parla Ger 31,31.
Nel NT vediamo la presenza dello Spirito in rapporto all’iniziazione
cristiana. In At lo Spirito è donato: 1) dopo il Battesimo (At 2,38; 8,17;
19,6); 2) senza il Battesimo (At 2,1-41; 11,15-17); 3) prima del Battesimo (At
10,47-48); lo Spirito dunque fa quello che vuole. Lo Spirito è donato con l’imposizione delle mani dopo il
Battesimo (At 8, Pietro e Giovanni in Samaria; At 19, Paolo ad Efeso). In At
8,14-17 la forte dimensione ecclesiologica è collegata alla valenza
pneumatologica: l’accoglienza e l’appartenenza alla Chiesa si attua mediante
gli apostoli attraverso i quali si ha il dono dello Spirito Santo; nonostante
la Samaria abbia già accolto la fede, è necessaria la comunione con la Chiesa.
In At 19,1-7 abbiamo in successione cronologica: l’annuncio del mistero di
Cristo, il Battesimo, l’imposizione delle mani, il dono dello Spirito.
Circa l’imposizione delle mani,
esso era un gesto utilizzato per:
-
benedizione
(Gen 48,14-20; Mt 19,13);
-
trasmissione
di uffici o di compiti (Nm 27,18-23; At 6,6; 13,3);
-
guarigione da
malattie (solo NT: Mt 9,18; Mc 16,18; Lc 4,40);
-
dono dello
Spirito dopo il Battesimo (solo NT: At 8,14-17; 19,5-6).
Circa il rapporto tra l’imposizione delle mani e il dono dello Spirito, vi
sono 2 teorie interpretative:
-
in alcuni
casi il dono dello Spirito dipende esclusivamente dall’imposizione delle mani,
per cui al Battesimo non si ha dono dello Spirito. Esso è un tentativo di dare
fondamento biblico alla Confermazione;
-
in altri casi
il dono dello Spirito non dipende esclusivamente dall’imposizione delle mani,
per cui al Battesimo si ha il dono dello Spirito, ma non nella pienezza, come
per i Samaritani. Questa impostazione è preferibile, in quanto non prende solo
alcuni versetti per confermare una tesi alla quale si è già aderito.
L’unzione dunque, con il suo legame al dono dello Spirito, manca nel NT,
mentre è presente nell’AT.
Courth giustamente ricorda che il dono dello Spirito non implica un nuovo
Redentore, ma si riferisce al compimento della redenzione operata da Cristo.
Testa nota che già la Chiesa apostolica intuisce che è necessario, dal momento
che lo ha detto lo stesso Gesù promettendo lo Spirito, trovare dei segni
attraverso cui si comunica lo Spirito.
Teniamo presente che, per quanto riguarda la comunicazione del dono dello
Spirito, la tradizione occidentale predilige l’imposizione delle mani (NT),
mentre la tradizione orientale l’unzione (AT).
Vediamo l’esperienza e la riflessione dei Padri.
Nel primo millennio l’iniziazione cristiana è costituita da un rito
fortemente unitario. Abbiamo già visto a tal proposito lo schema del rito che
abbiamo nella Traditio Apostolica:
triplice domanda della professione di fede, Battesimo, prima unzione del
presbitero, ingresso in chiesa, imposizione
delle mani, preghiera del vescovo,
seconda unzione, bacio della pace,
Eucarestia; Ippolito ci trasmette anche il testo della preghiera del vescovo.
Molto interessante è quanto scrive Tertulliano nel De Baptismo: non è esatto asserire che nell’acqua riceviamo lo
Spirito; nell’acqua veniamo piuttosto purificati e veniamo preparati a ricevere
il dono dello Spirito. L’imposizione delle mani è il rito attraverso il quale
si trasmette lo Spirito. Nella Lettera 73
Cipriano richiama At 8 e afferma che i battezzati si presentano ai loro capi e,
attraverso la loro preghiera e l’imposizione delle mani, ottengono lo Spirito
Santo e il Signore dona loro il sigillo della perfezione; Cipriano è il primo
autore che collega esplicitamente la comunicazione dello Spirito e
l’imposizione delle mani dopo il Battesimo.
Molto importante è la Catechesi 21
di Cirillo di Gerusalemme, conosciuto per le sue catechesi mistagogiche. Siamo
infatti nel periodo post-costantiniano: il periodo di catecumenato da 3 anni si
riduce alla Quaresima, perciò i vescovi insistono maggiormente nelle catechesi
mistagogiche dopo il Battesimo. In questa catechesi Cirillo indica un rapporto
costante tra Cristo e i cristiani: quello che Cristo ha vissuto (acqua-Spirito)
è ciò che vive anche il cristiano. Abbiamo:
-
una
fondazione cristica dell’unzione in
un orizzonte trinitario-pneumatologico. ;
-
una
fondazione cristologico-pneumatologica:
vi è il triplice riferimento al Battesimo,
alla crismazione (come con il
Battesimo si è uniti alla morte e alla resurrezione di Cristo, con la Cresima
siamo resi partecipi dell’unzione stessa che Cristo ricevette; riferimento a Rm
6 per il Battesimo) e al crisma (come
nell’Eucarestia è presente Cristo, così nel crisma è presente lo Spirito Santo);
-
una fondazione biblica: vi è il duplice
riferimento all’AT e al NT. L’idea soggiacente è quella del rapporto typos-antitypos tra i due Testamenti.
Infine vediamo Ambrogio, che è il primo Padre a parlare di confermazione in De mysteriis.
Vediamo l’epoca medievale.
Dal IX sec. la Confermazione diviene autonoma. Il Battesimo dei bambini si
allarga, dal momento che siamo nel regime di Christianitas: perciò ministro del Battesimo diviene il sacerdote.
La Cresima invece viene differita in quanto considerata prerogativa del Vescovo
(lettera di Innocenzo I al vescovo di Gubbio, 416). Da questa separazione tra
Battesimo e Confermazione seguì una riflessione che tentò di giustificare a
livello teologico tale separazione (cfr. omelia di Fausto di Riez).
Circa la riflessione scolastica, Pietro Lombardo (che mette insieme le
glosse che si facevano dalla alla lettura della Sacra Scrittura: ecco le Sentenze) riflette circa gli effetti del
sacramento; il Battesimo e la Confermazione operano entrambe il dono dello
Spirito: mentre però nel Battesimo l’effetto è quello della remissione dei
peccati, nella Cresima è la fortificazione del cristiano. Perciò il Battesimo
deve essere amministrato subito (in quanto è collegato alla salvezza o meno),
mentre la Cresima perde importanza e viene differita nel tempo: certamente la
Cresima fortifica, ma a cosa serve se decisivo per la salvezza è il Battesimo?
Centrale nella Scolastica è la riflessione di Tommaso d’Aquino. In S. Th III, q. 72 Tommaso esamina 12
questioni. In esse vediamo come Tommaso si preoccupi di essere scientifico,
cioè si preoccupa di utilizzare la metafisica e la logica di Aristotele: egli
si interroga innanzitutto sulla natura della cresima (se sia sacramento o meo),
sulla materia (causa materiale) e sulla forma (causa formale), sul carattere e
sulla grazia (causa finale). Inoltre l’Aquinate si sofferma anche sugli effetti
e sul ministro del sacramento; come ultimo punto infine vi è anche il
riferimento al rito: la lex credendi
è fatta di 11 punti e precede la lex
orandi (1 punto solo). È presente anche un certo sottofondo giuridico, in
quanto Tommaso è preoccupato anche delle condizioni di validità del sacramento.
Sostanzialmente egli afferma, con un’analogia rispetto alla vita umana, che
la vita spirituale è ricevuta mediante il Battesimo (che è rigenerazione
spirituale), mentre nella Cresima si ottiene, per così dire, l’età perfetta della vita spirituale. In
entrambi i sacramenti agisce lo Spirito Santo: ma mentre nel Battesimo si ha
una rinascita spirituale, nella Cresima si raggiunge la maturità della vita
spirituale. Nell’analisi di Tommaso:
-
il sacramentum tantum è il segno esteriore
o il rito: nella Cresima è l’unzione col crisma e l’imposizione della mano
(l’imposizione della mano è però riferita unicamente alla prassi apostolica e
non avviene più);
-
la res et sacramentum è l’effetto oggettivo
intermedio (permanente): nella Cresima è il carattere, che non si può mai
perdere;
-
la res sacramenti è la grazia effetto del
sacramento (fine ultimo): nella Cresima è la grazia santificante, che invece
può essere persa.
Il Concilio di Firenze, nel decreto Pro
Armenis, accoglie Tommaso e dà una prima descrizione organica dei
sacramenti. Sia il Battesimo e la Cresima operano il dono dello Spirito: mentre
il Battesimo segna una rinascita spirituale, la Confermazione costituisce la
maturità della vita spirituale e rende forti in essa. Se la Confermazione è
legata alla forza, essa allora deve essere celebrata in età adulta: un neonato
non ha forza.
Vediamo ora il Concilio di Trento.
La Riforma non accettò la sacramentalità della Confermazione per diversi
motivi:
-
mancanza di
riferimenti biblici;
-
veniva
mortificato il Battesimo, bisognoso di integrazioni;
-
la Cresima
non era amministrata in vista dell’Eucarestia;
-
essendo
riservata al Vescovo, essa appariva una cerimonia.
A questo rispose il Concilio di Trento, con una risposta molto breve che
non intende essere certamente esaustiva. La Confermazione:
-
è istituita
da Cristo;
-
imprime il
carattere;
-
è vero
sacramento: perciò non è né catechesi, né cerimonia;
-
è riservata
al Vescovo.
Il Concilio di Trento ebbe importanti implicazioni pastorali: il
rinnovamento da questo punto di vista viene espresso dal Pontificale Romano e dal Catechismo.
Riprendendo il Pontificale di Guglielmo Durando, secondo il Pontificale Romanum (1595), nella
maggior parte dei casi la Confermazione si conferisce non il Sabato Santo (il
vescovo non poteva presenziare in tutti luoghi della diocesi) e viene staccata
dal Battesimo e dall’Eucarestia; in esso si introduce lo “schiaffetto”,
eliminato dalla riforma del Vaticano II: originariamente il vescovo, come
accoglienza, dava al cresimato un bacio; nel Medioevo lo schiaffetto era il segno
del fatto che il cresimato era divenuto miles
Christi, era divenuto grande. Il Catechismo
Romano (1566) stabilisce la
Confermazione a 7 anni e la Prima Comunione a 11 anni.
Circa l’età della Confermazione, dal XIII sec. si è stabilito che la
Confermazione possa essere celebrata dall’età con uso di ragione (7 anni). Dal
XVIII sec. in Francia, la Confermazione inizia ad essere procrastinata dopo la
Prima Comunione, sotto l’influenza illuminista (se si deve annunciare Cristo,
si deve essere grandi nella ragione: perciò la ragione vi è non tanto a 7 anni,
ma più tardi), giansenista (i sacramenti richiedono la perfezione per accedere
ai sacramenti) e, dopo la Rivoluzione francese, per l’assenza di vescovi. Dal
XIX sec. anche in Germania, in Austria e in Ungheria la Confermazione inizia ad
essere ritardata dopo la Comunione; sempre nel XIX sec. però, in Francia, sotto
l’influenza della Santa Sede, la Comunione viene ritardata dopo la Cresima. In
Italia, nel XX sec., la Confermazione viene posta a 7 anni e poco dopo si
celebra la Comunione (pochi mesi dopo): in questa scelta vi è l’influenza del
CJC del 1917. Nel 1910, con il decreto Quam
singulari, Pio X stabilisce la Prima Comunione all’età di 7 anni, mentre la
Confermazione viene ulteriormente differita. Per quanto riguarda l’Italia, poco
prima e dopo il Vaticano II, i vescovi chiedono di rimandare la Confermazione,
per 3 motivi:
-
la
Confermazione era troppo vicina alla Comunione;
-
in tal modo
si dava ai candidati una maggiore formazione;
-
esso è il
sacramento della militia Christi:
dunque è richiesta una certa responsabilità.
Passiamo ora al Vaticano II.
Il Vaticano II mira innanzitutto al recupero di una visione unitaria
dell’iniziazione cristiana: perciò SC 71 invita ad una revisione del rito della
Confermazione, in cui le promesse battesimali precederanno il rito della
Confermazione. Questi sono gli aspetti presenti nella Confermazione:
-
funzioni sacerdotali, profetiche e regali dei
fedeli: in LG 10 si parla sia di
rigenerazone che di unzione e si afferma che il Battesimo e la Confermazione
fondano appunto tali funzioni dei fedeli;
-
il fondamento
pneumatologico;
-
l’orizzonte
cristologico;
-
la valenza
ecclesiologica;
-
le dimensioni
ontologica (ad intra) e storica (missio): sia il Battesimo sia la
Confermazione hanno aspetto ontologico ed esistenziale, mentre prima si credeva
che il Battesimo avesse valore ontologico (rende cristiani) e la Cresima valore
esistenziale (invio in missione). In LG 11 si afferma che già col Battesimo il
cristiano, incorporato alla Chiesa, è tenuto a professare la fede. Con la
Confermazione, il cristiano viene vincolato più perfettamente alla Chiesa,
viene arricchito di una speciale forza dallo Spirito Santo e sono più
strettamente obbligati a diffondere e difendere con la parola e le opere la
fede. In LG 11 vi è un riferimento all’iniziazione cristiana nella sua visione
unitaria (Battesimo, Confermazione, Eucarestia).
La Confermazione dunque unisce più perfettamente alla Chiesa: quindi la
Confermazione ha valenza ecclesiologica; essa dona anche forza dallo Spirito:
abbiamo anche una fondazione pneumatologica. Vi è infine un orizzonte
cristologico storico: il cristiano viene infatti visto come testimone di
Cristo, chiamato a diffondere e difendere con parole ed opere la fede. Dunque
la Confermazione ha anche valenza ontologica e non solo storica. Inoltre
Battesimo ed Eucarestia sono orientati all’Eucarestia, alla quale si partecipa
offrendo la vittima divina e se stessi.
In LG 26 si afferma che il vescovo è il ministro originario della Confermazione:
ancora una volta si sottolinea la valenza ecclesiologica della Confermazione.
In LG 33 si sottolinea come i laici sono chiamati a contribuire alla
santificazione della Chiesa e alla sua missione: ogni cristiano, in virtù del
Battesimo e della Cresima, è deputato all’apostolato, che è partecipazione alla
stessa missione salvifica della Chiesa. Anima di questo apostolato sono i
sacramenti, specie l’Eucarestia.
Stessa verità viene affermata da AA 3: Battesimo e Confermazione
costituiscono il legame fondativo con Cristo, mandante dell’apostolato, e
fondano il sacerdozio regale (aspetto sacerdotale), la nazione santa in forza delle quali i laici possono offrire
sacrifici spirituali con le proprie attività (aspetto regale) nonché
testimoniare Cristo (aspetto profetico). Battesimo e Confermazione,
incorporando in Cristo e nella Chiesa, abilitano all’apostolato e tendono
all’Eucarestia (culmen), mentre
l’Eucarestia, comunicando la carità, costituisce l’anima dell’apostolato (fons).
In AG 36 si afferma che tutti i fedeli, come membra di Cristo a cui sono
stati incorporati e configurati mediante il Battesimo, la Confermazione e
l’Eucarestia (notare l’ordine), hanno l’obbligo di cooperare all’espansione del
suo corpo, per portarlo prima possibile alla sua pienezza.
Vediamo ora la celebrazione del
sacramento.
Nella costituzione apostolica Divinae
consortium naturae di Paolo VI si mettono in evidenza: l’elemento
essenziale del rito (unzione) e la formula pneumatologica. Per il rito della
Confermazione, leggere bene la costituzione e i praenotanda!
Nella DCN Paolo VI:
-
promulga il
nuovo rituale (come chiesto da SC 71);
-
propone una
prospettiva biblica, patristica e storica;
-
riprende le
tematiche del Vaticano II;
-
stabilisce
l’elemento essenziale del rito, che è l’unzione;
-
stabilisce
una formula pneumatologica.
Circa l’elemento essenziale, vi è una differenza fra la tradizione
occidentale e quella orientale: la crismazione/unzione con olio viene messa in
evidenza nella tradizione orientale, mentre l’imposizione delle mani nella
tradizione occidentale; l’unzione con l’olio la ritroviamo nell’AT, mentre
l’imposizione delle mani la ritroviamo nel NT. Nel Discorso 324 Agostino afferma che dopo il Battesimo si è unti e si
riceve l’imposizione delle mani; nel Discorso
302 Agostino afferma che il cristiano porta sulla fronte la croce di
Cristo: da queste due citazioni vediamo come l’unzione c’è anche nella
tradizione occidentale, ma ha valenza non pneumatologica, ma cristologica (non
è vero perciò che l’unzione è presente unicamente nella tradizione orientale
con valenza pneumatologica). Dunque, nella tradizione occidentale, la
Confermazione ha in sé l’unzione con olio, che implica la configurazione a
Cristo, e l’imposizione delle mani, attraverso cui si comunica il dono dello
Spirito.
Tommaso parla della materia della Confermazione, che è l’unzione crismale, senza alcun
riferimento all’imposizione delle mani (se non per la prassi apostolica);
l’imposizione delle mani riappare solo nel XVIII sec.
Nella DCN di Paolo VI si afferma
che il sacramento della Confermazione si conferisce mediante l’unzione del
crisma sulla fronte, che si fa con l’imposizione della mano e mediante le
parole “Ricevi il sigillo del dono dello
Spirito Santo che ti è dato in dono”. Anche se non appartiene all’essenza
del rito sacramentale, l’imposizione delle mani è da tenersi in grande
considerazione, in quanto serve a integrare maggiormente il rito stesso e a
favorire una migliore comprensione del sacramento. Questa imposizione delle
mani, che precede la crismazione, differisce dall’imposizione della mano, con
cui si compie la funzione crismale sulla fronte.
Circa la formula che viene recitata nella Confermazione, essa è trinitaria
in Ippolito Romano, nei pontificali del XII sec., nel Pontificale di Guglielmo
Durando e nel Pontificale Romano del Concilio di Trento (1595); essa è invece
pneumatologica in Tertulliano, nel rito bizantino e nella DCN. Mentre Trento è cristologico-trinitario, Paolo VI è
pneumatologico.
Questa la struttura del rito della Confermazione:
-
Liturgia
della Parola;
-
presentazione
dei confermandi al vescovo;
-
omelia del
vescovo;
-
rinnovazione
delle promesse battesimali;
-
esortazione
alla preghiera rivolta ai fedeli (imposizione delle mani sui candidati e
preghiera trinitaria in cui si chiede l’effusione dello Spirito)
-
crismazione
con la formula pneumatologica e gesto di pace (è tolto lo schiaffetto);
-
preghiera dei
fedeli;
-
Liturgia
eucaristica;
-
benedizione
finale.
Vediamo alcuni aspetti della Confermazione.
Circa la spiritualità, perché il
sacramento incida nel quotidiano, è necessaria una seria preparazione
catechetica, recuperando gli antichi valori del catecumenato, una consapevole
celebrazione del rito e la continuità nel quotidiano di ciò che è stato vissuto
ritualmente. In tal modo dalla lex
credendi e dalla lex orandi si
giunge alla lex vivendi: dopo il rito
segue necessariamente la vita. La Confermazione non solo porta a compimento il
cammino di iniziazione cristiana (che però è l’Eucarestia! Non è condivisibile
questo!), ma avvia il credente a riconoscere la sovrana libertà del pneuma di Cristo nella sua vita, ma
anche a saper vivere sacramentalmente, cioè come manifestazione dello Spirito,
tutta la sua esistenza (Tragan).
Circa il lato ecumenico, nel
documento di Lima (cattolici, protestanti e ortodossi; 1982) si mette in
evidenza il legame tra la Pasqua e la Pentecoste e si richiama la diversità
circa i segni che donano lo Spirito: acqua, crisma e/o imposizione delle mani,
tutti e tre i gesti insieme; vi è dunque confusione a livello ecumenico. La
Confermazione, in rapporto al Battesimo:
-
rinvigorisce, intensifica, matura: questa affermazione convince sia un cattolico
che un protestante, ma è più vicina all’ambito cattolico;
-
attualizza: è più vicina all’ambito protestante;
-
“integra”: unicamente cattolica come posizione
Il CCC richiama che la tradizione orientale sottolinea maggiormente l’unità
dell’iniziazione cristiana, mentre quella latina evidenzia nettamente la
comunione del nuovo cristiano con il vescovo, garante e servo dell’unità della
sua Chiesa.
Circa il lato pastorale, si
dibatte circa il posto in cui la Confermazione deve essere collocata: essa deve
essere preferibilmente collocata prima dell’Eucarestia, che deve essere il
coronamento del percorso di iniziazione cristiana, anche perché essendo
l’Eucarestia reiterabile, si eviterebbe la “fuga” che avviene dopo la
Confermazione.
Circa il diritto liturgico, si
guardino i cann. 879-896. Al can. 879 vi sono gli aspetti introduttivi, quelli
teologico-canonici (la teologia è dentro il CJC, proprio del CJC del 1983): è
un canone pieno di citazioni del Vaticano II. Ai cann. 880-881 si parla della
celebrazione: a differenza di quanto avveniva in Tommaso, la celebrazione è uno
dei primi punti, tra quelli più importanti; il can. 880 riprende la DCN di Paolo VI (il CJC del 1917
affermava che l’imposizione della mano durante la crismazione non è necessaria
per la validità e non specifica le parole da dire, rimandando ai libri
liturgici), mentre il can. 881 afferma che la Confermazione deve essere
celebrata in chiesa (è un sacramento) e durante la Messa (per mettere in
evidenza il rapporto con l’Eucarestia). Ai cann. 882-888 si afferma che il
ministro ordinario è il Vescovo diocesano; vi è poi anche il ministro che ha
facoltà (presbitero) per diritto (equiparato al Vescovo diocesano nel proprio
territorio, come gli abati nelle abbazie territoriali; presbitero che battezza
un adulto per mandato del Vescovo), per speciale concessione, per associazione.
Tuttavia, quando la Confermazione viene celebrata da un altro ministro, questi
dovrà fare riferimento al Vescovo nell’omelia. Ai cann. 889-891 si parla dei
confermandi che devono essere:
-
già
battezzati
-
non devono
aver ricevuto già la Confermazione
-
ben preparati
-
in grado di
rinnovare le promesse battesimale
-
avere l’età
di discrezione (sebbene le Conferenze Episcopali possano decidere altra età
rispetto a 7 anni).
Ai cann. 892-893 si parla dei padrini, che non sono un optional, ma devono
esserci per quanto possibile; è conveniente che sia lo stesso del Battesimo,
per mettere meglio in evidenza il nesso fra questi due sacramenti.
Passiamo infine alla parte
sistematica.
Innanzitutto ci soffermiamo sulla struttura del rito della Confermazione:
-
Liturgia
della Parola: lex credendi;
-
presentazione
dei candidati al vescovo;
-
omelia del
vescovo;
-
rinnovazione
delle pro,messe battesimali: legame con il Battesimo;
-
esortazione
alla preghiera rivolta ai fedeli: imposizione delle mani e preghiera
trinitaria;
-
crismazione
con la formula “sigillo del donon dello Spirito
Santo”;
-
gesto di
pace;
-
preghiera dei
fedeli;
-
Liturgia
eucaristica;
-
Benedizione
finale: lex vivendi.
Dunque si inizia con la lex credendi,
poi vi è la lex orandi e infine vi è
la lex vivendi.
Guardiamo alle dimensioni:
cristologico-trinitaria, pneumatologica, ecclesiologica, escatologica.
Circa quella cristologico-trinitaria, il punto di raccordo è lo Spirito
Santo. Guardando a Cristo, la sua unzione come Messia lo costituisce Figlio del
Padre e al tempo stesso lo investe della missione del Padre. La Confermazione
configura quindi a Cristo-unto: costituisce maggiormente figli e fa partecipare
alla missione stessa di Cristo. Dal punto di vista liturgico (eucologia) la
prospettiva trinitaria era evidente fino alla DCN (esclusa): si trattava però di una visione trinitaria che non
entrava nella struttura del sacramento, ma vi era estrinseca e giustapposta;
ora invece la dimensione trinitaria è all’interno della struttura del
sacramento ed è associata all’imposizione delle mani (actio con cui si invoca lo Spirito Santo): si tratta di un atto
pneumatologico, ma la forma è trinitaria.
Circa la dimensione pneumatologica, la Confermazione rende presente la
grazia della Pentecoste: lo affermava già Tommaso, lo afferma DCN e lo affermano i teologi del XX sec.
Dal punto di vista della celebrazione la dimensione pneumatologica risulta più
evidente con la DCN. Nel XX secolo i
grandi teologi riprendono i Padri: Cristo nasce a Natale e viene manifestato
nel Battesimo; la Chiesa nasce a Pasqua e viene manifestata a Pentecoste; il
cristiano nasce nel Battesimo e viene manifestato nella Confermazione.
Circa la dimensione ecclesiologica, la Confermazione rende presente la
grazia della Pentecoste: nella Confermazione lo Spirito è donato ai confermati
e a tutta la Chiesa. Come giustamente ricorda LG 11, la Confermazione dona una
maggiore appartenenza ecclesiologica.
Circa la dimensione escatologica, molto importante è la forma “ricevi il sigillo del dono dello Spirito
Santo”: parlare di signaculum
allude al fatto che il cristiano ha ricevuto lo Spirito Santo già nel
Battesimo. In 2Cor 1,21-22 si dice che Dio dona la caparra: la caparra è lo
Spirito; stessa cosa in Ef 1,13-14,
in cui il sigillo viene posto in rapporto alla caparra
(il sigillo avrebbe perciò una valenza escatologica). Sigillo significa perciò
appartenenza eterna a Dio, mentre caparra
indica l’ulteriorità dell’eredità di Dio, che avremo in pienezza.
L’appartenenza eterna a Dio implica l’appartenenza totale a Cristo e al suo
servizio (“escatologia realizzata” in chiave storica: è un’appartenenza
diaconale, in chiave del servizio) e la promessa della divina protezione nella
prova escatologica (“escatologia finale” in chiave profetica); il discorso
della caparra dello Spirito Santo richiama la dimensione peregrinante del
cristiano e della Chiesa.
Vediamo ora alcune questioni.
Innanzitutto il rapporto
Battesimo-Confermazione. Nella prospettiva dei Padri la Confermazione viene
vista come il perfezionamento del Battesimo: inizialmente non viene specificato
cosa significhi questa perfectio,
mentre da Ambrogio in poi la perfectio
significa pienezza dello Spirito, quindi perfezione della vita spirituale.
Molto importante è l’Omelia di Pentecoste (460-70) del
vescovo di Riez: questa omelia venne inserita nelle Decretales pseudo-isidoriane (IX sec.); attribuita a papa
Melchiade, essa entrerà nel Decretum
Gratiani e influenzerà perciò tutto il Medioevo. In questa omelia troviamo
analogie con la vita militare: mentre il Battesimo rigenera per la vita, la
Confermazione ci fortifica (robur: è
un termine nuovo che sostituisce, in un certo senso, perfectio) per la lotta
con le armi; mentre il Battesimo dona un nuovo essere, la vita nuova in Cristo,
la Confermazione riguarda maggiormente l’agire, realizza la vita nuova ricevuta
nel Battesimo. I limiti di questa prospettiva sono evidenti:
-
innanzitutto
i nemici considerati da Fausto sono spirituali e la lotta è solo interiore e
intima. La Confermazione darebbe la forza per vincere i peccati, sul piano
dell’agire;
-
in realtà
anche il Battesimo ha conseguenze sul piano dell’agire e anche la Confermazione
ha conseguenze sul piano dell’essere.
Tommaso si ispira a Fausto di Riez, ma a differenza di Fausto non esclude
la dimensione dell’agire nel Battesimo e non esclude la dimensione ontologica nella
Confermazione, sebbene egli riconosca che il Battesimo riguardi per eccellenza
l’aspetto ontologico, mentre la Confermazione quello pratico. In Tommaso robur indica primariamente la
testimonianza pubblica della fede per diffondere il regno di Dio, anche se
intende anche la lotta spirituale interiore; questa duplice prospettiva rimarrà
fino ai nostri giorni. Abbiamo già visto come in Tommaso verrà utilizzata
l’analogia con la vita umana, mettendo la nascita in rapporto al Battesimo e la
crescita in rapporto alla Confermazione. Inoltre mentre con il Battesimo
l’edificio spirituale viene costruito, con la Confermazione esso viene
perfezionato; mentre il Battesimo è necessario alla salvezza, la Confermazione
è necessaria alla perfezione della salvezza.
Molto discutere fece discutere all’inizio del XX secolo la posizione di Gregory Dix: il Battesimo darebbe solo
il perdono dei peccati e sarebbe preliminare alla Confermazione, mentre la
Confermazione darebbe solamente il dono dello Spirito Santo.
(v. posizioni dei teologi): l’inizio è con il Battesimo, la ripresa e il
completamento sono con la Confermazione.
Vediamo la natura della
Confermazione.
Auer mette in parallelo, come nei Padri, il rapporto tra Chiesa, Pasqua e
Pentecoste e il rapporto tra cristiano, Battesimo e Confermazione: come lo
Spirito Santo a Pentecoste porta a compimento il mistero pasquale, così lo
Spirito nella Confermazione porta a compimento la salvezza operata nel
Battesimale.
Schmaus critica Auer: tutta la Chiesa e il suo agire sacramentale è
cristologico-pasquale (anche la Cresima perciò) e pneumatologico-pentecostale
(anche il Battesimo perciò); il cristiano inoltre è raggiunto da Cristo solo
nello Spirito Santo: se non vi fosse lo Spirito Santo nel Battesimo, come
Cristo potrebbe raggiungere il cristiano, per cui la dimensione pneumatologica
non può essere esclusiva della Confermazione (d’altronde tutti i Sacramenti
hanno dimensione pneumatologica, in quanto operati dallo Spirito). Inoltre
Tommaso critica Tommaso: se Tommaso aveva detto che la Confermazione porta a
perfezione la vita cristiana, Schmaus rivendica che tutti i sacramenti portano
a perfezione la vita cristiana. Secondo Schmaus la Confermazione infonde
coraggio e forza (robur) per poter
essere fedele a Cristo (lotta spirituale) e testimoniare pubblicamente la fede
(se necessario con il sacrificio della vita).
Muhlen afferma che il Battesimo può essere definito Battesimo di acqua e di
riconciliazione, mentre la Confermazione può essere definito Battesimo di
Spirito e di testimonianza: il primo è per il perdono dei peccati e per la
salvezza personale, il secondo è per la testimonianza e per la salvezza degli
altri.
Vediamo gli effetti della
Confermazione.
Effetto della Confermazione è una speciale effusione dello Spirito Santo,
come quella concessa agli Apostoli nel giorno di Pentecoste: ne deriva che la
Confermazione apporta una crescita e un approfondimento della grazia
battesimale (CCC1302-1303). La Confermazione:
-
ci radica più
profondamente nella filiazione divina;
-
ci unisce più
saldamente a Cristo;
-
aumenta in
noi i doni dello Spirito Santo, messi in noi con il Battesimo;
-
rende più
perfetto il nostro legame con la Chiesa (mette insieme Padri, perfectio, e Vaticano II, Chiesa);
-
ci accorda
una speciale forza dello Spirito Santo per diffondere e difendere con la parola
e con l’azione la fede, come veri testimoni di Cristo, per confessare
coraggiosamente il nome di Cristo e per non vergognarci mai della sua croce.
- L’EUCARESTIA
Partiamo dalla prospettiva
fenomenologica, che ha 3 dimensioni (antropologica, biblica, sacrificale)
in 2 aspetti (individuale, conviviale)
L’Eucarestia è una realtà che si inserisce nell’ambito più profondo
dell’esistenza umana, trasfigurandolo in una tangibilità che dice, invera e
anticipa la comunione con Dio.
Circa la dimensione antropologica,
l’Eucarestia ha una radice antropologica in quanto pone in evidenza il valore
del nutrimento nella vita terrena, nei suoi vari aspetti, annunciando il Vero
nutrimento per la vera Vita: il mangiare e il bere hanno un aspetto individuale
(nutrirsi, avere vita) e un aspetto conviviale (comunione). Il luogo normale
del pasto è, per la maggior parte degli uomini, la famiglia o anche un’altra
comunità di vita: la communitas vitae
suppone la communitas victus; il punto
importante è che il nutrirsi sia condividere il cibo comune e non prendere un
cibo individuale, anche se occorre che la ripartizione sia equa fra tutte le
persone (Lafont): è sempre una comunità che mangia, non un insieme di
individui. L’aspetto conviviale esprime e rafforza la comunione tra i membri di
un gruppo: il pasto del gruppo si compie nei momenti più importanti della sua
vita o della vita di un suo membro.
Circa la dimensione biblica, il
mangiare e il bere nell’AT, nell’aspetto individuale, permette di vivere e di
compiere ciò che si deve fare: si guardi a Saul (1Sam 28,20-25), Davide (1Sam
21,4-7) ed Elia (1Re 19,5-8); si mangia, dunque, non solo per vivere, ma per
compiere una missione data da Dio: mangiare è perciò segno di vita e non
mangiare è segno di morte. Nell’aspetto conviviale il mangiare e il bere
esprimono la comunione umana che si manifesta come:
-
ospitalità
(Gen 18,1-8);
-
suggello di
un’alleanza (Gen 26,30; 31,4): non è tollerabile la presenza di un falso amico
o di un traditore al pasto, in quanto il pasto vuol dire comunione (Sal 41,10);
-
perdono (2Re
25,27-30).
Nell’aspetto conviviale si esprime anche la comunione con la divinità: si
pensino ai sacrifici di comunione con il Dio di Israele (una parte si brucia a
Dio e una parte la si mangia), ma anche ai pasti sacri (es. il mangiare carni
immolate agli idoli; 1Cor 10).
Circa la dimensione sacrificale,
il cibarsi implica il morire: infatti qualcosa cessa di vivere perché possa
diventare cibo che dà la vita.
Passiamo ora alla terminologia.
Per dire Eucarestia vi sono molti nomi in CCC:
-
il n. 1328 si
parla di Eucarestia come rendimento di
grazie. I termini eucharistein e eulogein ricordano le benedizioni
ebraiche che proclamano le opere di Dio: la creazione, la redenzione e la
santificazione;
-
il n. 1329 si
parla di cena del Signore, che Gesù
ha consumato con i suoi discepoli la vigilia della sua passione e
l’anticipazione della cena delle nozze dell’Agnello
-
il n. 1329
parla anche di frazione del pane.
Questo gesto era tipico della cena ebraica e fu utilizzato da Gesù quando
distribuiva il pane come capo della mensa. Da questo gesto lo riconosceranno i
discepoli di Emmaus e con tale espressione i primi cristiani si riferiranno
all’assemblea eucaristica. Lo spezzare il pane esprime la comunione tra quanti
spezzano l’unico pane;
-
il n. 1329
parla anche di assemblea eucaristica
(synaxis), in quanto l’Eucarestia
viene celebrata nell’assemblea dei fedeli, espressione visibile della Chiesa;
-
il n. 1330
parla di memoriale della passione e
della resurrezione del Signore;
-
il n. 1330
parla anche di santo sacrificio, in
quanto attualizza l’unico sacrificio di Cristo Salvatore e comprende anche
l’offerta della Chiesa. Inoltre il sacrificio eucaristico porta a compimento e
supera tutti i sacrifici dell’antica alleanza;
-
il n. 1330
parla di santa e divina liturgia,
perché tutta la liturgia della Chiesa trova il suo centro e la sua più densa
espressione nell’Eucarestia…;
-
il n. 1330
parla anche di comunione, perché
mediante questo sacramento ci uniamo a Cristo, che ci rende partecipi del suo
Corpo e Sangue per formare un solo corpo;
-
il n. 1330
parla anche di Santa Messa, perché la
liturgia, nella quale si è compiuto il mistero della salvezza, si conclude con
l’invio dei fedeli (missio) affinché
compiano la volontà d Dio nella loro vita quotidiana.
-
altri
termini, oltre a quelli di CCC, sono calice
del Signore (1Cor 11,27), che esprime la comunione con Cristo; sacramentum altaris e sacramentum unitatis e caritatis (Agostino); sacramentum caritatis (Tommaso).
Nel NT l’Eucarestia ha due riferimenti fondamentali: cena del Signore (1Cor 11,20) e frazione
del pane (At 2,42; 20,7.11); abbiamo dunque il riferimento all’evento
dell’Ultima Cena del Signore e il riferimento alla celebrazione della Chiesa
apostolica.
Circa cena del Signore, si tratta
di partecipare al mistero pasquale nella memoria di quanto il Kyrios ha detto e fatto. Si dice:
-
“nella notte in cui fu tradito” (1Cor 11,23): è presente innanzitutto un livello gesuano;
-
“il calice, il pane, comunione con Cristo” (1Cor 10,16): è il livello cristologico;
-
“siamo un solo corpo” (1Cor 11,17): è il livello ecclesiologico;
-
“annunciate la morte del Signore finchè egli
venga” (1Cor 11,26): è il livello
escatologico
Circa la frazione del pane, vi è
il riferimento alla cena pasquale ebraica, dove vi era:
-
un antipasto,
con la benedizione del capofamiglia sul 1° calice e le verdure intinte nella
passata di frutta;
-
il pasto
principale, con la benedizione del campofamiglia sul 2° calice, la benedizione
del capofamiglia sul pane non fermentato e lo spezzare e la distribuzione del
pane da parte del capofamiglia.
Vediamo ora la radice
veterotestamentaria, con gli eventi
tipologico-eucaristici nell’AT e la berakah.
Circa gli eventi
tipologico-eucaristici dell’AT nel NT, la comprensione storico-salvifica
che guarda al passato, lo rende presente e lo annuncia per un ulteriore
intervento di Dio nella storia: si guarda al passato, che permette di
contemplare gli interventi di Dio, nella certezza che Dio interverrà ancora
nella storia per portarla a compimento (vi è dunque un ieri, un oggi e un
domani). Soggetti a questa dimensione stanno alcuni eventi
tipologico-eucaristici dell’AT nel NT: la Pasqua di liberazione dalla schiavitù
dell’Egitto, il sangue e il sacrificio dell’alleanza, il banchetto di comunione
e la dimora di Dio (lo schema è typos,
archetypos, che è Cristo che realizza il typos, e antitypos: la
liberazione dell’Egitto diventa in Cristo passaggio al Padre, i sacrifici
dell’AT diventano in Cristo l’unico sacrificio, la dimora di Dio diviene
Cristo; inoltre, la liberazione dall’Egitto diventa nella Chiesa salvezza della
Chiesa, il sacrificio diventa nella Chiesa l’offerta della propria vita, la
dimora di Dio diviene la Chiesa, in quanto il nostro corpo è tempio del Dio vivente).
Circa la Pasqua di liberazione dalla
schiavitù di Egitto, vi è innanzitutto l’idea del passaggio dalla schiavitù
senza identità alla libertà di servire Dio come popolo in cammino nella
mediazione (Mosè) verso la terra promessa; vi sono poi anche altri aspetti
tipologici (oltre il passaggio): il mangiare pane azzimo, l’immolazione
dell’agnello, essere sotto la nube e attraversare il mare, la manna dal cielo e
la bevanda dalla roccia, un paese dove scorre latte e miele.
(manca una lezione)
La berakah ha 3 componenti:
- benedizione
(iniziale e breve)
- memoriale
(anamnesi) delle opere di Dio
- benedizione
finale (dossologia).
Già da questa struttura si può notare come la parte centrale sia la più
importante e abbia il contenuto storico, mentre l’orizzonte di fondo è
dossologico e dunque rimanda all’escatologia. Inoltre abbiamo un’inclusione: la
benedizione apre e chiude la berakah;
l’inclusione è una forma letteraria molto importante nell’ebraismo che serve ad
indicare la realtà intera: tra l’inizio e la fine vi è infatti il tutto.
Il memoriale, che è la parte centrale, è composto dal ricordo delle opere
di Dio (passato come memoria), che viene reso contemporaneo attraverso la
celebrazione (presente) e che prepara e anticipa l’incontro (futuro-profezia):
come scrive Rocchetta, il rendimento di grazie (berakah) abbraccia tutta la storia, diventando memoria collettiva
di ciò che di grande YHWH ha compiuto per la realizzazione del suo disegno
eterno di salvezza. Proprio per questa sua ampiezza, la berakah biblica non è una produzione estemporanea di individui
isolati, ma l’espressione della fede del popolo ed è pronunciata dall’assemblea
(esempio significativo di questo è Ne 9): è la comunità a contemplare le opere
di Dio, mentre il singolo è colui che semplicemente proclama e loda le opere di
Dio ed è a servizio della comunità.
L’opera di Dio per eccellenza, nell’AT, è l’esodo. Si tratta della
liberazione dall’Egitto e il passaggio del mar Rosso. La festa di Pasqua
presenta il pane e il calice e ripresenta l’evento della liberazione
dall’Egitto: vi è un evento storico ripresentato in un atto liturgico (Es 12).
La berakah è tradotta dalla LXX
con i verbi eucharisteo e eulogeo. Il verbo eucharisteo è utilizzato da Paolo e Lc in generale, mentre in Mt e
Mc è riferito al calice; il verbo eulogeo
è utilizzato da Mt e Mc per il pane.
Passiamo ora al NT.
Partiamo dall’istituzione
dell’Eucarestia, con 2 temi: le 4 redazioni e la questione della Cena come
banchetto pasquale o meno.
Circa l’istituzione dell’Eucarestia, possiamo individuare una triplice
dimensione:
-
tempo di Gesù: l’ultima Cena di Gesù con gli apostoli;
-
tempo della Chiesa: cristallizzazione liturgica, che si orienta in
una duplice tradizione, palestinese e antiochena;
-
tempo degli scritti: presenta una tradizione comune, concorde e con
peculiarità proprie.
Il dato storico è il seguente: la cena di Gesù è memoria anticipata e profezia
in atto dell’evento pasquale (anticipa il mistero pasquale: la Cena è
all’interno di un contesto pasquale). Le 4 tradizioni sono: Mt 26; Mc 14; Lc
22; 1Cor 11.
Circa le concordanze delle 4 redazioni, abbiamo alcuni punti in comune:
-
cena di Gesù
con gli apostoli in contesto pasquale;
-
la
celebrazione dei 2 riti tipici del giudaismo (benedizione e distribuzione del
pane, offerta del calice ai commensali);
-
il fatto che
Gesù ponga una relazione tra suo Corpo e pane “dato per” e suo Sangue e vino
“versato per”;
-
legame tra
l’Ultima Cena e mistero della Pasqua di Gesù, quale servo che dona la vita in
riscatto di molti;
-
legame tra
l’Ultima Cena e il banchetto escatologico;
-
eco della
valenza liturgica già vissuta dalla Chiesa: nelle redazioni dei Vangeli
Vediamo ora invece la divergenza tra le 4 tradizioni:
-
mentre in
Lc-1Cor vi è una maggiore distinzione tra la benedizione sul pane (prima della
cena) e quella sul vino (dopo la cena), e dunque vi è un maggiore rispetto per
l’ordine giudaico, in Mt-Mc le due benedizioni sono unite al punto da sembrare
una, e dunque risentono maggiormente della prassi della Chiesa;
-
mentre in
Lc-1Cor vi è l’ordine di Gesù “fate
questo in memoria di me” (con il maggiore rispetto della convinzione
giudaica sulla necessità di ripetere in forma celebrativa l’evento fondamentale
e costitutivo), in Mt-Mc quest’ordine non c’è (ormai la celebrazione
dell’Eucarestia è divenuta prassi della Chiesa);
-
mentre Lc-1Cor
parlano di nuova alleanza nel mio sangue,
Mt-Mc parlano di il mio sangue
dell’alleanza.
Mt-Mc costituiscono la tradizione palestinese (prima del 40 d.C.), ricevuta
da Pietro, dalla chiesa di Gerusalemme e dall’ambito semitico; Lc-1Cor
costituiscono la tradizione antiochena (prima del 45 d.C.), in ambito
ellenistico (Paolo).
Benedicendo il pane, Gesù porta come motivo non solo fare memoria della
pasqua di liberazione dall’Egitto, ma la Pasqua della sua morte, espresso nella
corrispondenza tra il pane spezzato e il corpo donato; benedicendo il vino,
Gesù pone il passaggio dall’antica alla nuova alleanza nel “mio sangue”. Si
tratta di due novità sostanziali a livello gesuano.
Le due tradizioni ci forniscono due modalità di descrizione complementari
dell’Ultima Cena: bisogna infatti contestualizzare le pericopi e cogliere la
vicenda di Gesù in una prospettiva globale che tiene conto del passato e del
futuro.
La prospettiva delle due tradizioni, come fortemente separate, non è
accolta concordemente da tutti gli esegeti. Questi autori dicono:
-
è prioritaria la paradosi di Mc 14, a causa di diversi
semitismi e del logion testamentario
sul “frutto della vite”: da Mc avrebbero ripreso tutti (Pesch);
-
prioritaria è 1Cor, a causa della sequenza della cena che prevede la frazione del
pane, la consumazione del pasto e le parole sul calice (Marshall);
-
prioritaria è la tradizione di Lc a motivo del contesto pasquale della cena
(Schurmann);
-
nessuna tradizione è prioritaria, ma per ogni termine il peso della bilancia cade
sull’una o sull’altra paradosi (Barbaglio).
Vedi sulle slides la conclusione di Pitta.
Passiamo ora ad un’altra questione: Gesù istituì l’Eucarestia all’interno
della cena pasquale ebraica?
Per i Sinottici la Cena del Signore è nel contesto di un banchetto
pasquale, mentre per Gv la Cena del Signore è avvenuta il giorno prima di
Pasqua e quindi non in un contesto di banchetto pasquale.
Quale la cronologia giusta? Anche tale questione è dibattuta tra gli
studiosi. Secondo Jeremias, la cronologia giovannea sarebbe dovuta a
motivazioni teologiche: Gv vuole presentare Gesù come il vero agnello pasquale;
questa posizione ha avuto un influsso esegetico, teologico, liturgico e
pastorale enorme. Ogg, nel 1965, sostiene la cronologia giovannea affermando
che nei racconti della cena del Signore è assente ogni riferimento agli
elementi tipici della cena pasquale ebraica (azzimi, agnello e erbe amare): in
tal modo egli apre il dibattito rispetto a Jeremias.
La scoperta dei rotoli di Qumran mostra invece che la storicità è data da
Gv e non dai Sinottici, in quanto sembra ammettere che Gv non sia una visione
teologica, ma contenga anche dati cronologici: la morte di Gesù sarebbe
avvenuta al momento dell’immolazione degli agnelli al tempio; l’Ultima Cena,
secondo il calendario di Qumran, sarebbe avvenuta almeno un giorno prima della
Pasqua ebraica, per cui l’Ultima Cena non fu pasquale.
Al di là di queste discussioni, bisogna dire, riprendendo Lafont, che ciò
che tutti i vangeli affermano è che la
morte di Gesù celebrata nell’Eucarestia della Chiesa è la vera Pasqua.
Passiamo ora a Paolo.
A differenza del Battesimo, quello dell’Eucarestia è un tema poco trattato
in Paolo (1Cor 10-11); l’Apostolo tratta dell’Eucarestia “costretto” dalla
situazione di Corinto: è lecito mangiare la carne degli idoli? La risposta
paolina è questa: gli idoli non esistono, ma non si può entrare in comunione
con essi.
I punti fondamentali dell’Eucarestia in Paolo sono 4:
-
comunione con
il Signore
-
vincolo di
unità
-
annuncio di
Cristo crocifisso
-
banchetto
escatologico
Innanzitutto l’Eucarestia è comunione con il Signore (1Cor
10,14-16): il corpo di Cristo è presente attraverso la figura del pane, mentre
la comunione con il Signore è realizzata nella “mensa” offerta dal Signore
(l’idea della comunione attraverso un pasto era già presente nell’AT).
L’Eucarestia è anche vincolo di unità (1Cor 10,17). La
Chiesa non è una semplice unione di persone, che sanziona la propria
unità/identità attraverso la celebrazione dell’Eucarestia, ma è il Corpo di
Cristo unificato dall’Eucarestia: l’Eucarestia non è perciò funzionale alla
comunità/Chiesa (ethos con epsilon),
ma è fondativa della comunità/Chiesa (ethos
con eta); non si può strumentalizzare l’Eucarestia in funzione della comunità.
L’Eucarestia realizza la Chiesa e più la Chiesa realizza la sua missione più
vive dell’Eucarestia.
L’Eucarestia è annuncio di Cristo crocifisso (1Cor 11,26): l’Eucarestia non è
semplice ripetizione del banchetto pasquale, ma annuncio della presenza del
Signore nell’oggi della storia.
L’Eucarestia è infine banchetto escatologico (1Cor 11,26):
essa è prefigurazione e speranza per il futuro; nell’Eucarestia si ha già la
comunione con Cristo ma al tempo stesso del non ancora di una comunione piena e
definitiva.
Passiamo ora a Gv (vedere sulle
slides lo schema delle allusioni all’Eucarestia in Gv: molto interessante è la
struttura chiastica).
Gv 13 descrive l’Ultima Cena con la lavanda dei piedi, senza Eucarestia. La
lavanda era presente nel banchetto pasquale ebraico. Vi sono però delle
varianti rispetto al banchetto ebraico:
-
il soggetto non è il più giovane (Giovanni)
che lava ma colui che presiede il banchetto (i primi sono ultimi, l’autorità è
vista come servizio);
-
l’oggetto non sono le mani, ma i piedi:
non si tratta di un semplice gesto rituale-cultuale (purificazione), ma di un
servizio concreto.
La lavanda dei piedi, che era prerogativa dello schiavo, contiene il senso
dell’Eucarestia, quello di un amore
condizionato; nella diakonia si fa
dunque memoria dell’Eucarestia. Il come
in Giovanni non è né epesegetico (spiega ciò che viene prima) né imitativo, ma
ha un valore fondativo: è Gesù che fonda il fatto che possiamo seguirlo.
Gv può anche non descrivere l’istituzione dell’Eucarestia perché essa è
contenuta già nei Sinottici e l’Eucarestia è già celebrata nella comunità;
d’altronde tutto Gv è eucaristico-pasquale: eucaristica perché Cristo offre la
vita, pasquale perché Cristo passa/ritorna al Padre.
In Gv 6 Gesù afferma che i suoi interlocutori lo cercano (elemento
cristologico) non perché hanno visto dei segni (elemento teologico: i segni
sono il luogo della presenza salvifica di Dio), ma perché hanno mangiato del
pane (elemento antropologico). Il “credere in colui che egli ha mandato” (v.
29), a cui Gesù invece invita (il segno esprime la presenza di Dio alla quale
deve andare la fede), ripresenta questi tre aspetti: il credere quello
antropologico, il riferimento colui a
quello cristologico, il riferimento a egli
a quello teologico. Gesù parte dal livello basso dei suoi interlocutori per
alzare il livello.
Inizio del lungo discorso di Gesù è il v. 31, con il riferimento alla manna
(i vv. 26-59 sono un’esegesi di questo versetto): la manna è il nutrimento dato
da Dio durante l’esodo e nel tempo messianico.
I vv. 26-51 pongono l’identità tra il mangiare e il credere; i vv. 51-59
pongono l’identità tra il mangiare e la carne e il sangue di Gesù. La prima è
la prospettiva simbolica (fede), sostenuta dai protestanti, mentre la seconda è
la prospettiva reale (sacramento), propriamente cattolica.
I vv. 26-51 ribadiscono comunque la necessità della fede; successivamente
si parla anche della comunione nel mistero cristologico; il v. 56 parla del dimorare
con Cristo; la necessità di mangiare la sua carne e bere il suo sangue (si
oppone al docetismo); la comunicazione della vita (v. 53). Tutti questi sono
temi propri di Gv: il cap. 6 è dunque un concentrato della prospettiva
teologica di Gv.
Passiamo ora alle tematiche bibliche
di fondo.
Innanzitutto una cultura biblica di
fondo. Il pane e il vino sono: sono il frutto della terra (non di una terra
qualsiasi, ma della terra promessa, dono di Dio) e del lavoro dell’uomo. La
benedizione è la comunione con Dio, con il suo dono: è l’atto con cui Dio agisce
nella storia, l’atto in cui passa la vita divina. Il mangiare insieme significa
la comunione tra i fratelli, tra commensali. Gesù pone esplicitamente una
relazione tra lui e i doni (pane e vino) nella benedizione e comunione;
l’Ultima Cena porta al culmine queste 3 dimensioni del pasto ebraico: dono di
Dio, comunione con Dio, comunione con i fratelli. Con Gesù i doni indicano e
realizzano la relazione comunionale con lui: Gesù concentra su di sé tutte
queste dimensioni.
Il soggetto del memoriale è Dio: l’AT ha come dimensione la liberazione
dall’Egitto dove Dio è colui che libera; questa liberazione nel NT diviene la
resurrezione di Cristo. Altro aspetto è quello del corpo: esso indica la
totalità della persona che si dona (valenza cristologica), mantiene in unità le
membra (1Cor 12; valenza ecclesiologica); il per molti si riferisce alla totalità degli uomini.
Circa il concetto di memoriale,
sappiamo che esso è il ricordo delle opere di Dio: è il passato come memoria;
esso però è reso contemporaneo nella celebrazione e prepara e anticipa il
futuro-profezia. Nell’AT il ricordo delle opere di Dio si identifica con
l’esodo, reso contemporaneo dalla celebrazione pasquale, che prepara e anticipa
i tempi messianici. Nell’Ultima Cena ritroviamo questa triplice dimensione del
passato, reso presente, che anticipa il futuro: essa ricorda l’esodo/opere di
Gesù, resi contemporanei dal pane donato e dal vino versato, che anticipano la
morte in croce e la venuta escatologica. Anche per l’Eucarestia ritroviamo
questa dinamica: essa è ricordo dell’Ultima Cena e della Pasqua di Gesù, resa
contemporanea nei gesti e nel pane e vino, che anticipa la venuta escatologica.
Nella visione protestante l’Ultima Cena è una semplice allegoria della
morte prossima: quindi vi è una rappresentazione che è nel simbolo, per cui i
doni non sono segni realistici della morte di Gesù, ma vi è un linguaggio senza
alcun rapporto con la realtà. In ambito cattolico non si afferma che l’Ultima
Cena sia una semplice allegoria della morte prossima: nella dinamica della
rivelazione cristologica il rivelarsi con parabole indica il Regno del Padre,
mentre nell’Ultima Cena Gesù rivela se stesso come colui che compie la volontà
del Padre nel momento decisivo della sua vita. Nella vita di Gesù, inoltre, i momenti
forti di rivelazione sono espressi da realtà concrete:
-
la
resurrezione di Lazzaro (verificabile) è il segno che Gesù dà la vita;
-
la guarigione
del paralitico (verificabile) è il segno che Gesù può perdonare i peccati;
-
la morte in
croce (verificabile) è il segno che Gesù può dare da mangiare il suo corpo e da
bere il suo sangue.
Circa il mangiare insieme, il
mangiare e il bere hanno 2 dimensioni: quella biologica e quella conviviale. Il
mangiare insieme aveva diversi significati: ospitalità, suggello di
un’alleanza, perdono. Il pasto giudaico nelle feste ha un carattere liturgico
simile alla cena pasquale in questa struttura:
-
il
capofamiglia alza la focaccia di pane, benedice Dio, rende grazie e lo
distribuisce;
-
si aveva poi
il pasto vero e proprio;
-
il
capofamiglia alza il calice del vino, benedice il vino, ne beve un po’ e lo
distribuisce;
-
alle due
benedizioni tutti rispondono “Amen”.
Il pasto giudaico nelle feste non è un semplice mangiare insieme, ma indica
una comunione profonda orizzontale (con i commensali) e con Dio; partecipare a
questo pasto significa partecipare della benedizione di Dio.
Non è perciò possibile mangiare con i peccatori, in quanto significava
partecipare della loro esclusione dall’alleanza: davanti al peccatore l’unico
modo era quello di eliminarlo dalla comunità. Gesù stravolge questo schema, in
quanto elimina il peccato e non il peccatore. Il fatto che Gesù banchetta con i
peccatori significa che anche i peccatori partecipano della stessa benedizione
di Dio. Già i profeti descrivono l’alleanza messianica come un banchetto in cui
tutti sono invitati, compresi i peccatori: i peccatori ricevono la remissione
dei peccati; il banchetto inoltre funge da pregustazione del banchetto
messianico-escatologico.
Gesù non mangia solo con i peccatori, ma mangia con i discepoli dopo la
resurrezione: questo sia per convincerli della resurrezione sia per indicare
che il Risorto continua ad essere presente nel segno pasquale del pasto. Il
pane spezzato è segno di presenza/assenza del Risorto: non si tratta però di un
semplice dato fenomenico, ma sono necessari la Parola di Gesù accolta nella
fede e lo spezzare il pane. La comunità ecclesiale ha consapevolezza di essere
il nuovo popolo di Dio riunito attorno al Risorto “mangiando”: l’Eucarestia diviene
espressione del fondamento della Chiesa.
Vediamo ora il rapporto tra morte-vita.
Quando si parla dell’Eucarestia si parte dal ricordo della morte di Gesù,
mentre la conclusione è sempre escatologica. Il contesto dell’istituzione
dell’Eucarestia non può essere separato dalla morte imminente d Gesù, ma al
tempo stesso la celebrazione dell’Eucarestia annuncia il banchetto escatologico
che suppone la resurrezione d Gesù. Tra inizio ed eschaton vi è il presente, segnato dalla presenza del Risorto. Noi
separiamo morte e resurrezione: ma nel mistero pasquale vi è una profonda unità
tra questi due aspetti: la morte di Cristo è già eschaton di salvezza, la croce è già gloriosa (cfr. Gv 19,30). I
discepoli, facendo memoria, in obbedienza al comando del Signore, entrano nel
dinamismo di risurrezione perché il Risorto è presente per dare la vita senza
fine.
Passiamo ora alla tradizione
patristica.
Nei primi 3 secoli si formano il canone della Scrittura ispirata, il
Simbolo Apostolico (in cui vi è la sensibilità occidentale) e la preghiera
eucaristica (in cui vi è la sensibilità orientale).
Nel II sec. l’Eucarestia indica l’azione liturgica e i doni (cfr. Padri
apostolici). Un’espressione già nota è il rendere grazie eucaristico, che ha 3
aspetti: anamnesi, sacrificio e benedizione.
L’anamnesi, partendo da Didachè, è una lode riconoscente:
-
per la
redenzione (storia della salvezza);
-
per la
salvezza in Cristo;
-
per il dono
di Cristo presente;
-
per il cibo e
la bevanda per la vita eterna;
-
per la
creazione;
-
per la tensione
verso l’unità della Chiesa.
Non si tratta di un semplice ricordo di eventi passati, ma vi è anche il
riferimento a Cristo (cosmologico, cristologico, ecclesiologico).
Il sacrificio ha diversi aspetti,
declinazioni: vuol dire preghiera, confessione, rendimento di grazie, etc.
La benedizione è il rendere
grazie sui doni e la consacrazione di essi. In Ippolito il rendere grazie
eucaristico ha 3 aspetti: anamnesis, prosphorà e epiclesis (sui doni e sulla Chiesa). Il sacrificio nel convito
diventa comunione con Cristo, nell’eucologia diviene offerta e nella
cristologia diviene corpo e sangue di Cristo; la benedizione diviene nel
convito martyria, nell’eucologia
diviene epiclesi e nella cristologia resurrezione del credente.
In Ignazio di Antiochia l’Eucarestia:
-
causa l’unità
della Chiesa (dimensione ecclesiologica);
-
è la carne di
Cristo (dimensione cristologica);
-
medicina per
vivere in Cristo e antidoto per non morire (dimensione antropologica): a tal
proposito è necessaria la comunione nella Chiesa.
Nella prospettiva di Ignazio, secondo Couth, l’Eucarestia è un processo di
identificazione con Cristo: tale processo avviene nella communio della Chiesa.
In Giustino si pone il rapporto con il Battesimo e la vita, l’analogia con
l’incarnazione e vi è la descrizione della celebrazione eucaristica. Nell’Apologia I vi è il riferimento al
Battesimo e alla vita.
Circa l’analogia con l’incarnazione, Cristo è il Verbo di Dio che ha preso
la carne e il sangue; l’alimento consacrato è la preghiera fatta al Verbo che
diviene corpo e sangue del Verbo incarnato. Vi è un parallelo con
l’incarnazione, nella presenza dell’epiclesi
al Verbo, preghiera eucaristica in nuce e pneumatologia in nuce. Infine
Giustino descrive anche la celebrazione.
Passiamo ora all’Adversus haereses.
Ireneo scrive che i cristiani offrono il sacrificio eucaristico non perché Dio
ne ha bisogno, ma per ringraziarlo (che significa rendersi conto della sua
presenza, sia nell’opera della creazione che in quella della redenzione) e per
consacrare le offerte. Ireneo si oppone al dualismo: bisogna rendere grazie per
la bontà della creazione; vi è perciò unità tra corpo e spirito: anche
l’Eucarestia è composta da un duplice elemento, terreno e celeste. Questo ha ripercussioni antropologiche: il
nostro corpo è nel raggio della salvezza perché nutrito dal corpo di Cristo.
Passiamo alla scuola alessandrina.
In essa, impregnata di filosofia platonica, abbiamo l’attenzione allo
“spirito”: il Verbo rivela la verità, la cui “conoscenza” esprime la comunione
con Dio; abbiamo in tal senso una conseguente svalutazione della materia: il
mistero di Cristo si rappresenta nel cuore.
La scuola antiochena e i cappadoci rivelano maggiore attenzione
per la “materia”, per cui il Verbo si rivela nella storia: la comunione con Dio
è ora partecipazione alla ri-presentazione nella storia del mistero di Cristo.
Lo Spirito attualizza la storia salvifica.
Nei padri latini vi è
l’attenzione ai doni offerti (il mondo occidentale è molto attento al lato
pragmatico), perciò:
-
vi è attenzione
alla fisicità, alla concretezza;
-
vi è una
sottolineatura giuridica;
-
molta
rilevanza ha la presenza di Cristo nelle offerte.
Tertulliano mette in evidenza il carattere sacrificale dell’Eucarestia, che
esprime il legame con la croce, come se Cristo morisse di nuovo in croce;
l’Eucarestia è sacrificium crucis in
forma sacramentale. L’Eucarestia è l’azione che rende presente l’oblazione di
Cristo nella comunità: la comunità rivive quella azione partecipandovi in prima
persona e venendo trasformata in essa.
Secondo Cipriano, l’Eucarestia non ricorda solo la Pasqua di Cristo ma la
rende presente quando la comunità ne fa memoria: la comunione della Chiesa è
frutto e presupposto dell’Eucarestia.
Circa gli altri Padri latini, Ambrogio è importante per la dottrina
eucaristica, Agostino per la teologia (Trinità, antropologia) e Gregorio per la
spiritualità.
Ambrogio scrive il De
mysteriis e il De sacramentis:
nel primo testo egli scrive che segno sacramento è il corpo e il sangue di
Cristo presente, mentre la consecratio
è la parola di Cristo ripetuta che realizza la consacrazione; nel De sacramentis, egli riprende nuovamente
il concetto di consecratio, parla di
sacrificio e del fatto che l’Eucarestia cancella il peccato (tale dottrina sarà
poi chiarificata a Trento). Il corpo e il sangue di Cristo sono presenti
oggettivamente nel segno sacramentale, e non soggettivamente nella fede di chi
partecipa (questa dimensione soggettiva si ha verso la fine del I millennio).
La consecratio è l’elemento centrale,
non è causata dall’epiclesi al Verbo o da quello allo Spirito Santo, ma è
causata dalla ripetizione della parola di Cristo (orizzonte cristocentrico).
Per mettere in rilievo questo, Ambrogio fa alcuni esempi biblici di parole
efficaci: se è efficace la parola di un profeta come Elia (che fa scendere il
fuoco), tanto più lo è efficace la parola di Cristo; fa poi riferimento ad un
dato liturgico: se la parola del vescovo nella preghiera è efficace, tanto più
quella di Crsto; infine vi è il riferimento al dato cosmologico: se la parola
creatrice di Dio è efficace, lo sarà anche quello di Cristo. Il cambiamento
causato dalla parola di Cristo non è un cambiamento di significato (per cui si
ha una nuova funzione del pane), ma si ha una trasformazione reale: esso non è
percepibile all’esterno (non si vede un cambiamento della sostanza). La consecratio è l’elemento centrale nella
concezione dell’Eucarestia in Ambrogio; altri temi sono quelli del sacrificio, per cui l’Eucarestia è il ricordo della morte di Gesù,
e la cancellazione dei peccati
nell’assumere il sacramento.
Mentre Ambrogio ha una prospettiva liturgica sull’identità del sacramento, Agostino mette in rilievo i soggetti,
quello ecclesiale e quello antropologico. Possiamo individuare in Agostino
alcune linee sull’Eucarestia: il platonismo agostiniano, la dimensione
cristologica, la dimensione ecclesiologica e la dimensione sacrificale; il
platonismo agostiniano è centrale per la teologia successiva.
Ad Agostino è applicata una duplice ermeneutica, quella realista, fondata
su Aristotele e accettata dai cattolici, e quella simbolica, fondata su Platone
e centrale per i protestanti; bisogna stare attenti a non leggere Agostino con
una ermeneutica posteriore e predefinita: sarebbe un apriori ideologico.
Bisogna sempre leggere Agostino nel suo contesto e nell’orizzonte dei
destinatari; bisogna anche tenere presente che di Agostino si è avuto un
recupero “recente” (col Vaticano II), in quanto i cattolici dubitavano di
Agostino in quanto richiamato spesso dai protestanti. I 2 aspetti, simbolo e
realtà, sono oggi visti complementari, senza che vi sia contrapposizione tra
immagine e realtà: l’Eucarestia sarebbe in un certo senso simbolo reale.
Agostino è difatti sia realista che simbolico: è realista nelle catechesi
(quando è pastore), mentre è simbolico nei trattati (quando è teologo);
Agostino è talora realista e simbolico nella stessa opera (es. Enarrationes in Psalmos 98). Nella
prospettiva realista l’Eucarestia è vero corpo e sangue di Cristo, mentre nella
prospettiva simbolica l’Eucarestia è il segno che indica un’altra realtà
pneumatica: in Agostino sono presenti entrambe le prospettive.
Circa il platonismo agostiniano,
la copia (signum) non è una semplice
ombra senza valore rispetto alla realtà (res),
ma la forma in cui l’originale si rende storicamente presente. Dunque il signum contiene in un certo modo la res, senza però esaurirla, perché al
tempo stesso rimanda ad essa trascendendo il signum: si vede il signum,
si comprende la res (“aliud videtur, aliud intelligitur”; da
questa frase molto spesso si fa partire una sorta di sottovalutazione
dell’ambito liturgico: infatti ad essere importante è la res, che si coglie o con l’intellectus
o con l’affectus, mentre poco
importante è il signum, al quale ci
si interesserà solo nella sua dimensione giuridica, quella che assicurava la
validità). A volte Agostino insiste sulla centralità della res rispetto al segno: per questo vi è sia una motivazione
cristologica (corpo e sangue di Cristo), sia un motivo ecclesiologico (chi non
è in comunione con la Chiesa non riceve Cristo, non basta ricevere il segno: è
questa la polemica antidonatista. La realtà può essere sia celeste che
terrestre: per Aristotele la realtà è quella terrestre; per Platone la vera
realtà è nell’iperuranio (realtà prototipo),
mentre l’oggetto terrestre è una semplice immagine, figura, copia; Agostino
mette insieme i due aspetti: sono importanti sia la res (la cui importanza è accentuata dall’Agostino teologo) sia il signum (la cui importanza è accentuata
dall’Agostino pastore).
Circa la dimensione cristologica,
Agostino distingue tra sacramentum tantum,
che è il segno esteriore, e la res tantum, che è l’effetto del sacramento: l’obiettivo è mangiare la carne (realismo)
e dimorare in Cristo che abita in me (simbolismo).
Circa la dimensione ecclesiologica,
fine dell’Eucarestia è mangiare la carne (realismo) ed essere membra del Corpo
di Cristo, che è la Chiesa (simbolismo).
Nei testi di Agostino si parla molto spesso della necessità della fede e
della necessità che si forgi l’uomo spirituale proprio mediante la fede.
Agostino mette in evidenza soprattutto il lato spirituale, sia in ambito
antropologico, sia in ambito cristologico, sia in ambito ecclesiologico.
Passiamo all’epoca medievale.
Il Medioevo eucaristico possiamo suddividerlo in 3 momenti: epoca
carolingia (Pascasio Radberto e Ratramno), inizio II millennio (Berengario e
Lanfranco) e la Scolastica (Tommaso e Bonaventura).
Circa l’epoca carolingia, l’area
culturale franco-germanica ha questo orizzonte metafisico: esiste solo ciò che
è presente in re, mentre l’immagine,
la figura, non ha in sé una vera realtà (come nel platonismo agostiniano);
circa l’orizzonte ermeneutico di questa area culturale, la grammatica è
fondamentale per capire il testo in quanto è fondamentale la lettera e la
Parola la si scopre a partire dall’etimologia (Aristotele, scuola di
Antiochia), mentre la retorica è fondamentale per capire il testo in quanto
centrale è l’allegoria e la Parola si scopre cogliendo il significato nella
frase (Platone, scuola di Alessandria). La domanda centrale nel IX sec. è
questa: la presenza di Cristo nell’Eucarestia è vera o simbolica? Nella
prospettiva patristica era entrambe (Agostino parla di simbolo reale); ora si
hanno 2 posizioni: alla lettera (ermeneutica) corrisponde il realismo materiale
(Pascasio Radberto), mentre allo spirito rimanda la posizione
simbolista-spiritualista (Ratramno). Pascasio Radberto, abate di Corbie, scrive
il De corpore et sanguine Domini: in
esso egli afferma che l’Eucarestia è il corpo storico di Gesù, nato da Maria e
posto sulla croce; l’Eucarestia sarebbe la ripetizione della passione di Gesù.
Ratramno scrive anch’egli un De corpore
et sanguine Domini: in esso afferma che la veritas è il corpo di Cristo storico e metastorico (nato da Maria,
crocifisso e risorto) mentre l’Eucarestia è spiritualiter
il corpo di Cristo.
La disputa viene ripresa nel XI sec.: il realismo viene sostenuto da
Lanfranco, mentre il simbolismo spiritualista viene sostenuto da Berengario.
Berengario di Tours è magister della
scuola di Tour, ex discepolo di Chartres: egli scopre il De corpore et sanguine Domini di Ratramno, attribuendolo a Giovanni
Scoto Eriugena; in tal modo l’ermeneutica simbolica acquista autorevolezza.
Berengario scrive a Lanfranco, che si trova in un concilio a Roma (1050):
dinanzi alla lettera di Berengario, letta pubblicamente, Lanfranco deve
esprimersi pubblicamente sul contenuto della lettera; il concilio finisce con
lo scomunicare Berengario. Invitato al sinodo di Vercelli per rendere ragione
della sua posizione, Berengario non si presenta; nel frattempo, nel sinodo di
Roma del 1059, esso si esprime affermando che la presenza nell’Eucarestia è sensualiter (fortemente realista).
Contro questo sinodo Berengario scrive lo Scriptum
contra Synodum, al quale Lanfranco risponde con il De corpore et sanguine Domini; nel 1079 un nuovo sinodo di Roma
parla di presenza substantialiter e
di presenza vera (che si distingue
ora dal corpo mysticum, che diventa
la Chiesa) e mette in evidenza l’aspetto della conversione del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo.
Per Berengario l’Eucarestia è
semplicemente la figura della veritas
(che è il corpo storico e metastorico di Cristo); inoltre Berengario estremizza
ciò che Agostino scriveva ai donatisti, accentuando l’importanza del soggetto:
l’Eucarestia è corpo di Cristo unicamente per l’uomo spirituale (è il soggetto
perciò a decidere: assistiamo perciò ad una svolta antropologica in teologia,
come era già avvenuto con Abelardo circa la morale e la sottolineatura
dell’importanza dell’intenzione).
Per Lanfranco, la sostanza è il
Corpo e il Sangue di Cristo, mentre le species
(figure esteriori) sono il pane e il vino. Un altro autore, Guitmondo di Aversa, mette in evidenza
ancora di più il cambiamento di sostanza.
Progressivamente si iniziò a delineare il termine transustanziazione,
inventato da Lanfranco e utilizzato nel Magistero per la prima volta dal
Conclio Lateranense IV (1215), sebbene nella sostanza la verità di questo fosse
già stata affermata da Gregorio VII nel sinodo romano del 1079. Nel concetto di
transustanziazione si afferma che:
-
la presenza
di Cristo è una realtà previa alla fede;
-
viene
ricucita la frattura tra sacramentum
tantum e res sacramenti;
-
Cristo è
presente nell’Eucarestia in modo sostanziale, quindi: non ha dimensioni, è
immateriale e invisibile, merita l’adorazione.
Nel XX secolo la transustanziazione viene contestata perché:
-
è termine
troppo filosofico, per cui sembra piegare la fede ad una visione razionale;
-
vi è una
difficoltà di comprensione in una diversa visione concettuale (le scienze
naturali non hanno più una prospettiva metafisica).
Il rapporto tra res e signum, tra invisibile e invisibile, è
il rapporto tra res tantum, res
sacramenti (orizzonte ultimo, Cristo glorioso) e signum tantum, sacramentum, sacramentum tantum: sono i termini
della nascente Scolastica. Pietro Lombardo fa una sintesi di tutto questo,
aggiungendo anche res et signum e res et sacramentum.
Tommaso e Ugo di S. Vittore operano questa dimensione: il sacramentum tantum di Tommaso (la species di Ugo) è l’elemento visibile;
la res et sacramentum (la veritas di Ugo) è l’elemento visibile/invisibile; la res sacramenti (la virtus
di Ugo) è l’elemento invisibile. Il sacramentum
tantum è il segno esteriore, le specie visibili, il sacramento in sé e per
sé; l’effetto intermedio è l’attualizzazione del sacrificio di Cristo e la
presenza reale del suo corpo e del suo sangue; la res sacramenti è il fine del sacramento, la grazia che dona
l’incontro col Signore e l’appartenenza alla Chiesa. Il sacrificio attualizzato
di Cristo corrisponde all’incontro col Signore, mentre vi è un rapporto anche
tra la presenza reale del suo corpo e sangue e l’appartenenza alla Chiesa.
Nel primo millennio vi è un forte legame tra grazia del sacramento e
Spirito Santo ed inoltre tra il corpo di Cristo eucaristico e il corpo di
Cristo ecclesiale. Nel secondo millennio troviamo una triplice accentuazione:
vengono accentuate la res et sacramentum
e la res sacramenti, particolarmente
la dimensione sacrificale e la dimensione individuale (nasce la devotio moderna); inoltre, nel secondo
millennio, il corpo di Cristo eucaristico viene legato alla memoria del
sacrificio di Cristo e all’incontro individuale del Signore. Il vero corpo di Cristo è nel primo
millennio la Chiesa, mentre nel II millennio è l’Eucarestia; il corpus Christi mysticum, che nel primo
millennio era stato l’Eucarestia, diviene ora la Chiesa.
Nel primo millennio il corpo mistico di Cristo è l’Eucarestia, mentre il
corpo di Cristo verum è la Chiesa, il
cui fine è l’unità della Chiesa. Nel secondo millennio il corpo mistico di
Cristo diviene la Chiesa: in questa definizione ci si vuole opporre ad una
concezione eccessivamente naturale e giuridica; la definizione corpo di Cristo verum accentua invece la presenza reale
del corpo e sangue di Cristo.
La celebrazione dell’Eucarestia è caratterizzata da una prospettiva
ieratica della celebrazione: la preghiera eucaristica era in silenzio, la
comunione era sotto una specie, la frequenza alla comunione era bassissima
(tanto che il Concilio Lateranense IV prescrive la comunione almeno una volta
l’anno). Circa la pietà eucaristica, si ha, con Berengario, la negazione della
presenza reale; contro questo vengono presi alcuni provvedimenti: si insiste
sull’adorazione eucaristica, viene istituita nel 1264 la festa del Corpus Domini, si sottolineano i
miracoli eucaristici. Si hanno alcune deviazioni nella pratica cristiana: il
vedere l’ostia senza fare la comunione, il sacrificio eucaristico viene svincolato
dal sacrificio di Cristo sulla croce, il sacrificio viene visto come un’opera
buona da compiere e offrire a Dio; se la Messa è un’azione buona, allora si
moltiplicano le Messe e gli altari.
Passiamo ora a vedere Tommaso,
che organizza la trattazione secondo lo schema della scienza aristotelica:
prima l’essenza, la materia, la forma, gli effetti, poi coloro che lo ricevono
e il ministro e solo alla fine il rito.
A cosa sono ordinati i sacramenti della Chiesa? I sacramenti sono per la
vita spirituale dell’uomo: vi è una similitudine tra vita corporale e vita
spirituale (si nasce in entrambe le vite, si cresce in entrambe, si mangia in
entrambe, etc.): l’Eucaristia è l’alimento
spirituale, mentre la Confermazione è l’aumento
spirituale. Tommaso parla anche dell’Eucarestia come corpus Christi verum: siamo infatti nel II millennio. Essa è anche consummatio della vita spirituale e fine
di tutti i sacramenti: mentre il Battesimo è necessario all’inizio della vita
spirituale (il Battesimo è porta dei sacramenti), l’Eucarestia la porta a
compimento. Inoltre, mentre il Battesimo è il sacramento della fede,
l’Eucarestia è sacramentum caritatis,
carità che è il vincolo della perfezione.
Secondo Tommaso, l’Eucarestia ha 3 significati:
-
commemorativum passionis (passato). L’Eucarestia è memoriale della
passione di Gesù, è il sacrificio dell’oblazione di Gesù ed è compimento ed
inclusione dei precedenti sacrifici dell’AT e dell’umanità (Trento criticherà
Tommaso su quest’ultimo riferimento ai sacrifici dell’umanità);
-
communionis con Cristo e con la Chiesa (presente);
-
praefigurativum fruitionis Dei (futuro): è anticipazione della beatitudine
eterna.
Tommaso afferma che l’Eucarestia è simbolo reale del corpo e del sangue di
Cristo; senza la fede, vi è ugualmente corpo di Cristo, ma senza la fede non si
godono i frutti dell’Eucarestia.
Nelle qq. 79-81 si parla del sacramento della grazia e dell’uso di questo
sacramento che ha per oggetto Cristo Signore; alla q. 82 si parla del ministro
del sacramento.
Dopo Tommaso, altro grande nome fu quello di Bonaventura. Nel suo Breviloquium
egli descrive benissimo il sacramento dell’Eucarestia (cfr. testo). Bonaventura
inoltre riprende il fatto che il Battesimo genera alla grazia, la Confermazione
fa crescere e fortifica, l’Eucarestia nutre. Il nutrimento eucaristico è
finalizzato alla conservazione della devozione a Dio, dell’amore al prossimo e
del diletto interiore: poiché la devozione a Dio si esercita con l’offerta del
sacrificio, l’Eucarestia è sacrificium
oblationis; poiché l’amore al prossimo si esercita con la comunione ad un
unico sacramento, l’Eucarestia è sacrificium
communionis; poiché il diletto interiore si esercita con il ristoro del
viatico, l’Eucarestia è viaticum
refectionis. Quindi 3 sono gli aspetti dell’Eucarestia presenti in
Bonaventura:
-
sacrificio: Cristo presente realmente;
-
sacramento: amore fraterno, unità della Chiesa;
-
viatico: ristoro spirituale.
A differenza della devotio moderna, che insisterà sull’affetto,
Bonaventura parla di devozione come esito dell’amore (e non dell’affetto).
Se un topo mangiasse l’Eucarestia, per Tommaso il corpo mangerebbe il vero
corpo di Cristo, perché gli accidenti del pane, finché restano incorrotti, sono
segno della sostanza del corpo di Cristo e, dove si trovano gli accidenti, lì
si trova la sostanza del corpo di Cristo. Per Bonaventura invece il topo non
mangerebbe il corpo di Cristo: Cristo è nelle specie per un uso unicamente
umano; questa è la volontà istitutiva (nella visione francescana è importante
la volontà) del memoriale conviviale: la manducazione del topo sarebbe al di
fuori di questa volontà istitutiva di Cristo. Tommaso parla dell’oggettività
del corpo di Cristo, che è legata alla parola di Cristo, agli accidenti e
indipendentemente dalla fede; anche Bonaventura parla dell’oggettività del
corpo di Cristo, che però è legata alla volontà di Cristo e all’uso umano
(Tommaso insiste sull’intelletto che capisce, Bonaventura sulla volontà che
ama).
Nel tardo Medioevo si sviluppano alcune teorie:
-
si parla di
trasformazione del pane e del vino, che si dissolvono come delle gocce
nell’oceano;
-
si parla
anche di consustanziazione (pane e
vino restano): sarà la posizione della Riforma;
-
si parla di annichilazione (pane e vino scompaiono);
-
si continua a
parlare di transustanziazione (pane e
vino rimangono come accidenti): Tommaso parla di una trasformazione degli
accidenti, mentre Duns Scoto parla di un’aggiunta (ma l’esito è uguale), nella
quale il corpo del Risorto riceve un nuovo esse
hic che sostituisce l’essere qui della sostanza del pane e del vino.
I limiti del tardo Medioevo sono questi:
-
orizzonte
teologico povero: si parla solo di transustanziazione. Si definisce però questa
realtà con una scarsa dimensione biblica e storico-salvifica;
-
vi è uno
scarso coinvolgimento dei fedeli, con un’attenzione esclusiva al presbitero;
-
vi è una
frammentazione del rapporto Cristo (evento) – Eucarestia (memoriale): si ha
un’attenzione al sacrificio a sé stante, visto come un’opera buona compiuta dal
sacerdote che celebra e da quanti vi partecipano.
Nel tardo Medioevo abbiamo anche delle negazioni. Wyclif nega l’adorazione
eucaristica, l’Eucarestia come sacrificio, la transustanziazione, la validità
della celebrazione fatta da un sacerdote indegno; il concilio di Costanza
condanna Wyclif.
Giovanni Hus afferma che i laici possono comunicarsi al calice: anche qui
Costanza si oppone. Il corpo e il sangue di Cristo sono contenuti nella sua
integralità sia sotto la specie del pane sia sotto la specie del vino. Il punto
centrale non è che i laici non possono comunicarsi al calice: il punto centrale
è che si riteneva che, se ci si accostava al solo pane, ci si accostava
unicamente al Corpo (e non al Sangue). La Chiesa risponde che in ogni specie vi
è tutto Cristo.
Passiamo ora alla Riforma Protestante.
I presupposti della Riforma sono il sola
Scriptura, il sola fide, il sola gratia; essi rifiutano la
dimensione sacrificale dell’Eucarestia e la presenza reale: il sacrificio è
visto come un’opera e perciò viene rifiutato; inoltre, se c’è già stato un
unico sacrificio, come posso affermare che vi sia un altro sacrificio?
Parlando di Lutero, dobbiamo tenere presente che vi è una prima fase
(1517-1520), dove egli accoglie la presenza reale in opposizione a Zwingli: la
presenza reale è fondata biblicamente sull’istituzione dell’Eucarestia e sul
fatto che non ci si può accostare indegnamente (non ci si può accostare
indegnamente proprio perché c’è la presenza reale). Notevole è il principio
ermeneutico di Lutero: poiché la negazione della presenza reale conduce alla
divisione, allora essa deve essere affermata. La presenza reale inoltre si
fonda sull’ubiquità: il Cristo
glorificato partecipa dell’onnipotenza di Dio; l’obiezione posta da Zwingli era
la seguente: come può un corpo terreno essere presente alla destra del Padre e
nelle molte celebrazioni? Poiché Cristo partecipa dell’onnipotenza di Dio,
questo è possibile.
Lutero insiste sull’importanza della fede nel sacramento: egli si oppone
perciò all’ex opere operato, in cui
sembra che vi sia un’efficacia sacramentale indipendentemente dalla fede (se il
cattolico mette in evidenza il lato oggettivo, il protestante sottolinea quello
soggettivo). L’uomo non può limitarsi a togliere il peccato ma occorre la fede,
senza la quale l’Eucarestia non ha alcun effetto: la fede è l’elemento che
costituisce i sacramenti.
La fede è, per Lutero, l’accoglienza della grazia senza vantare meriti: si
è giustificati solo per la fede e non dal sacramento; inoltre, secondo Lutero,
non basta togliere il peccato: occorre poi la fede.
Da un punto di vista cristologico, vi è un unico sacerdote (Cristo) e vi è
un unico sacrificio (la croce). Nel suo La
cattività babilonese Lutero afferma che l’Eucarestia non è un’opera buona
da offrire a Dio (l’uomo riceve) e non è nemmeno un sacrificio (propiziatorio o
soddisfatorio). L’Eucarestia è invece un dono di Dio per l’uomo e non il
contrario: perciò l’Eucarestia non è un sacrificio, sebbene resti la presenza
corporale di Cristo pro nobis; ciò
che non va giù a Lutero è il fatto che l’uomo possa offrire un sacrificio a
Dio. L’Eucarestia presuppone la fede dell’uomo e ottiene la riconciliazione con
Dio con il perdono dei peccati.
Lutero si oppone alla transustanziazione, preferendo il termine consustanziazione, volendo indicare la
compresenza di due sostanze (pane-vino e carne-sangue): questo in analogia con
l’unione ipostatica, per cui la natura umana non è trasformata in quella
divina.
La volontà costitutiva di Cristo in ordine all’Eucarestia: si tratta di una
unio sacramentalis di actio (liturgica) e di usus (consumazione); quindi l’adorazione
eucaristica è idolatria, in quanto in Cristo l’intenzione è di consumarla e non
di conservarla. L’Eucarestia è actio liturgica
in quanto è ricordo della santa cena e memoria della passione: non è invece
rinnovo della santa cena e non è rendere presente l’unico sacrificio di Cristo.
In Zwingli abbiamo invece una forma di platonismo, per cui una realtà
materiale manifesta, indica, significa la vera realtà, quella spirituale; da un
punto di vista teologico, la redenzione di Cristo è unica e completa, perciò
essa non può essere ripetuta. Secondo Zwingli, i sacramento esprimono la fede,
dono dello Spirito; l’Eucarestia è un ricordo, un ringraziamento per la
redenzione già operata da Cristo, mentre nella consacrazione eucaristica
vengono “trasformati” i fedeli e non le specie. Zwingli respinge la
transustanziazione e l’ubiquità.
Calvino afferma che la cena è un dono di Dio che deve essere preso e
ricevuto con azioni di grazie; si finge che il sacrificio della messa sia un
tributo offerto a Dio, che lo riceve da noi come soddisfazione. Calvino è
intermedio tra Lutero (che afferma la presenza reale nella sua prima fase) e
Zwingli (che parla di presenza simbolica di Cristo, non nel pane): secondo
Calvino, Cristo non discende dal cielo, ma ci eleva mediante lo Spirito.
Calvino salvaguardia l’unità di Cristo: come può l’umanità di Cristo essere
presente in tutte le celebrazioni se essa è alla destra del Padre?
A tutto questo rispose il Concilio
di Trento.
Sull’Eucarestia Trento si esprime in 3 sessioni: la XIII, la XXI e la XXII;
in queste sessioni vi sono decreti e canoni: nei decreti vi è l’aspetto
dogmatico-teologico, mentre nei canoni si ridice l’aspetto teologico in forma canonica. La sessione XIII
parla della presenza reale di Cristo nell’Eucarestia come fatto e come modo; la
XXI parla della comunione; la XXII parla del valore sacrificale della Messa.
Nel cap. 1 della sessione XIII parla della presenza reale nell’Eucarestia:
dopo la consacrazione del pane e del vino, il Signore Gesù Cristo, vero Dio e
vero uomo, è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente
sotto l’apparenza delle cose sensibili; il can. 1 richiama questa definizione.
Sempre il cap. 1 continua: non vi è contraddizione tra il fatto che il Signore
risiede nei cieli e il fatto che egli sia presente in mezzo a noi con la sua
sostanza; in questo Trento si oppone a Zwingli. Il Figlio è, secondo la natura,
sempre alla destra del Padre, mentre in altri luoghi la sua è una presenza
sacramentale nella sua sostanza e non è sempre: qui Trento chiarisce molto
bene.
Nel cap. 2 si parla delle ragioni dell’istituzione: ricordo dei suoi
prodigi, onore della sua memoria, annunzio della sua morte, cibo spirituale
delle anime, antidoto per i peccati di ogni giorno e preservazione per peccati
mortali. L’Eucarestia perciò non è istituita principalmente per la remissione
dei peccati: vale per i peccati veniali, non per quelli mortali.
Al cap. 3 si parla dell’eccellenza dell’Eucarestia. Mentre gli altri
sacramenti santificano quando sono ricevuti, nell’Eucarestia è già presente la
santità dell’autore prima ancora dell’usus
del sacramento. Inoltre si chiarisce bene: per le parole il corpo è sotto la
specie del pane e il sangue sotto la specie del vino; per naturale unione e
concomitanza, il corpo è anche sotto la specie del vino, il sangue è anche
sotto la specie del pane, l’anima sotto entrambe le specie, la divinità
nell’unione ipostatica all’umanità (corpo, sangue e anima). Quindi, sotto una
specie, è contenuto tanto quanto sotto entrambe.
Al cap. 4 si parla della transustanziazione: con la consacrazione del pane
e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane/vino nella
sostanza del corpo/sangue di Cristo. Questa conversione viene chiamata in modo
conveniente transustanziazione:
Trento perciò mette in risalto il concetto di “conversione” piuttosto che
“transustanziazione”. Si afferma inoltre il fatto della transustanziazione come
presenza reale: ma non si dogmatizza la modalità,
ovvero il concetto filosofico di transustanziazione.
I successivi capitoli divengono conseguenza di tutto questo: al cap. 5 si
parla dell’adorazione eucaristica, il cap. 6 della conservazione delle specie,
il cap. 7 della preparazione adeguata, il cap. 8 dell’uso consono; questi
capitoli son conseguenza del cap. 4 (su questi capp. v. meglio le slides).
Nella sessione XXI si parla della comunione sotto entrambe le specie. Al
cap. 1 si afferma che i laici e i chierici non celebranti non sono obbligati a
comunicarsi sotto entrambe le specie: nonostante l’istituzione sia nelle due
specie, ciò non significa che i fedeli si debbano accostare ad entrambe le
specie; vi è poi il fondamento biblico giovanneo: il limite di Trento è l’uso
strumentale della Scrittura.
Il cap. 2 tratta del potere della Chiesa nell’amministrazione del
sacramento dell’Eucarestia. La Chiesa ha sempre avuto il potere di
stabilire/modificare l’amministrazione dei sacramenti; bisogna tener conto di
alcuni criteri: bisogna far salva la sostanza dei sacramenti, vi devono essere
gli elementi utili per chi li riceve, vi deve essere la venerazione dei
sacramenti, si deve tener conto delle diversità di circostanze, tempi e luoghi.
In antichità si distribuiva l’Eucarestia sotto le due specie, ma con il tempo
la Chiesa ha approvato la consuetudine di una specie sola: è la Chiesa a
decidere come e quanto cambiare a proposito di questo.
Al cap. 3 si afferma che sotto una sola specie si riceve Cristo tutto
integro e vero sacramento. Circa il frutto, nessuna grazia necessaria alla
salvezza è negata a quelli che ricevono una sola specie.
Nella sessione XXII si affronta il carattere sacrificale della Messa. Nel
cap. 1 si parla dell’istituzione del sacrificio della Messa, partendo
dall’Antica Alleanza, ovvero dall’insufficienza del sacerdozio levitico: era
necessario perciò un altro sacerdote, che conducesse a perfezione quanti
dovevano essere santificati. Anche se si sarebbe immolato una sola volta sulla
croce, poiché il suo sacerdozio non doveva estinguersi con la morte, il Signore
ha lasciato alla Chiesa un sacrificio visibile
(come esige la natura umana) con cui venisse reso presente il sacrificio
cruento, prolungandone la memoria sino alla fine del mondo e applicando la sua efficacia salvifica alla
remissione dei peccati quotidiani. Celebrata la Pasqua antica, Cristo istituì
la nuova Pasqua, cioè se stesso, che doveva essere immolato dalla Chiesa per
mezzo dei suoi sacerdoti sotto segni visibili, in memoria del suo passaggio da
questo mondo al Padre: c’è la memoria antica che diviene ora memoria del
sacrificio della croce. L’Eucarestia è offerta pura che non può essere
contaminata dall’indegnità o dalla malizia di chi la offre. L’Eucarestia è
perfezionamento e compimento di tutti i sacrifici che l’uomo offre (in tutte le
religioni, anche naturali, si offrono sacrifici: questo viene fortemente
criticato), sia quelli delle religioni naturali che quelli della Legge.
Il cap. 2 afferma che il sacrificio visibile è mezzo di espiazione per vivi
e defunti. Questo sacrificio è veramente propiziatorio e per mezzo di esso ci
accostiamo a Dio: se contriti e pentiti, possiamo ricevere misericordia (il
contriti fa riferimento qui al sacramento della Penitenza: prima
dell’Eucarestia vi è la necessità della confessione sacramentale); inoltre tale
sacrificio ci fa trovare grazia agli occhi di Dio e ci viene donato l’aiuto per
il momento opportuno. Si tratta della stessa vittima e dello stesso sacrificio:
a cambiare è solo la modalità del sacrificio (incruento e cruento). I frutti di
questa oblazione (cioè quella cruenta) vengono ricevuti in abbondanza per mezzo
di questa, incruenta; l’Eucarestia viene offerta non solo per i peccati e le
pene, ma anche per coloro che sono morti in Cristo e non sono ancora
purificati.
Il can. 1 afferma che nella ciò che si offre è un vero sacrificio; al can.
2 si parla dell’istituzione del sacerdozio, legata alle parole “Fate questo in
memoria di me”: il sacerdozio viene istituito perché i sacerdoti possano
offrire tale sacrificio. Il can. 3 afferma che il sacrificio della Messa non è
offerto solo come lode e ringraziamento né solo come commemorazione della
croce, ma è sacrificio propiziatorio, che giova non solo a chi lo riceve.
Nel Decretum super petitione si
stabilisce che la comunione sotto le due specie è affidata al papa. Pio IV
concede l’indulto del calice ad alcune diocesi tedesche (1564): ma esso non
viene accolto dai fedeli in quanto segno di distinzione confessionale, così nel
1584 Gregorio sospende l’indulto di Pio IV.
La Riforma rifiuta la prospettiva sacrificale della Messa: ciò sembra
annullare o disprezzare la morte di Cristo in croce e la sua valenza salvifica
(non bastava quella?). A questo i cattolici rispondono affermando che vi è
un’unità inseparabile tra sacrificio della croce e celebrazione della Messa: vi
è identità nell’unico offerente (Cristo) e nell’unica offerta (Cristo), ma vi è
una diversità nella modalità; vi è perciò un’unità inseparabile tra sacrificio
della croce e celebrazione della Messa. Queste sono le categorie usate da Trento,
repraesentatio, memoria, applicatio:
la Messa rende presente l’oblazione di Cristo, ne prolunga la memoria nella
celebrazione, ne applica l’efficacia salvifica fino all’eschaton. Perciò la Messa non svaluta, non moltiplica, non ripete,
non completa l’unico sacrificio della croce. L’Ultima Cena anticipa l’offerta
della croce: la Messa rende presente l’unico evento (Ultima cena e croce) senza
ripeterlo, ma attualizzandolo in forma sacramentale secondo le 3 categorie.
Passiamo ora all’epoca
post-tridentina.
I temi principali di quest’epoca sono la presenza reale e il sacrificio;
questi due temi sono elaborati come a sé stanti. Temi poco trattati invece sono
l’Eucarestia come convito e il sacerdozio dei fedeli, temi troppo messi in
risalto dai protestanti: quindi c’è poco coinvolgimento dei fedeli nella
celebrazione (l’importante vi sia la presenza reale e la presenza di un
sacerdote che celebri). Si assiste ad un grande sviluppo del culto eucaristico
fuori della Messa.
Vengono rielaborate le teorie dell’alto Medioevo. I tomisti cercano di
mettere in rilievo l’importanza della transustanziazione, mentre i gesuiti
insistono sulla adductio. Dalla
fenomenologia religiosa e dall’AT il sacrificio è visto come distruzione totale
della vittima: ma questo può essere applicato al Gesù storico sulla croce ma
non all’Eucarestia. Suarez afferma che l’Eucarestia è sacrificio in quanto vi è
la distruzione della sostanza del pane e del vino nella transustanziazione;
Franzelin parla di distruzione apparente di Cristo negli accidenti di pane e
vino; Bellarmino parla di distruzione dell’Eucarestia nella masticazione. Con
questa impostazione non si giunge a significativi risultati: dal XIX sec.,
anziché focalizzare l’attenzione sul sacrificio dalla fenomenologia religiosa e
dall’AT si precisa il significato unico dell’oblazione di Cristo. Il sacrificio
va letto in chiave cristologica (e non fenomenologico): il sacrificio è di
Cristo, è l’offerta personale, interiore, vissuta da Gesù sulla croce (il
sacrificio eucaristico attualizza il sacrificio di Cristo); il sacrificio
eucaristico è l’attualizzazione sacramentale del sacrificio di Cristo in cui
Cristo stesso è l’attualizzatore.
Il sacrificio eucaristico rende presente l’unico evento dell’Ultima Cena e
della croce: la scuola francese mette in rilievo l’aspetto dell’Ultima Cena,
mentre quella inglese quello della croce e della resurrezione (sebbene già
Suarez e, prima ancora, Duns Scoto avevano già fatto riferimento al Cristo
glorificato). Si rafforza l’idea per cui la Messa non è un sacrificio naturale
(a livello fenomenologico), ma sacramentale.
Circa la frequenza eucaristica,
dobbiamo tener conto del giansenismo e del pontificato di Pio X. Per il
giansenismo solo chi è “perfetto” può accedere alla comunione (si pensi a
Pascal e alla sua posizione): ciò comporta una drastica riduzione della
frequenza eucaristica. Il decreto Sacra
Tridentinus Synoda del 1905 si inserisce in un preciso contesto: in Belgio
vi erano delle forti dispute sulla comunione frequente; l’opinione diffusa era
quella per la quale, per accostarsi all’Eucarestia, era necessaria l’assenza di
peccato veniale. Pio X sviluppa 3 punti: 1) scopo
dell’Eucarestia (quotidiana): è la santificazione
di tutti i fedeli. L’Eucarestia non è una ricompensa per buona condotta
(limite della visione giansenista): essa invece reprime ciò che allontana da
Dio, purifica dai peccati veniali e impedisce i peccati mortali; 2) situazione storica: la pietà eucaristica
è raffreddata a causa del giansenismo, che consiglia di accostarsi raramente
all’Eucarestia; vi era inoltre una preclusione all’Eucarestia per alcuni gruppi
(coniugati) e alcuni tipi di lavoro (es. commercianti); 3) disposizioni: Pio X afferma che la comunione può essere ricevuta
invece da tutti, purché siano in stato di grazia; il peccato veniale non è
impedimento (recupero della prospettiva tridentina).
Nella polemica con i protestanti si era accentuato particolarmente il
sacerdozio ministeriale, con poco risalto dato a quello battesimale e
all’assemblea che partecipa all’Eucarestia. Il modernismo riprende le tesi
protestanti: si contesta il carattere sacrificale della Messa, la presenza
reale, il culto eucaristico fuori della Messa. Al modernismo Pio X risponde con
il decreto Lamentabili e con
l’enciclica Pascendi, in cui ribadisce
la dottrina eucaristica nell’orizzonte tomista.
Il movimento liturgico muove da istanze pastorali: i sacramenti non sono
solo mezzi oggettivi di comunicazione della grazia (aspetto statico e
oggettivante), ma sono inserimento nell’agire
personale e salvifico di Cristo. Anche la ricerca esegetica,
storico-patristica e storico-liturgica favorisce una rilettura dei sacramenti
in chiave storico-salvifica: l’Eucarestia ripresenta ed è memoriale e
attuazione del mistero pasquale da partecipare
e vivere nella fede.
Odo Casel, con la sua teologia dei misteri, afferma che la salvezza operata
da Cristo è un evento (mistero): si comunica la salvezza nel tempo, che perciò
è kairos, attraverso l’azione
cultuale dell’hodie. Per Casel il
mistero non è qualcosa di misterioso, ma l’azione salvifica di Dio nella storia
che si ripropone e viene attualizzata in ambito sacramentale. Il sacramento non
tanto “produce” grazia applicando al soggetto gli effetti della redenzione
ottenuta dalla morte di Cristo: in tal caso il soggetto è passivo, estrinseco
rispetto a Cristo; il sacramento invece rende presente il mistero di Cristo che
costituisce una relazione con il soggetto il quale partecipa all’agire di
Cristo grazie alla celebrazione sacramentale: il soggetto è attivo, relazionale
rispetto a Cristo. Grazie a queste idee di Casel, si riuscì a superare poco a
poco la separazione tra convito e sacrificio, che dominava la teologia
cattolica dal tempo di Trento: dopo Trento si mette sempre più in rilievo
l’aspetto sacrificale e meno quello conviviale.
L’enciclica Mediator Dei di Pio XII (1947) si pone sulla scia del
Tridentino, accoglie le istanze del Movimento Liturgico e prepara il Vaticano
II. Tre sono i temi principali di Mediator
Dei:
-
natura del
sacrificio eucaristico;
-
partecipazione
dei fedeli;
-
comunione
eucaristica (a conclusione si parla anche dell’adorazione eucaristica).
L’enciclica richiama le varie presenze di Cristo: nel sacrificio
dell’altare, nella persona del ministro, nelle specie eucaristiche, nei
sacramenti, nelle lodi e nelle suppliche rivolte a Dio. La liturgia è il culto che il
Redentore rende al Padre come capo della Chiesa e, allo stesso tempo, il culto che la società dei fedeli rende al
suo e, per mezzo di lui, al Padre; in breve: la liturgia è il culto del corpo mistico di Gesù Cristo,
cioè del capo e delle membra.
Il culto che la Chiesa rende a Dio ha due aspetti: 1) un aspetto esterno,
che sottolinea la dimensione sociale;
2) un aspetto interno, che sottolinea la dimensione
spirituale (più importante). Non viene accolta la teologia dei misteri di
Casel, in cui la liturgia è presenza salvifica della Pasqua nei simboli.
L’efficacia della azioni liturgiche in ordine alla grazia è duplice: 1) oggettiva = azione di Cristo nei segni;
2) soggettiva = disposizione dell’anima.
Anche la spiritualità presenta questo duplice carattere, oggettiva e
soggettiva: non bastano i segni, ma è necessaria una buona disposizione
dell’anima.
Circa la natura del sacrificio eucaristico, Pio XII riprende il Concilio di
Trento. Circa la partecipazione, si sottolinea l’importanza dell’anima (aspetto
soggettivo) e viene auspicato il parallelismo partecipativo (ciò che è
importante non è la partecipazione attiva dei fedeli, ma l’importante è che il
fedele partecipi col cuore alla stessa “disposizione” del tempo liturgico,
anche se faccio altro, recito il rosario per esempio). Circa la comunione
eucaristica, si sottolinea l’integrità del sacrificio con la sola comunione del
sacerdote: non è necessaria la comunione dei fedeli; viene ribadita l’importanza
dell’adorazione eucaristica.
In sintesi:
-
è positiva la
prospettiva unitaria del rapporto spiritualità ogettiva e soggettiva;
-
è negativa la
sottolineatura della soggettiva;
-
il rito non
coincide, ma è parallelo con la devozione;
-
si deve
assistere la Messa con comunione solo spirituale;
-
si afferma
l’adorazione eucaristica svincolata dalla celebrazione.
Giungiamo ora al Vaticano II,
che tocca l’Eucarestia in SC e in LG.
In SC si passa dal rapporto
liturgia-ministero ordinato (gerarchicamente) al rapporto liturgia-popolo di
Dio (totalità: il prete è parte del popolo di Dio): ciò comporta una maggiore
partecipazione dei fedeli all’azione liturgica. La liturgia emerge come ambito
in cui la Chiesa si manifesta quale sacramento: è mezzo efficace dell’intima
unione con Cristo a cui sono chiamati tutti gli uomini (cfr. SC 2). Rispetto a Mediator Dei, vengono riprese le varie
presenze di Cristo, esplicitando però:
-
la liturgia
come esercizio del sacerdozio di Cristo
(SC 7);
-
la prospettiva storico-salvifica (SC 5).
Viene ripresentata la partecipazione dei fedeli alla liturgia:
-
non più solo
la disposizione dell’anima, ma tutto l’uomo;
-
non solo il
singolo fedele, ma tutta la comunità;
-
non solo il
sacerdote, ma tutta l’assemblea;
-
non solo la
comunione spirituale, ma anche sacramentale;
-
non si
ascolta soprattutto il cuore, ma anche la Parola.
V. i testi di SC sulle slides.
La salvezza operata da Cristo è un evento (mistero): tale salvezza viene
comunicata nel tempo, per cui la storia è storia della salvezza, in quanto il
Figlio di Dio ha assunto tutta la storia; ciò avviene mediante l’azione
cultuale, che avviene nell’oggi: il culto è actio
sacra, actio Dei.
Fondamentale è la formula per ritus et preces (SC 48): il rito
non è inteso come ritualismo rubricale che tende a ridurre all’essenziale
valido; le preghiere non sono intese come formule magiche che tendono a ridurre
all’essenziale valido. L’azione liturgica, invece, per ritus et preces, coinvolge tutto l’uomo, che risponde
all’azione di Dio. Tale actio sacra coinvolge
tutto l’uomo: conscie (riferimento
all’intelletto), pie (riferimento
all’affetto) e actuose
(partecipazione attiva).
Circa la partecipazione attiva, già il Movimento Liturgico aveva parlato di
partecipazione attiva, nonché alcuni documenti magisteriali: Tra le sollecitudini di Pio X (1903), Miserentissimus Redemptor (1928), che
sostiene la partecipazione dei fedeli in quanto essi costituiscono un popolo
sacerdotale; anche Mediator Dei parla
di partecipazione attiva: i fedeli partecipano del sacerdozio di Cristo, per
cui partecipano all’offerta del culto eucaristico e offrono se stessi.
Ciò viene ripreso in LG 10, dove si parla del sacerdozio battesimale di tutti i fedeli, chiamati ad offrire in
sacrificio spirituale tutte le attività umane del cristiano e ad annunciare i
prodigi (dimensione missionaria del Vaticano II); il sacerdozio battesimale ha
la triplice dimensione dei tria munera:
sacerdotale, profetica e regale. Circa la dimensione sacerdotale, Cristo è il
sacerdote che ha offerto se stesso: i fedeli, partecipando al sacerdozio di
Cristo, sono chiamati a offrire se stessi, in modo che non vi sia separazione
tra vita e culto. Circa la dimensione profetica, Cristo è la profezia, la
Parola di Dio: i fedeli, partecipando della profezia di Cristo, devono offrire
se stessi e annunciare e testimoniare il Vangelo, in modo che non vi sia
separazione tra vita e missione. Circa la dimensione regale, Cristo è re
dell’umanità, del cosmo e della storia: i fedeli, partecipando della regalità
di Cristo,devono offrire se stessi vivendo da risorti nelle attività che
svolgono, in modo che non vi sia separazione tra vita e realtà terrene.
LG 11 mette in evidenza l’unione di Battesimo, Confermazione ed Eucarestia:
partecipando al sacrificio eucaristico, offrono a Dio la vittima divina e se
stessi con essa; in tal modo tutti compiono la propria parte nell’azione
liturgica. Battesimo e Confermazione sono orientati all’Eucarestia, alla quale
si partecipa offrendo la vittima divina e se stessi. Affinché poi il sacrificio
eucaristico raggiunga la sua piena efficacia pastorale anche nella forma
rituale, il Concilio stabilì diverse riforme per le messe con partecipazione di
popolo: riforma dell’Ordo missae,
maggiore ricchezza biblica, omelia, preghiera dei fedeli, lingua nazionale,
comunione sotto le due specie, unità della Messa, concelebrazione. LG 11
ricorda anche che l’Eucarestia è fons et
culmen della vita cristiana; la mensa eucaristica esprime al massimo grado
la comunione del popolo di Dio: in tal senso l’Eucarestia è sacramento dell’unità.
Se il Battesimo costituisce la porta, solo l’Eucarestia costituisce la
pienezza della vita in Cristo (UR 22).
Circa la celebrazione del sacramento,
si leggano il Missale Romanum e i
suoi praenotanda.
Circa il Magistero, è consigliabile
la lettura di Sacramentum caritatis,
che è divisa in 3 parti: 1) mistero da credere; 2) mistero da celebrare; 3)
mistero da vivere. Positivo è che i 3 aspetti (lex credendi, lex orandi, lex vivendi) siano armonicamente
trattati; negativa è la precedenza data alla lex credendi rispetto alla lex
orandi. Qui Benedetto XVI insiste molto sulla vita, affermando la necessità
di vivere bene sia prima che dopo la celebrazione eucaristica: quest’ultima non
ha un effetto magico sulla vita. La celebrazione eucaristica costituisce un
aiuto e spinge alla missione: “ite, missa
est” è l’invio appunto in missione.
Vediamo alcuni aspetti ecumenici.
Abbiamo alcune convergenze ecumeniche: in ambito cattolico abbiamo
l’affermazione della partecipazione dell’intera comunità celebrante (senza
svincolare il presbitero, isolandolo: il limite preconciliare era il fatto che
la Messa è del prete), realtà affermata anche in ambito luterano (senza
svincolare però il fedele, isolandolo dal presbitero e dalla comunità). Inoltre
in ambito cattolico abbiamo l’affermazione dell’unità tra sacrificio della
croce e sacrificio della Messa: il rischio è quello di svincolare la Messa,
finendo col pensare quasi che essa abbia effetti automatici; in ambito luterano
invece si nega la possibilità di effetti della Messa: il sacrificio della croce
si è compiuto 2000 anni fa, l’Eucarestia è solo un segno.
Circa la questione del presbitero, esso è necessario nella Chiesa
cattolica, preferibile nella Riforma. La comunione eucaristica deve esprimere
la comunione ecclesiale: perciò se non vi è comunione ecclesiale non vi può
essere comunione eucaristica (posizione cattolica). Per la Riforma è
fondamentale il rapporto con Cristo, non sono importanti le mediazioni che sono
umane: perciò è possibile la comunione anche senza unità ecclesiale. Anche per
la Chiesa cattolica è fondamentale il rapporto con Cristo: ma esso si attua
concretamente nella storia e con le mediazioni volute e stabilite da Cristo;
perciò un segno o un gesto storico deve corrispondere alla realtà oggettiva che
significa. Il rapporto con Cristo non perciò solo spirituale.
Si ha nel Vaticano II una riscoperta dell’indole escatologico della Chiesa:
viene sottolineata la dimensione pellegrinate, si assume uno sguardo teo-retico
sulla storia, si ha un’attenzione all’esperienza storica personale e si afferma
che l’unità della Chiesa sarà dono futuro di Dio.
Volendo riassumere le posizioni, l’Eucarestia è segno e causa dell’unità
della Chiesa: la posizione cattolica insiste sul segno (se non sono in
comunione il segno è falso), mentre la posizione protestante insiste sulla
causa (l’Eucarestia spinge all’unità, che però sarà solo futura).
Circa le tematiche, ne vediamo
alcune.
Circa la transustanziazione,
l’enciclica Humani generis (1950) difende
la transustanziazione: la critica a tale concetto in ambito concetto deriva dal
concetto d sostanza elaborato dalle scienze fisiche, per le quali sostanza =
insieme di atomi; il concetto di transustanziazione sarebbe antiquato, fondato
su un antiquato concetto di sostanza. Per cui, secondo questi critici, la
presenza reale nell’Eucarestia sarebbe un simbolismo: perciò le specie
consacrate sono segni efficaci della presenza di Cristo e della sua unione con
i fedeli. Queste critiche partono in ambito olandese e sono sostenute da
diversi teologi (v. slides). Vi è in questi autori:
-
il desiderio
di superare il legame tra teologia e metafisica sostanzialista;
-
la rilettura
esistenziale dei dogmi;
-
la riscoperta
del pensiero simbolico;
-
l’introduzione
in teologia delle categorie personalistiche.
Si vuole comprendere la presenza reale non per mezzo di categorie
ontologico-spaziali ma per mezzo di categorie personali: si ricerca non tanto
cosa è l’Eucarestia (lettura sostanzialista), ma a cosa serve (lettura funzionalista);
l’essere delle cose si vuole definire a partire dal loro fine o significato.
Trattandosi di simboli, con la consacrazione si ha un cambiamento di
significato, funzione e fine e non tanto di essenza. Questa visione ha aspetti
negativi:
-
la presenza
reale è compresa pertanto in un orizzonte non solo puramente
intellettuale-razionalista;
-
alla persona
viene dato un significato naturale e non estrinseca, che coinvolge la totalità
dell’uomo e non solo il suo intelletto;
-
si ha la
preoccupazione di fraintendere la transustanziazione con la trasformazione
della sostanza chimico-fisica del pane: per cui la transustanziazione è vista
come trasformazione a livello di segno (transignificazione o
transfinalizzazione).
La transustanziazione è vista come trasformazione a livello:
-
dinamico (non
statico-spaziale);
-
di
significato (non ontologico);
-
funzionale
(per noi e per la nostra salvezza);
-
per un fine
(per noi e per la nostra salvezza);
-
relazionale
(coinvolge la persona, non estrinseca);
-
personale
(esistenziale e non solo intellettuale).
Questi aspetti, portatori di un’istanza positiva, se vengono assolutizzati,
rendono inaccettabile la posizione di questi teologi.
La transustanziazione, consiste in 2 forme di trasformazione:
-
soggettiva: il singolo e la comuità, attraverso la celebrazione, conferiscono un
nuovo significato all’Eucarestia a cui il singolo e la comunità aderiscono
(viene sottovalutato l’aspetto oggetivo);
-
oggettiva: le realtà stessa subisce un cambiamento, indipendentemente dal
significato, dalla funzione, dal fine e dall’adesione stabilite dal soggetto e
dalla comunità (è questa la posizione tradizionale).
In Mysterium fidei Paolo VI
risponde a queste obiezioni, intervenendo nel dibattito sulla
transustanziazione. In questa enciclica si sottolinea il rapporto inscindibile tra presenza reale e transustanziazione:
parlare di transignificazione o transfinalizzazione è insufficiente, ma si deve
parlare anche di transustanziazione.
Vi sono alcuni errori circa l’Eucarestia:
-
insistere
sulla ragione di segno sacramentale come se il simbolismo, che tutti ammettono
nell’Eucarestia, esprimesse esaurientemente il modo della presenza di Cristo;
-
discutere sul
mistero della transustanziazione senza fare cenno alla conversione di tutta la
sostanza del pane nel corpo di Cristo, limitandosi a parlare di
transignificazione e transfinalizzazione;
-
dopo la
celebrazione cessa la presenza di Cristo.
La presenza di Cristo si dice reale
non soltanto per esclusione (le altre non sono reali), ma per antonomasia, perché è anche corporale e
sostanziale. Dopo la consacrazione, le specie del pane e del vino acquistano un
nuovo fine e un nuovo significato; ma lo acquistano in quanto contengono una
nuova realtà ontologica.
In conclusione, sulla transustanziazione:
-
necessità della
precedenza ontologica su quella funzionale: si corre il rischio di vanificare
la prima per la seconda. Il funzionale ha senso solo perché c’è l’ontologico;
-
importanza
della dimensione personale-relazionale: nell’Eucarestia si incontra qualcuno,
non qualcosa;
-
importanza
della visione unitaria tra esse
(ontologico) e esse pro nobis (fine).
Una seconda questione è quella dell’Eucarestia
come sacrificio.
La salvezza è legata al dono totale con il quale Cristo ha offerto se
stesso in tutta la sua esistenza, ma che ha il suo punto culminante sulla
croce, in cui la sua offerta è avvenuta una volta per tutte: è mediante il suo sangue che noi siamo redenti.
Attraverso il sangue di Cristo gli uomini sono giustificati, si realizza
l’unità tra Giudei e pagani e tra uomini e potenze celesti; al sangue di Cristo
gli uomini partecipano bevendo al calice eucaristico. Fondamentale è la
relazione con l’AT, dove il sangue è elemento decisivo. Alla dimensione
oggettiva della redenzione, in cui si sottolinea il dono di Dio, deve
corrispondere la risposta dell’uomo affinché la sua salvezza sia vissuta nella
vita: in tal modo, alla venuta escatologica di Cristo, potranno giungere alla
pienezza della redenzione coloro che vivono in e per Cristo.
Nel NT, specie in Paolo, si hanno diversi termini per esprimere la nozione
di redenzione: riconciliare,
rappacificare, riscattare, liberare, espiare, salvare, giustificare, etc.
Occorre correggere l’interpretazione giuridica della redenzione, secondo la
quale una sostituzione di tipo penale avrebbe dato soddisfazione a Dio per gli
oltraggi ricevuti, come se in Gesù Dio avesse voluto castigare tutti i
peccatori: sebbene in Is 53 la posizione del servo sia questa, in Cristo la
situazione è diversa. La preposizione hyper
infatti ha diversi significati:
-
in favore di
-
a causa di
-
in rapporto a
-
è da scartare
invece l’interpretazione al posto di.
La morte di Cristo è invece un atto di amore, sia da parte di Gesù che da
parte di Dio: tale prospettiva è in continuità con l’AT. Il NT (soprattutto Paolo)
preferisce descrivere il senso della morte di Cristo con la formula morire per anziché inserirsi nella
prospettiva dell’AT e leggerla in senso cultuale: in questo vi sarebbe la
differenza qualitativa tra la morte di Gesù in croce e i sacrifici espiatori;
vi è anche distanza con il mondo greco-romano, in cui è presente la formula morire per in cui indica l’accento al
soggetto. Le formule di donazione sottolineano, della morte di Gesù, non tanto
l’atto eroico, quanto la portata salvifica dell’autoconsegna o della consegna
da parte di Dio; il rito dell’espiazione non allude ad un dio irato, ma allude
al dono della riconciliazione nel perdono dei peccati.
Nei testi eucaristici si sottolinea il sacrificio personale di Cristo: la
morte di Gesù è letta alla luce di Is 53, in cui la morte del servo è espiatrice.
L’Eucarestia celebra la donazione che Gesù fa di se stesso al Padre per la
nostra salvezza: l’Eucarestia può essere vista come sacrificio. In tal senso,
sacrificare non significa dare a Dio qualcosa di nostro, per placarlo o per
avere qualcosa in cambio, ma è rispondere all’amore di Dio. L’unico sacrificio
è quello di Gesù sulla croce, mentre l’Eucarestia è sacrificio relativo che
attualizza sacramentalmente l’unico sacrificio.
C’è stata un riluttanza iniziale ad accogliere la categoria di sacrificio
per l’Eucarestia, per timore di riprendere categorie giudaiche e pagane; dal
III sec. la prospettiva del sacrificio da applicare all’Eucarestia diventa
sempre più presente: l’Eucarestia è celebrazione/memoria della morte in croce
di Cristo, unico sacrificio.
Ma l’Eucarestia è sacrificio solo di Cristo o anche dalla Chiesa? La
Riforma contesta che l’Eucarestia sia sacrificio anche della Chiesa, mentre
Trento difende questa posizione; anche il Vaticano II parla dell’Eucarestia
come sacrificio della Chiesa (LG 10-11): l’Eucarestia è il sacrificio di Cristo
offerto al Padre, nel quale però i fedeli offrono se stessi partecipando a quel
sacrificio. Concludendo, possiamo dire che il sacrificio di Cristo si attua compiendosi
nella celebrazione della Chiesa; dall’altra possiamo dire che alla Chiesa viene
offerta la reale possibilità di entrare in sintonia con il sacrificio di
Cristo, partecipando al sacrificio che Cristo fa di se stesso. La Chiesa perciò
offre il sacrificio di Cristo (sacramento) e si offre dal/nel sacrificio di
Cristo: questa partecipazione della Chiesa è una partecipazione esistenziale,
come ricordato da Benedetto XVI in Sacramentum
caritatis.
Passiamo ora a considerare la centralità
dell’Eucarestia.
Vi sono 3 motivazioni che ci portano ad affermare la centralità
dell’Eucarestia: cristologiche, antropologiche, ecclesiologiche.
Per le motivazioni cristologiche, Tommaso scrive che negli altri sacramenti
Cristo è presente con la sua grazia, mentre nell’Eucarestia è presente in
persona come salvatore; Trento afferma che l’Eucarestia non solo contiene la
santificazione, ma è presente l’autore della santificazione.
Per le motivazioni antropologiche, Tommaso afferma che l’Eucarestia è
l’alimento spirituale del credente, operando un’analogia con la vita fisica: il
Battesimo è la generazione, la Cresima è l’aumento spirituale, l’Eucarestia è
l’alimento. L’Eucarestia è inoltre sacramento della carità, che perciò viene
alimentata.
Per le motivazioni ecclesiologiche, Tommaso parla dell’Eucarestia come sacramentum unitatis et caritatis; il
Vaticano II parla dell’Eucarestia come fons
et culmen della vita e della missione della Chiesa.
Vediamo ora il tema della frequenza
della celebrazione eucaristica.
Inizialmente l’Eucarestia veniva celebrata solamente di domenica; dal IV
sec. l’Eucarestia si celebra anche al sabato, tranne a Roma e ad Alessandria;
nel IV sec. a Gerusalemme la si celebra anche il mercoledì e il venerdì.
Eusebio di Cesarea scrive che l’Eucarestia può essere quotidiana (Demonstratio evangelii) o solo la
Domenica (Commento ai Salmi). A
Roma, con papa Damaso, la celebrazione dell’Eucarestia era solo la domenica;
con papa Siricio la celebrazione diventa quotidiana, mentre con Innocenzo I
l’Eucarestia torna solo di domenica. Nella lettera 54 Agostino scrive che gli
usi cambiano a seconda della zona; sia Agostino che Girolamo ci rivelano una
prassi liturgica non uniforme.
La Regula Magistri (VI sec.;
probabilmente scritta da Benedetto) parla della comunione eucaristica quotidiana e della celebrazione eucaristica solo la domenica; nella Regola di Benedetto si elimina la
comunione quotidiana. In Gregorio Magno si parla di celebrazione eucaristica
quotidiana: almeno a partire da Gregorio Magno si è sicuri che la celebrazione
eucaristica quotidiana è presente a Roma. In epoca carolingia la celebrazione
eucaristica quotidiana passa a tutto l’Occidente (solamente nei monasteri,
però).
Dal XVIII secolo la celebrazione eucaristica diviene quotidiana in tutto
l’Occidente, parrocchie comprese; dal XX-XXI secolo vi è una difficoltà per la
celebrazione eucaristica quotidiana, a causa della mancanza di sacerdoti.
Vi è inoltre la prassi ecumenica.
Le Chiese ortodosse (parrocchie) celebrano solamente di domenica, mentre i monasteri
anche in altri giorni (o tutti i giorni). In ambito protestante, i luterani
celebrano solo di domenica, mentre i calvinisti nemmeno tutte le domeniche.
Quali soluzioni oggi?
-
frequenza
eucaristica solo domenicale con qualche eccezione nei giorni feriali: la
motivazione sarebbe ecumenica e per la carenza di sacerdoti;
-
libertà di
scelta: la motivazione è storica, dal momento che nei primi secoli la Chiesa
non ha una prassi liturgica uniforme;
-
le prassi
liturgiche originarie, in cui vi era l’Eucarestia solo di domenica, obbligano
l’Eucarestia solo di domenica: anche qui la motivazione è storica.
Contro Boselli, che ammette una pluralità di prassi, Nardin e Benedetto XVI
sottolineano l’importanza e la necessità della Eucarestia quotidiana (v.
motivazioni).
Circa il culto eucaristico, si
afferma al n. 5 del Rito che scopo
primario della conservazione dell’Eucarestia è l’amministrazione del viatico;
scopi secondari sono la distribuzione della comunione e l’adorazione del
Signore presente nel sacramento. Motivazioni teologiche dell’adorazione sono:
-
irrobustimento
della fede nella presenza reale;
-
venerazione e
adorazione delle sacre specie durante la Messa;
-
esigenza
tipicamente medievale di contemplare il Santissimo Sacramento.
Vediamo ora il rapporto tra Eucarestia
e iniziazione cristiana.
Nella patristica abbiamo visto che domina la mistagogia; Tommaso parla di
sacramenti ordinati all’Eucarestia; Trento parla dell’Eucarestia come la
sorgente da cui scaturiscono i sacramenti (fiumi). Da Trento al Vaticano II si
assiste alla perdita della visione organica dei sacramenti centrati
sull’Eucarestia e la perdita della visione organica dell’iniziazione cristiana.
Il Vaticano II riprende:
-
l’organicità
dei sacramenti;
-
la centralità
dell’Eucarestia;
-
l’iniziazione
cristiana.
Il Vaticano II riprende l’orizzonte ecclesiologico.
- IL MINISTERO ORDINATO
Partiamo da una prospettiva
fenomenologica.
Il termine sacerdote ha come etimologia il sacer-dare. In diversi contesti socio-culturali, il sacerdote si
colloca quale mediatore ufficiale tra la divinità e l’uomo e si pone nel
rapporto tra male e bene: il sacerdote vuole togliere il male e invocare il
bene. Gli ambiti propri del sacerdote sono 3:
-
cultuale: il centro della vita cultuale è l’immolazione del sacrificio, che presenta
diverse sottolineature di significato (espiatorio o propiziatorio) e di
modalità (cruento, incruento, persone, animali, etc.)
-
esorcistico: purificare ogni specie di male di cui è colpito l’individuo e la società;
-
oracolare: previsione sul futuro.
Vi è un paradosso nella rilevanza sociale del sacerdozio: talvolta la
funzione sacerdotale si allarga a quella sociale, politica, amministrativa; ma
talvolta si restringe. A livello cultuale, egli diventa un semplice cerimoniere
e a livello magico uno stregone.
Vediamo l’aspetto biblico.
Nel periodo pre-monarchico
l’azione sacrificale è compiuta anche da persone che non sono sacerdoti: il
sacrificio non è prerogativa esclusiva del sacerdote. Il sacerdote è in
relazione all’arca e al santuario (dove troviamo gli oracoli), senza però che
vi sia riferimento ai sacrifici. La funzione oracolare può essere vicina al
santuario, o anche lontano dal santuario; vi sono delle analogie con altre
realtà del Vicino Oriente. La funzione sacrificale (offerta del sacerdote) non
è esclusiva e specifica del sacerdote. La funzione oracolare non pone il
sacerdote come semplice veggente: l’oracolo è rivelazione della volontà di Dio,
in quanto è il sacerdote è in comunione con Dio (l’oracolo non è rivelazione
del futuro solamente). Mosè ha un posto fondamentale: egli è il mediatore per
eccellenza tra Dio e Israele (in tal senso egli è vero sacerdote, che ha una
funzione sacerdotale massima): per questo a Mosè si deve l’investitura
sacerdotale dei figli di Aronne.
Nel periodo monarchico il re
diviene il principale mediatore tra Dio e il popolo: egli svolge un’azione
sacerdotale riducendo tale funzione dei sacerdoti; al sacerdote rimangono
importanti funzioni:
-
consultare
Dio (funzione oracolare);
-
giudizio
sulla congruenza o meno dell’osservanza della Legge da parte del popolo
(funzione magisteriale);
-
funzione cultuale (offerta del sacrificio e
dell’incenso);
-
successivamente
si ha anche la funzione giudiziale,
in nuce in Es e Dt e diffusa soprattutto in Ez 44.
Si perde, come si vede, la funzione mediatrice.
Nel post-esilio in Israele assume
un valore rilevante la funzione cultuale:
il sacerdote ha soprattutto funzioni di ambito cultuale. Emerge il sommo
sacerdote, che è al vertice della classe sacerdotale. Scompare invece la
funzione oracolare e magisteriale: si accentua invece la sacralità del
sacerdote (solo lui è dedito all’azione cultuale) e del rito (minuziosità del
rito e purità rituale). L’esercizio del sacerdozio cultuale ha una funzione
esclusiva del sacerdote, ma si rivela anche come un esercizio comunitario del
sacerdozio (v. sotto).
Passiamo al NT.
Nel NT non vediamo il sacerdozio, ma il ministero, che si declina nei
Dodici, negli Apostoli, nei diaconi, nei presbiteri e nei vescovi.
I Dodici sono un gruppo di
discepoli chiamati da Gesù prima della Pasqua:
-
gruppo: non è un semplice insieme di persone, ma un gruppo istituito e
riconosciuto. Di questo gruppo conosciamo i nomi da elenchi diversi: si inizia
sempre con Pietro (che è il capo) e si termina sempre con Giuda (che è il
traditore); l’appartenenza al gruppo non implica la fedeltà, che è dono di Dio.;
-
di discepoli: stanno con Gesù, con il quale vi è una relazione ontologica (vite-tralci).
Non si tratta di semplici discepoli che seguono Gesù, che è fonte della
chiamata, ma Gesù li sceglie e li costituisce come gruppo;
-
chiamati: sono scelti, non si autopropongono (novità del cristianesimo);
-
da Gesù: libera iniziativa di Gesù, che è la fonte (ontologica) della chiamata.
Cfr. Mc 3: vi è dunque una fondazione ontologica, che deriva dalla preghiera,
ovvero dalla comunione con il Padre nello Spirito (orizzonte trinitario). Vi è
un atto creativo di fondazione del gruppo. I discepoli devono stare con Gesù e
partecipare alla missione di Gesù, che consiste nel predicare (conversione) e
nello scacciare i demoni (Regno): vi è la precedenza dello stare, per cui
l’atto creativo del gruppo non è funzionale alla missione (non si tratta di una
strategia), ma è la missione ad essere conseguenza dello stare con Gesù;
-
prima della Pasqua: relazione del ministero con il Gesù storico.
L’autorità del gruppo dei Dodici è prepasquale (cfr. Mc 6,6-8.12; Mc
3,12-13) e postpasquale (1Cor 15,3-5). In Mc 6 si evidenzia che il gruppo
partecipa della missione di Gesù: la loro autorità sta sulla chiamaata, sul
mandato e sul potere dato da Gesù, non sulle loro forze (non prendere il
bastone); questi gli aspetti della loro missione:
-
la loro
autorità è sopra tutto il male (presenza del Regno);
-
predicazione
della conversione;
-
missione
comunitaria: vengono mandati a due a due.
In 1Cor 15 si nota l’autorità indiscussa del gruppo dei Dodici con Pietro:
si tratta di un passo biblico fondamentale (kerygma),
in cui i Dodici sono definiti come testimoni del Risorto.
Il riferimento ai Dodici è l’attestazione della dimensione storica della salvezza:
-
le 12 tribù
costituiscono la forma storica del popolo di Dio;
-
rappresentano
Israele: si ha dunque continuità con l’AT;
-
valenza
escatologica: l’escatologia è compimento della storia (cfr. Mt 19,18).
Gli Apostoli sono i mandati da Gesù: partecipano della sua
missione (Mc 6); ma sono anche i testimoni
di Gesù: annunciano la sua resurrezione (Lc 24). Il ministero apostolico è permanente: esso rimane dopo la Pasqua,
tanto che Giuda viene anche sostituito (permanenza del gruppo); ma il ministero
apostolico è anche autorevole: vi è
una fondazione cristologico-trinitaria (cfr. Lc 10,16).
La comunità primitiva è riunita attorno all’insegnamento degli Apostoli,
nel contesto dell’unione fraterna, della frazione del pane e delle preghiere (cfr.
At 2,42).
Paolo è un Apostolo come i Dodici, in quanto è chiamato direttamente da
Cristo e da Dio (cfr. Gal 1,1); egli ha un mandato apostolico per l’annuncio
del Vangelo (cfr. Rm 1,1), con poteri dati da Cristo (cfr. Rm 1,5) e con
possibilità di agire in nome di Cristo (cfr. 2Cor 5,20: il nome ha qui valenza
biblica, perciò ha significato di presenza).
Paolo agisce con autorità, ufficialmente e pubblicamente, nelle diverse
comunità. In Ef 2 gli Apostoli vengono presentati come il fondamento della comunità. In Rm 16,7 gli apostoli sono coloro che
sono in Cristo, chiamati da lui.
Per i diaconi il testo
fondamentale è At 6: il diaconato nasce da un’istanza sociale, ovvero il
servizio alle mense; questo però permette di riflettere sull’identità dei Dodici,
che invece devono dedicarsi alla preghiera e al ministero della Parola. Ai
diaconi vengono imposte le mani, segno di benedizione e di affidamento del
ministero. Sono 7 perché 7 sono i popoli presenti in Canaan (cfr. At 13).
Il diaconato, da servizio alle mense, viene però espresso poi come
effettivo servizio alla parola: si pensi a Stefano in At 7 e Filippo in At 8;
vi è perciò uno stretto legame tra servizio alle mense e servizio alla Parola.
At però non parla di diaconi, ma dei Sette e di diakonia; diacono è usato
altre volte nel NT, in Fil e in Tt.
Le qualità dei diaconi sono elencate in 1Tm 3,8-10.12.
I presbiteri rivestono un ruolo
molto importante:
-
gli apostoli
e gli anziani (presbiteri) sono
associati nelle decisioni importanti (At 15);
-
hanno funzione
di governo (cfr. At 14);
-
vengono
chiamati vescovi (cfr. At 14);
-
vi è un
collegio di presbiteri (cfr. 1Tm 4,14);
-
ad essi
spetta la direzione (cfr. 1Tm 5,17);
-
criteri nella
scelta dei presbiteri (cfr. Tt 1,5-9);
-
necessità che
essi diano l’esempio (cfr. 1Pt 5,1-3).
Circa i vescovi:
-
essi non si
distinguono nettamente dai presbiteri;
-
hanno il
compito della sorveglianza (epi-skepto);
-
in 1Tm 3,1-7
si hanno i criteri nella scelta dei vescovi.
Vediamo ora gli ambiti e i segni del ministero nel NT.
Nel testamento del Signore in Lc
24,44-49:
-
il dato
fondamentale è la resurrezione del Signore di Cristo (vv. 44-46);
-
si ha la
descrizione del kerygma, con il
riferimento alle Scritture, alla resurrezione di Cristo, al perdono dei peccati
e all’invito alla metanoia;
-
il ministero
è affidato nel nome di Gesù, ai testimoni della resurrezione ed è per tutte le
genti;
-
gli
incaricati devono essere rivestiti di potenza (dynamis = Spirito Santo) dall’alto, che il Figlio manderà come
aveva promesso. Gli apostoli perciò devono restare a Gerusalemme per poi
partire da lì.
Vediamo l’ecclesiologia ministeriale
in Mt (capp. 14-19). In Mt 16 troviamo la professione di fede e il primato di
Pietro: il Signore sceglie la persona e stabilisce il compito in una
prospettiva di dono in cui l’orizzonte è ecclesiologico. Gesù sottolinea che
bisogna seguirlo sulla croce (forma del
ministero) e diventare piccoli. L’attenzione per il fratello che sbaglia è
dimostrata mediante la sollecitudine del pastore per la pecora smarrita e nella
correzione fraterna. I criteri per riconoscere i veri discepoli del Signore
sono:
-
i frutti,
ossia dalla loro condotta morale: il compimento si esprime nella realizzazione
dell’umanità;
-
obbedienza
alla volontà del Signore: l’umanità realizzata si compie nell’obbedienza a
Cristo
Passiamo all’imposizione delle mani.
Nell’AT essa indica:
-
espressione
di benedizione
-
comunione
sacrificale
-
trasmissione
di incarichi: quest’ultimo sarà l’elemento che guarderemo da vicino. Lo
troviamo nella trasmissione di potere da Mosè a Giosuè. Dal II sec. a.C. lo
troviamo nell’ordinazione rabbinica con l’imposizione delle mani: questo segno
sta ad indicare la continuazione del ministero di Mosè, con la trasmissione
della sapienza.
Nel NT l’imposizione delle mani è:
-
espressione
di benedizione (sinottici)
-
gesto di
guarigione (sinottici e At)
-
dono dello
Spirito a chi ha già ricevuto il Battesimo
-
assunzione di
persone con incarico pubblico e stabile: essa si esprime in una duplice
dimensione: 1) segno concomitante (At); 2) trasmissione del dono di Dio che
permette di svolgere l’incarico (Pastorali). Per segno concomitante si guardi ad At 6, in cui gli apostoli
pregano e impongono le mani sui sette; in At 13 viene conferito l’incarico a
Paolo e Barnaba; in At 14,23 Paolo e Barnaba impongono le mani. Circa la trasmissione del dono di Dio, le
Pastorali parlano di un charisma
ottenuto dal presbitero e da ravvivare (non ripetere); inoltre si esorta a non
aver fretta a imporre le mani. Attraverso l’imposizione delle mani viene
ottenuto un dono spirituale (charisma),
che è stabile e per la comunità: vi è un rito liturgico germinale con carattere
sacramentale (non è solo una cerimonia di investitura.
Vediamo ora le sofferenze presenti
nel ministero:
-
per il
Vangelo bisogna accettare ogni sofferenza;
-
rinuncia alle
richieste della propria famiglia;
-
rinuncia alle
ricchezze;
-
rinuncia alla
propria vita;
-
(rinuncia)
del sostentamento della comunità;
-
(rinuncia) al
matrimonio.
Le valenze del ministero nel NT sono 3: ministero fontale, ministero
contemporaneo, ministero post-apostolico.
Il ministero fontale è quello
dei Dodici e/o degli Apostoli: la fonte del ministero è Cristo, che però è
prolungato da quello dei Dodici e degli Apostoli. Il ministero è perciò di
derivazione apostolica: vi è un unico ministero che si articola in vari
ministeri, a seconda delle varie situazioni in cui si trovano le Chiese dove si
opera. I Dodici e gli Apostoli partecipano
(sono fondati nel ministero di Cristo, per cui vi è una continuità tra
Cristo pre e post-pasquale e per cui essi sono testimoni del Risorto) e prolungano (si espandono negli altri
ministeri, sia contemporanei che postapostolici, in quanto la Chiesa non
finisce con gli apostoli) la missione di Cristo. I Dodici e gli Apostoli hanno
autorità stabile che viene da Cristo ed è esercitata nel suo nome per 3 fini:
-
annuncio
(evangelizzazione);
-
insegnamento
(istruzione alla comunità);
-
governo
(guida della comunità).
I ministeri contemporanei al ministero dei Dodici e degli
Apostoli è quello dei collaboratori degli apostoli nell’annuncio,
nell’istruzione e nel governo: si tratta di presbiteri, episcopi, diaconi,
profeti, maestri, evangelisti, capi, etc. Appare difficile individuare
chiaramente la funzione di questi ministeri, in quanto non c’è la volontà di sistematizzarli, per 2 motivi:
-
gli apostoli
svolgono una funzione diretta;
-
vi è una
forte tensione escatologica.
Gli apostoli poi trasmettono ad
altri la loro triplice funzione: si hanno così i ministeri post-apostolici,
rivolti ad una triplice funzione:
-
parola: annuncio (evangelizzazione) e insegnamento (istruzione alla comunità);
-
sacramenti: Battesimo e frazione del pane;
-
carità pastorale: guida e modello della comunità.
La trasmissione di questi ministeri avviene anche attraverso l’imposizione delle mani, che non è solo
un segno, ma è anche un dono.
Le dimensioni del ministero nel NT sono 2:
-
la diakonia, che è denominatore comune dei
ministeri;
-
il ministero in ottica sacerdotale.
Ci soffermiamo innanzitutto sulla diakonia.
Per indicare i ministeri, il NT utilizza una terminologia varia, che
dipende dalle varie comunità. Tuttavia il denominatore comune che maggiormente
lega i compiti del NT (da Gesù ai ministeri post-apostolici) è la diakonia,
ovvero il servizio al servizio: la diakonia
infatti presenta una duplice dimensione, cristologica (il servizio) ed
ecclesiale (al servizio).
La diakonia di Cristo è fondamento e fonte su cui si innesta ogni altra diakonia cristiana, di cui Cristo è modello: la diakonia cristiana rende presente quella
di Cristo, sia nella triplice funzione (parola, sacramenti, carità pastorale)
sia nella modalità del dono totale di sé (sofferenza).
Circa la dimensione ecclesiale, nel NT non è espressa una superiorità di
dignità dei ministri rispetto agli altri battezzati, ma i ministri sono al
servizio della comunità dei battezzati. Infatti nel NT il ministero non è letto
né in chiave sacerdotale (come l’AT) né nella chiave del potere civile (come il
contesto cultuale extra-biblico). L’orizzonte diaconale del ministero lo situa
all’interno della Chiesa, al suo servizio; il ministero non si pone al di sopra
o fuori della comunità ecclesiale, ma all’interno di essa, per l’edificazione
di essa.
Vediamo ora il ministero in ottica
sacerdotale nel NT.
Il sacerdozio greco ed ebraico hanno come elemento fondamentale la mediazione tra divino (sacro) e umano
(profano). Il termine ebraico kohen
viene tradotto dalla LXX con il termine iereus,
che sottolinea l’istanza della mediazione); la LXX invece non usa mai il
termine leitourgòs, perchè ha un significato
politico e generale prima che cultuale. La relazione tra Dio e l’uomo, nell’AT,
si fonda sull’istanza della mediazione:
l’umanità è rappresentata da Israele, rappresentato a sua volta dalla tribù di
Levi, rappresentata a sua volta dalla famiglia di Aronne, rappresentata dal
sommo sacerdote, rappresentato dalla vittima sacrificale, che rappresenta il
popolo.
Nel NT non vi è alcun riferimento al sacerdozio
di Cristo, con l’eccezione di Eb:
-
Gesù infatti
appartiene alla tribù di Giuda, non a quella di Levi;
-
Gesù non ha
una missione cultuale, ma profetica;
-
Gesù critica
il formalismo sacerdotale;
-
Gesù muore in
un contesto di maledizione;
-
Gesù non
muore in un ambiente sacro, ma fuori della città santa.
Tuttavia la morte di Cristo viene letta come sacrificio. L’Ultima Cena
infatti ha un riferimento al sacrificio:
-
riferisce di
“sangue” e “alleanza”;
-
riferimento a
Es 24,6-8;
-
la morte di
Gesù coincide con l’immolazione dell’agnello (Gv);
-
Paolo parla
di Cristo come nostra Pasqua che è stato
immolato: Cristo è vittima del sacrificio ed è il compimento dei sacrifici
antichi.
La lettera agli Ebrei pone il collegamento tra Cristo vittima e Cristo
sacerdote. Pur non provenendo dalla tribù di Levi, il sacerdozio di Cristo è
conferito da Dio stesso senza mediazioni e con un inizio assoluto (v.
Melchisedek): Cristo trascende il sacerdozio e il sacrificio dell’AT. In tal
senso vi è allo stesso tempo continuità e discontinuità con l’AT:
-
continuità: sacerdozio come mediazione;
-
discontinuità: 1) la mediazione di Cristo non si realizza cultualmente (sacrificio
distinto dalla croce) ma personalmente
(sacrificio coincidente col sacerdote); 2) la mediazione di Cristo non si
realizza staccandosi dagli uomini (purificazione ascensionale), ma assimilandosi agli uomini (fino alla
croce). Gesù esprime dunque un sacerdozio come offerta di sé: in quanto vero Tempio, è il vero culto ed è pienezza
della mediazione tra Dio e l’uomo; in tal senso Cristo (Figlio) è superiore a
Mosè (servo).
Il sacerdozio di Cristo legato alla sua offerta sulla croce realizza la pienezza della mediazione, in quanto le
due dimensioni che costituiscono la mediazione vengono pienamente realizzate:
-
adesione
perfetta alla volontà del Padre;
-
solidarietà
fraterna con gli uomini fino alla morte.
Come già detto, il sacerdozio di Cristo si fonda sull’identità tra
sacerdote e vittima, che comporta:
-
la passione
di Cristo è perfetto sacrificio: la passione di Cristo non è solo un
sacrificio, ma è il solo vero sacrificio, perfettamente realizzato;
-
Cristo è vero
sacerdote: Cristo non è solo un sacerdote, ma è il solo vero sacerdote, unico
mediatore fra Dio e gli uomini;
-
viene
eliminata la separazione tra sacro (sacerdote) e profano (offerta), tra culto e
vita (in Cristo il culto è la sua vita stessa e viceversa) e tra sacerdote e
popolo (in Cristo tutti hanno libero accesso a Dio). Alla luce di questo, anche
il culto cristiano deve avere nel mistero pasquale il proprio paradigma:
l’offerta esistenziale di tutta la vita è il sacrificio cultuale (cfr. Rm
12,1-2); nonostante questo, l’elemento rituale non viene eliminato, tanto che
il NT parla di Battesimo, frazione del pane, imposizione delle mani, etc.: il
primato, però, resta all’elemento esistenziale, tanto che il NT applica la
terminologia sacrificale all’offerta esistenziale e non all’offerta rituale
dell’Eucarestia (cosa che si avrà solo a partire dalla Didaché).
Vediamo ora il sacerdozio dei fedeli.
Esso viene affermato solo con 1Pt e Ap ed è in riferimento a Es 19,6, dove si
parla di “regno di sacerdoti” (basileion
ierateuma): mentre la Bibbia ebraica parla di regno di sacerdoti (insieme
di singoli e sovranità assunta solo dai sacerdoti), la LXX parla di “organismo
sacerdotale” (corpo unico, connotazione sacerdotale estesa a tutto il popolo).
Il termine ierateuma è coniato
dalla LXX, non è usato nel greco classico. Il suffisso –euma esprime la dimensione corporativa
del termine, per cui ierateuma indica
la “comunità sacerdotale”. Inoltre la presenza di termini come popolo, stirpe, nazione conferma che
l’aspetto corporativo-comunitario è quello a cui fa maggiormente riferimento il
testo, in cui non si intende dare una dignità particolare ai singoli battezzati
in rapporto ai sacerdoti ordinati (la Riforma utilizzò questo passo per
esaltare il sacerdozio dei fedeli e screditare quello ordinato) ma si intende
esaltare la dignità della Chiesa nel suo insieme. Il sacerdozio dei fedeli non
è qualcosa che va vissuto in maniera individualistica, ma si tratta di un
sacerdozio posseduto tutti insieme in modo organico.
Circa il sacerdozio come ministero
ordinato, manca la terminologia sacerdotale per i ministri, in quanto i
ministri cristiani sono molto diversi dai sacerdoti dell’AT (incarico
ereditario, mediazione fondata soprattutto cultualmente, purità cultuale,
funzione oracolare e didattica) e dai sacerdoti pagani (incarico per elezione o
a pagamento, mediazione prevalentemente cultuale, ascesi e apatheia, funzione oracolare e didattica) e inoltre la
tematizzazione del sacerdozio di Cristo si ha solo tardi (con Eb). Il ministero
cristiano nel NT si colloca nella duplice valenza cristologico-ecclesiologica
nell’orizzonte della diakonia. Ma
anche se manca il termine, è possibile definire il ministero cristiano in una
prospettiva sacerdotale?
Dal III sec., in modo diffuso, i ministri (vescovo e presbiteri) vengono
identificati attraverso un vocabolario sacerdotale e il loro ministero
descritto come sacerdozio; dal III sec. anche l’Eucarestia viene descritta in
modo diffuso come sacrificio. Ma nel NT si parla dei ministri come sacerdoti?
Abbiamo 3 passi di riferimento:
-
Fil 2,17: l’impegno dell’Apostolo è descritto nella
metafora sacrificale: il sacrificio e l’offerta è la fede suscitata, che viene
offerta a Dio da Paolo (sacerdote);
-
Rm 1,9: l’impegno dell’Apostolo è descritto nella metafora
sacrificale: il culto è l’annuncio del Vangelo;
-
Rm 15,16: l’impegno dell’Apostolo è descritto nella
metafora sacrificale: il culto è l’annuncio del Vangelo, l’offerta sono i
pagani, la purità cultuale è dato dallo Spirito Santo.
Le categore sacerdotali del NT sono applicate solo a Cristo e al popolo dei
battezzati: il sacerdozio di Cristo è visto come offerta esistenziale (ciò vale
anche per i battezzati) e come mediazione (esclusivo di Cristo). I ministeri
nel NT sono strumenti di Cristo non delegati o rappresentanti del popolo
sacerdotale: essi manifestano la presenza attiva di Cristo mediatore nella vita
del credente. Il ministero nel NT è “sacerdotale” ossia a servizio dell’unica
mediazione di Cristo. Dunque, mentre il sacerdozio comune si esprime
nell’offerta esistenziale, il sacerdozio ministeriale esprime invece
soprattutto la manifestazione tangibile dell’unica mediazione di Cristo.
Concludendo, insieme a Castellucci, possiamo dire che nella Chiesa vi sono
alcuni che partecipano ministerialmente a quello che Gesù compie per essa. Il
ministero istituito da Gesù ed attestato nel NT è dunque quel carisma che, prolungando un aspetto della missione apostolica dei
Dodici, si specifica come servizio all’edificazione della comunità con
l’autorità e l’esempio che vengono da Gesù morto, risorto e vivente.
L’edificazione si esercita nella proclamazione autorevole della Parola di Dio,
nella guida pastorale della comunità, nel coordinamento dei carismi di ogni
battezzato e nello svolgimento di alcune funzioni liturgiche: il ministero
rende così presente l’opera salvifica di Cristo. La teologia del ministero
ordinato (come tutta la sacramentaria) sta tra la cristologia e
l’ecclesiologia.
Passiamo all’epoca patristica.
Secondo Didachè i ministeri sono
o itineranti (apostoli, profeti e maestri) o stabili (vescovi e diaconi); non
si parla invece di presbiteri. Gli apostoli sono coloro che fondano
continuamente nuove Chiese, i profeti visitano le comunità edificandole con la
Parola e l’Eucarestia, i maestri sono figure simili ma meno carismatiche dei
profeti; i vescovi e i diaconi presiedono l’Eucarestia domenicale e edificano
la comunità come i profeti. Gli apostoli, i profeti e i maestri sono i più
importanti, ma i meno descritti; vescovi e diaconi sono meno importanti, ma più
descritti. Con la Didaché abbiamo il
passaggio dall’evangelizzazione della comunità (la comunità è gestita da
ministri itineranti, preoccupati di fondare altre comunità) all’organizzazione
della comunità (gestita ora da ministri stabili). In Didaché compare l’Eucarestia come sacrificio: essa è il compimento
dei sacrifici dell’AT; il sacerdozio inizia a diventare implicito: vi è un
legame tra l’Eucarestia come sacrificio e il ministero come sacerdozio.
Nella Lettera ai Corinzi di Clemente
di Roma (96), al cap. 57, si parla di un conflitto tra
presbiteri-episcopi, che presiedono la comunità, e parte della comunità
(carismatici). Vi è perciò necessità di riportare un ordine nella comunità;
perciò egli descrive il ministero cristiano: egli inizia con il linguaggio e i concetti dell’AT, passando poi per una
fondazione trinitario-cristologica e alludendo alla continuità apostolica e
facendo riferimento all’AT:
-
iniziando il
linguaggio e i concetti dell’AT, Clemente scrive che al sacerdote sono conferiti
particolari uffici soprattutto in ambito liturgico, mentre ai laici (il termine laikòs è un’innovazione di Clemente) sono prescritti ordinamenti
laici: vi è perciò una implicita distinzione tra vescovi-presbiteri-diaconi e
laici;
-
circa la
continuità apostolica, Clemente scrive che Dio inviò Cristo, Cristo inviò gli
apostoli, gli apostoli stabilirono vescovi e diaconi, scegliendo le primizie (=
primi convertiti);
-
Clemente fa
riferimento a Es 17 e alla tradizione giudaica: Dio indicò a Mosè la tribù di
Aronne come detentrice del sacerdozio. È Dio che stabilisce chi detiene il
sacerdozio.
Al cap. 44 Clemente scrive che sono gli apostoli che stabiliscono la
presenza dei vescovi e li istituiscono, proprio per evitare conflitti. Si parla
di episcopi e presbiteri stabili,
che nemmeno il papa può rimuovere. Vi è perciò una fondazione apostolica e una
continuità e legittimità di altri illustri uomini; vi è una importante valenza
ecclesiale sottolineata da Clemente. Anche in Clemente i termini episcopi e
presbiteri sono sinonimi. Il compito di questi uomini sembra essere quello di
presidenza dell’assemblea eucaristica; ciò che è importante è che si tratta di
un posto stabilito da Dio e, perciò, incontestabile.
Confrontando Didaché e Lettera ai Corinzi:
-
vi è un
risalto dato agli apostoli da Clemente;
-
non si
menzionano profeti e maestri;
-
si
introducono i presbiteri (sinonimi o meno con i vescovi);
-
i compiti
sono la guida della comunità (soprattutto questo) e la presidenza
dell’assemblea eucaristica, mentre non si parla dell’insegnamento.
La missione è da Dio a Cristo e poi agli apostoli; in seguito la
designazione-successione passa dagli apostoli ai vescovi/diaconi e agli altri
vescovi/diaconi. Tutto questo sarà ripreso da Ireneo.
L’immagine di Chiesa in Clemente Romano è duplice:
-
gregge, che ha come caratteristica essenziale l’ordine e l’armonia e come esempio
fondante l’immagine l’armonia del cosmo;
-
esercito, che ha come caratteristica essenziale i membri con funzione diversa e
come esempio fondante l’immagine la gerarchia levitica.
I vescovi/presbiteri sono anche chiamati hegumenoi, stesso termine utilizzato da Clemente per gli ufficiali
civili: compito principale del ministero è la guida della comunità.
In Clemente vi è una cristologia “teologica” (missione: Dio manda Cristo) e
una ecclesiologia “teologica” (successione: gli apostoli mandano i
vescovi/presbiteri): la Chiesa è armonia voluta da Dio, perciò vi deve essere
armonia tra i vescovi/presbiteri e i laici. Mentre in Didaché avevamo visto una sacerdotalizzazione implicita del
ministero cristiano, in Clemente il ministero del NT viene visto in continuità
con il sacerdozio dell’AT, in quanto egli vuole insistere sul ruolo di guida
dei ministri: vi è perciò una sacerdotalizzazione esplicita del ministero cristiano.
Tuttavia, mentre il compito principale del sacerdote dell’AT era il culto,
compito principale devi vescovi/presbiteri è la guida della comunità.
Passiamo a Ignazio di Antiochia. Egli scrive 7 lettere durante il suo
viaggio verso il martirio a Roma: il genere letterario è perciò occasionale,
sistematico, ricco di immagini, per cui è difficile dare una struttura al
pensiero di Ignazio; tuttavia vi è un punto centrale: vi è una forte preoccupazione per l’unità ecclesiale.
Si parla allora di monoepiscopato (segno dell’unità del gregge), di
presbiterato collegiale, dell’Eucarestia come causa e segno dell’unità,
dell’obbedienza al vescovo come segno di unità. Appare dunque chiaramente il
modello ministeriale tripartito (vescovo/presbiteri/diaconi), sottolineando
però l’episcopato monarchico: Ignazio è la prima attestazione certa del modello
ministeriale tripartito. Il vescovo è il pastore della Chiesa locale, i
presbiteri sono i collaboratori attorno al vescovo (formano un unico
presbiterio), i diaconi svolgono un servizio al vescovo e alla comunità. Questi
tengono il posto di: Dio, Padre, Figlio, Cristo (i diaconi solo il posto di
Cristo); torna perciò la rappresentanza. I presbiteri tengono il posto degli
apostoli (collegio), mentre i diaconi non sono servi né di cibi né di bevande,
ma dei misteri di Cristo e della Chiesa.
Il vescovo, pastore della Chiesa locale, rafforza l’unità ecclesiale; fede,
culto, vita sono unitarie nella comunità. Il vescovo deve anche proteggere la
comunità da eresie, scismi, etc.
Il fatto che il vescovo e/o i presbiteri tengono il posto di Dio, Padre,
Figlio, Cristo rimanda ad una fondazione trinitaria (anche se poco
pneumatologica) del ministero. Non vi è più un mandato cristologico-apostolico
(come Clemente, per il quale Cristo mandava gli apostoli, che mandavano i
vescovi), ma una visione più mistica e meno storica (per cui il vescovo “tiene
il posto di”): in Clemente si insiste sulla successione apostolica (prospettiva
teologico-storica), in Ignazio sulla mediazione apostolica (prospettiva
teologico-mistica).
Si formano perciò, lungo il II sec., comunità con episcopato monarchico. Le
motivazioni di questo sono di due tipi:
-
teologiche:
mantenere l’unità (della fede e del culto);
-
sociologiche:
maggiore funzionalità nel gruppo (motivazione troppo risaltata dal
Castellucci).
Per Ignazio i presbiteri formano un presbiterio
(dimensione comunitaria) e sono coadiutori del e attorno al vescovo; il termine
presbyterion può essere tradotto sia
come “presbiterio” (Castellucci: si mette in rilievo la collegialità) sia come
“presbiterato” (Quacquarelli: ma una teologia del presbitero sembra
anacronistica).
Circa l’unità ecclesiale si può dire:
-
l’Eucarestia
è causa e segno dell’unità;
-
l’obbedienza
al vescovo è segno di unità: i fedeli, i diaconi e i presbiteri devono essere
sottomessi al vescovo.
Passiamo a Giustino. Nella I Apologia troviamo la prima descrizione
dettagliata della presidenza eucaristica. Il preposto (proestos) della
comunità presiede la celebrazione eucaristica; egli:
-
spiega la
dottrina (lex credendi);
-
accoglie e
consacra le oblate (lex orandi);
-
distribuisce
le offerte ai bisognosi (lex vivendi).
Il ministero in Giustino è descritto esplicitamente in ambito liturgico
(presiede la celebrazione, esorta e consacra) e in funzioni che dipendono
dall’ambito liturgico (distribuisce ai bisognosi quanto raccolto); tuttavia il
ministero non è espresso in termini sacerdotali.
Nel suo Adversus haereses (contro
gli gnostici di Occidente; in Oriente c’è Origene) Ireneo di Lione parla di una successione apostolica ininterrotta
(storica = visibile e verificabile) contro la gnosi, che aveva gerarchie
proprie fondate su rivelazioni private e segrete. Ireneo utilizza perciò la
prospettiva storica: la prospettiva mistica non poteva essere utilizzata, in
quanto utilizzata anche dagli gnostici.
Circa i diaconi, Ireneo chiama diaconi i Sette di At 6; inoltre utilizza il
verbo ordinare (assente in At) e non
fa riferimento all’imposizione delle mani. In Ireneo:
-
si allude ad
una diffusione del monoepiscopato, in opposizione allo gnosticismo;
-
non vi è
ministero con riferimento sacerdotale: vi è solo riferimento al sacerdozio
comune;
-
non vi è
ministero tripartito universalmente;
-
manca
attenzione al rito di ordinazione.
Clemente di Alessandria parla dei gradi
della Chiesa di quaggiù (vescovi, anziani e diaconi), che sono in certo modo un
riflesso della gerarchia angelica. Si ha:
-
una fusione
tra i gradi gnostici e il ministero cristiano: il ministro è colui che possiede
conoscenza e virtù al massimo grado. Ma mentre per gli gnostici il ministro è
il sacerdote-filosofo, per Clemente è colui che eredita il ministero
apostolico;
-
una
prospettiva tripartita del ministero cristiano (come in Ignazio di Antiochia);
-
un’eredità
platonica, ripresa poi dallo Pseudo-Dionigi.
In C’è salvezza per il ricco? vi è un primo accenno al rito di
ordinazione vista come “segno spirituale”.
Nella fase successiva:
-
il modello
tripartito viene generalizzato;
-
anche il
vocabolario sacerdotale viene generalizzato: in Occidente con Tertulliano e
Cipriano, in Oriente con Origene, ritualmente con la Tradizione Apostolica.
Tertulliano introduce il vocabolario sacerdotale. Il vescovo ha la facoltà di battezzare (i
presbiteri e i diaconi possono battezzare con l’autorizzazione del vescovo), di
perdonare i peccati e di presiedere l’Eucarestia. Poche invece sono le
allusioni ai presbiteri, tutte nel
contesto del Battesimo. Utilizza anche il linguaggio sacerdotale per i battezzati: come i sacerdoti nell’AT
erano unti, così i battezzati nell’unzione post-battesimale. Ormai, in
Tertulliano, l’applicazione del vocabolario sacerdotale al ministero cristiano
è ormai affermata; vi è una fondazione tipologica di questa applicazione.
Cipriano estende il vocabolario sacerdotale. La triade
diventa vescovo, sacerdoti e diaconi. Lo sfondo è l’AT: si applica al
sacerdozio cristiano ciò che era proprio del sacerdozio levita. La
preoccupazione d Cipriano era storica, ovvero l’unità della Chiesa: ecco perché
si insiste sul monoepiscopato e sull’obbedienza al vescovo. Viene inoltre
utilizzato il vocabolario dell’ordinazione, con la quale si ammette nel clero:
non ci si riferisce al rito con l’imposizione delle mani e il conferimento
della grazia.
Anche Origene estende il
vocabolario sacerdotale. Egli fa riferimento al sacerdozio comune, appartenente a tutti i cristiani, la cui
fondazione teologica è la lettura allegorica del NT; egli parla anche del sacerdozio ministeriale per i ministri
cristiani: Origene applica ad essi quanto detto dei sacerdoti dell’AT. I sacrifici
dell’AT corrispondono alla parola di Dio che i ministri cristiani insegnano
alla Chiesa (lettura allegorica); vi è anche una sacralizzazione del ministro:
egli diventa il più bravo, il più dotto, etc.
Passiamo alla Traditio Apostolica, che è un’importantissima fonte liturgica:
è il primo documento a riportare il rito di ordinazione di vescovi, presbiteri
e diaconi (solo a questi si ha la cheirotonia)
e anche di confessori, suddiaconi, vergini, lettori, etc. (verso i quali si ha
un riconoscimento pubblico di un ufficio comunitario; katastasis); inoltre la TA
riunisce le diverse linee del ministero: la tripartizione, la sacralizzazione,
la sacerdotalizzazione.
Nell’ordinazione del vescovo si ha l’imposizione delle mani di altri
vescovi, ma è un solo vescovo a pronunciare la preghiera di ordinazione. Nella
preghiera di ordinazione del vescovo si possono cogliere 3 elementi: 1) momento
fondativo
(trinitario-pneumatologico): si dice che Dio Padre ha istituito i sacerdoti
perché non mancasse il culto (nell’AT) e si invoca la potenza dello Spirito
sovrano, che il Padre ha dato al Figlio e questi agli apostoli, che stanno al
posto del tempio in quanto hanno edificato la Chiesa; 2) prescrittivo (compiti del vescovo, spesso assimilato al sommo
sacerdote): egli deve pascolare il gregge, esercitare il sacerdozio servendo
Dio giorno e notte, offrire i doni, rimettere i peccati, distribuire i compiti
secondo la volontà di Dio; 3) momento dossologico
(trinitario).
Nell’ordinazione del presbitero si ha l’imposizione delle mani del vescovo
e dei presbiteri, mentre solo il vescovo pronuncia la preghiera di ordinazione.
Anche in questa preghiera troviamo i 3 momenti precedenti: 1) momento fondativo (trinitario-pneumatologico):
Dio Padre ha istituito tramite Mosè i 70 presbiteri e si invoca lo Spiritum gratiae et consilium presbyterii
(che ha 2 traduzioni: “Spirito di grazia e di saggezza sacerdotale” o “Spirito
del consiglio del presbiterio”); 2) momento prescrittivo
(compiti del presbitero): non è presente nessun compito esplicito, ma si
riferisce solo a generico “aiuto e governo”; 3) momento dossologico (trinitario).
Nell’ordinazione del diacono si ha l’imposizione delle mani del solo
vescovo, che recita la preghiera di ordinazione. Anche questa ha 3 momenti: 1)
momento fondativo
(trinitario-pneumatologico): Dio Padre ha mandato Cristo per rivelare la sua
volontà e si invoca lo Spiritum gratiae
tuae et sollecitudinis (“Spirito della tua grazia e dello zelo”); 2)
momento prescrittivo (compiti del
diacono): egli è a diretto servizio del vescovo, soprattutto in ambito
liturgico; 3) momento dossologico
(trinitario).
In tutte le ordinazioni vi è dunque un ambito rituale e una preghiera di
ordinazione, che ha un momento fondativo (epiclesi), un momento prescrittivo
(compiti) e un lessico. Circa l’ordinazione del presbitero, vi sono due tipi di
imposizione delle mani: la cheirotonia
(che è il gesto sacramentale del vescovo, che impone le mani) e la cheirotesia (che è il gesto di comunione
con il quale i presbiteri approvano per alzata di mano).
Nella preghiera di ordinazione nel vescovo si invoca lo Spirito come pneuma heghemonikòn: quest’espressione è
già presente in Sal 50, dove indica lo Spirito di obbedienza e di generosità
con cui eseguire i comandi di Dio; in Ippolito invece indica lo spirito atto a
governare; nel presbitero si invoca lo Spirito di grazia e la saggezza del
presbiterio; nel diacono lo Spirito della grazia e dello zelo. Circa i compiti,
il vescovo ha moltissimi compiti e dettagliati, mentre quelli del presbitero e
del diacono non vengono specificati.
La celebrazione eucaristica è presieduta dal vescovo, attorniato dai
presbiteri: non è tipica del presbitero e non è nominata nella sua preghiera di
ordinazione; siamo in un contesto in cui abbiamo ancora un cristianesimo
cittadino non rurale.
Circa il lessico, il vocabolario sacerdotale è esplicito e ripetuto solo
per il vescovo, mentre il presbitero non è chiamato sacerdos. Inizia il distacco tra il clero e i laici, con questa
attenzione data al vescovo; si afferma una visione sacrale del sacerdote, visto
come creatura celeste e mediatore assoluto della grazia.
Passiamo ora a Gregorio di Nazianzo,
per il quale il ministro non è uno strumento nelle mani di Dio, ma trasmette
ciò che precedentemente ha vissuto: per il ministro vi è la necessità di essere
vicinissimo a Dio (questo fa perdere un po’ la dimensione pastorale), quasi che
egli sia un angelo.
Giovanni Crisostomo condivide la stessa linea di Gregorio di Nazianzo
e considera lo stato sacerdotale più perfetto dello stato monastico: il monaco
infatti fa ascesi per se stesso, il sacerdote è pastore per il popolo. In
questa visione sacrale del sacerdote, in cui egli è una creatura celeste ed è
mediatore assoluto della grazia, viene dato risalto al peccato che non deve
commettere, alla necessità della sua santità, alla sua condizione di essere
superiore (angelico) rispetto ai laici. Nello Pseudo-Dionigi, che parla di gradi nell’Ordine, si dà risalto ai
gradi alti dell’Ordine, mentre i gradi più bassi sono visti come passaggio; con
questo si svaluta sempre più il ruolo dei laici, dai quali ci si distacca
sempre più. La spiritualità sacerdotale “angelica” si compone di preghiera e
culto, mentre il ministero pastorale viene separato dalla spiritualità.
Girolamo osserva che nel NT non vi è differenza tra
presbiteri e vescovi: la differenza sta nel fatto che i vescovi hanno una
maggiore autorità, il che non è una disposizione divina (questa concezione andrà
avanti fino al Vaticano II); d’altronde l’Eucarestia consacrata da un vescovo o
da un presbitero sono uguale.
In Agostino i vescovi e i
presbiteri, a causa dell’unzione sacramentali, sono chiamati sacerdoti; tutti i fedeli unti del
Signore sono tutti sacerdoti, in quanto membra dell’unico Sacerdote. Vi è un
lessico sacerdotale sia per i presbiteri che per i fedeli. In Agostino non c’è
angelismo (cristiano con voi) mentre
vi è importanza per il ministero pastorale (vescovo
per voi). L’episcopato non sacralizza il vescovo (l’episcopato è un lavoro,
non una dignità); nemmeno il presbitero è sacralizzato, in quanto egli è
semplice strumento di Dio. La condizione ecclesiale (scismatico) o morale del
presbitero non influisce sulla validità dei sacramenti; in questo Agostino si
oppone a Cipriano e a Donato. La prospettiva pastorale emerge come servizio
(portare Dio agli uomini), come officium
amoris: dall’esperienza monastica Agostino comprende la funzione
ministeriale apostolica del sacerdozio; in Agostino la prospettiva pastorale si
inserisce nella communio: senza
popolo, il vescovo non può essere tale.
Gregorio Magno opera una sintesi tra Crisostomo e Agostino: il
ministro deve essere santo e deve essere a servizio. Ministro santo significa
che deve essere un ministro retto in coscienza (non carrierismo), deve avere un
comportamento esterno paziente e disponibile, deve avere una formazione
interiore (centrale è la lectio divina);
deve essere a servizio in quanto vi è un’uguaglianza di natura con i fedeli e
in quanto il Verbo entrò nel mondo (in questo senso il ministero pastorale è
superiore alla vita monastica).
Ma perché, ad un certo punto, si ha un ministero come sacerdozio? Secondo
Schillebeekx, ciò è dovuto alla svolta
costantiniana e alla nascita della Chiesa imperiale (modello civile): i ministri assumono il sacerdozio dal paganesimo,
con una forte accentuazione cultuale; il celibato è conseguenza, in quanto è
funzionale alla purità cultuale. Secondo Grelot, la derivazione è dall’AT (modello biblico): i ministri assumono il
sacerdozio dell’AT, nel quale chi presiede il culto è detto sacerdote
(inizialmente solo il vescovo). Secondo Tillard, la derivazione è cristologica
(modello teologico): Gesù è unico
sacerdote del sacrificio pasquale (Eb) e l’Ultima Cena è memoriale di quel
sacrificio; chi celebra l’Eucarestia ripresenta gesti e parole di Gesù
dell’Ultima Cena, per cui chi presiede l’Eucarestia ripresenta il sacrificio di
Cristo sulla croce, per cui viene qualificato come sacerdote. La sacerdotalizzazione
del ministero viene vista in Oriente come sacralità del ministro, mentre in
Occidente come sacralità del ministero con l’accentuazione del culto
(nonostante Agostino avesse detto che il ministero è servizio)
Perché si ha il ministero come sacramento? L’ordinazione è un sacramento?
Il sacramento è un rito liturgico di gesti e parole che produce in maniera
definitiva un effetto spirituale (carattere, grazia-carisma) in colui che viene
ordinato, il quale non è semplice delegato da parte della Chiesa, ma chiamato e
fornito da Dio dei doni necessari per il ministero. Secondo Vogel,
l’ordinazione non dà il carattere: di esso non si parla né in Oriente né in
Occidente (solo dopo Agostino se ne parla). Secondo Lecuyer e Martimort,
l’ordinazione dà il carattere, anche se:
-
manca
l’esplicita terminologia (se non a partire con Pietro Lombardo a partire dal
XII sec.): la terminologia o la statistica non determinano una teologia;
-
per i Padri
nell’imposizione delle mani si trasmette una capacità ministeriale che non
dipende dalle qualità morali o intellettuali del ministro: il ministro viene compreso
come strumento.
Tre dunque sono in definitiva i modelli patristici del ministero: sacrale
(mediazione e mistica), cultuale (sacerdote, presiede l’Eucarestia),
ministeriale (servizio).
Passiamo ora al Medioevo, in cui
si ricomprende la prospettiva patristica, con i suoi 3 modelli. Il modello
sacrale viene ripreso dalla spiritualità, quello cultuale dalla dogmatica e
quello ministeriale dalla sfera pastorale-giurisdizionale: i presbiteri si
occupano prevalentemente dell’ambito cultuale (celebrare l’Eucarestia), mentre
i vescovi si occupano della pastorale. Nel Mediovo si assiste però ad una
prevalenza dell’ambito cultuale: ma perché prevale il modello cultuale?
Vi è una separazione (già dal IV sec.) tra sacramento e giurisdizione e si
assiste ad una ruralizzazione della Chiesa (già nel VI sec.): ciò comporta che
i presbiteri non sono più nelle città con il vescovo, ma sono nelle campagne e
celebrano lì; l’Eucarestia non è più solo quella del vescovo insieme al
presbiterio. Il vescovo tende ad isolarsi nelle città. Il vescovo acquista
progressivamente un potere anche a livello civile (non più solo a livello
canonico), con l’assunzione di un potere di giurisdizione; il presbiterio
invece si frantuma nei singoli presbiteri, che si concentrano nella celebrazione
dell’Eucarestia e dei sacramenti.
Nel suo De ecclesiasticis officiis
Isidoro di Siviglia raccoglie e sistematizza l’eredità patristica, riprendendo
la tripartizione di Ignazio di Antiochia e l’affermazione di Girolamo per cui
il vescovo è uguale al presbitero. Tutto questo influenzerà il Medioevo
teologico. Per Isidoro gli ordines sono
9, di cui 3 maggiori (episcopato, presbiterato e diaconato) e 6 minori
(suddiaconato, salmistato, lettorato, esorcistato, accolitato, ostiariato): gli
ordini maggiori sono trasmessi con l’imposizione delle mani e assolvono
soprattutto la funzione cultuale; si afferma inoltre che, sebbene abbiano lo
stesso grado di sacerdozio, il presbitero è subordinato al vescovo. Gli ordini
minori sono trasmessi senza imposizione delle mani ma attraverso la traditio instrumentorum; i compiti degli
ordini minori sono di carattere cultuale. Gli ordini di grado maggiore hanno
compiti di carattere prevalentemente cultuale: il riferimento biblico non è
Cristo o Mosè, ma sono Aronne (vescovo-presbitero) e Levi (diaconato). Come
nota Castellucci, il termine ordinatio non
si riferisce ancora all’ordinazione sacramentale, ma indica il rito sacro per
mezzo del quale si entra a far parte di un determinato grado ministeriale.
Pietro Lombardo dà questa definizione di Ordine: esso è un segno, ossia qualcosa di sacro, attraverso
il quale viene trasmesso all’ordinato un potere spirituale e un compito;
gli ordini sono detti sacramenti perché nel riceverli viene conferita una
realtà sacra, cioè la grazia (ciò riguarda solo gli ordini maggiori). La
teologia dell’Ordine tende quindi verso la sacramentalità: l’Ordine non è visto
solo come un conferimento di un ruolo ecclesiale attraverso un rito liturgico,
ma è un sacramentum, ovvero un rito
sacro mediante il quale a chi lo riceve viene conferita una realtà sacra, che
ha un effetto spirituale (gratia).
Pietro Lombardo nota che l’episcopato non è un Ordine (sacramento): la
conferenza episcopale conferisce solo maggiore ampiezza giurisdizionale.
Tommaso afferma che tutti i sacramenti sono ordinati al
sacramento dell’Eucarestia: il sacramento dell’Ordine, nello specifico, è
ordinato alla consacrazione dell’Eucarestia; poiché il principale atto del
sacerdote è quello di consacrare l’Eucarestia, a imprimere il carattere
sacerdotale è la consegna del calice all’ordinando da parte del vescovo (si
afferma la traditio instrumentorum):
si afferma perciò la prospettiva cultuale del sacerdozio. Inoltre, se il
sacramento dell’Ordine è ordinato alla consacrazione dell’Eucarestia, non si
può parlare di sacramentalità dell’episcopato: il vescovo non consacra di più
rispetto ad un sacerdote. Con Tommaso si fissa la dottrina delle 2 potestates, che rimarrà sino al Vaticano
II: la potestas ordinis, che è data
dall’ordinatio sacerdotalis (data da
Dio) e che si riferisce al Corpus Christi
verum; la potestas iuridictionis,
data dalla missio canonica (data
dall’autorità ecclesiastica) e finalizzata al Corpus Christi mysticum. A partire da questa distinzione, Tommaso
afferma che il presbitero agisce rispetto al corpo eucaristico di Cristo,
mentre il vescovo agisce rispetto al corpo ecclesiale di Cristo: presbitero e
vescovo hanno unicamente una differenza di giurisdizione. Il presbitero ha
dunque la potestas ordinis sul corpo
vero di Cristo; il vescovo ha la potestas
iuridictionis sul corpo mistico di Cristo. La separazione dei due ambiti porterà a discutere se l’ordinazione
episcopale sia un vero sacramento o solo un solenne conferimento di poteri
giurisdizionali.
Volendo fare un paragone tra Ignazio di Antiochia e Tommaso, possiamo dire:
-
Ignazio (I
millennio) afferma che l’Eucarestia è al centro: essa è celebrata dal vescovo
che presiede la comunità: l’Eucarestia fonda la comunità e il vescovo è il
primo ministro dell’Eucarestia. L’episcopato è visto come il sacramento
originario dell’Ordine;
-
Tommaso (II
millennio) afferma che l’Eucarestia è al centro: essa è celebrata dal singolo
presbitero che consacra. L’Eucarestia è “indipendente” dalla comunità e diviene
una “questione privata” del presbitero. L’episcopato non viene più considerato
un sacramento.
Guardando a tutti gli ordini, Tommaso afferma che tutti gli ordini sono
ordinati all’Eucarestia: un ordine è superiore all’altro a seconda che la sua
funzione sia più o meno connessa con l’Eucarestia, vista nella sua celebrazione
liturgica. In tal modo, gli ordines
per Tommaso diventano 7: vengono meno l’episcopato (che riguarda il Corpo di
Cristo mistico, a differenza del presbiterato che riguarda il Corpo di Cristo
vero) e il salmistato, che non ha alcuna relazione con l’Eucarestia; diaconato,
suddiaconato e accolitato sono finalizzati alla distribuzione dell’Eucarestia,
mentre gli altri ordini sono riferiti a coloro che ricevono l’Eucarestia. Il
diacono infatti legge il Vangelo e distribuisce l’Eucarestia, il suddiacono
legge l’epistola e prepara i vasi per contenere l’Eucarestia, l’accolito
prepara la materia dell’Eucarestia nelle ampolle (rapporto diretto con
l’Eucarestia); l’ostiario allontana chi non può partecipare all’Eucarestia, il
lettore istruisce i catecumeni che un giorno parteciperanno all’Eucarestia,
l’esorcista allontana l’ossessione diabolica dei credenti (rapporto indiretto
con l’Eucarestia). Oggi, i ministeri non sono più visti nell’orizzonti del
sacerdozio solamente, ma si fondano sul Battesimo.
Il Concilio Lateranense IV
evidenzia che può compiere il sacramento dell’Eucarestia (in cui Cristo
sacerdote è anche vittima) unicamente il sacerdote. Qui si mette in evidenza il
legame forte tra sacerdote, sacrificio ed Eucarestia, sottolineato dal
Tridentino successivamente.
Il Concilio di Firenze afferma
che la forma dell’Eucarestia sono le parole con cui il Salvatore l’ha
consacrato: il sacerdote consacra in
persona Christi (è la prima volta che compare questa espressione).
Passiamo ora alla Riforma.
Sulla posizione di Lutero vi è una diversità di vedute tra i suoi
commentatori: secondo Fagerberg, il ministero istituito non pone differenza
rispetto ai battezzati, mentre Stein afferma che il ministero istituito pone
invece una differenza in quanto i battezzati non possono celebrare
l’Eucarestia. In un primo momento (prima del 1530) Lutero insiste sul
sacerdozio comune, mentre in un secondo momento (dopo il 1530) Lutero insiste
sul sacerdozio istituito, dove il sacerdote è però semplicemente un
coordinatore: questo cambiamento si ebbe in risposta alle tendenze anarchiche
apparse in alcune settori riformati. L’obiezione principale che Lutero pone è
il riferimento al sacrificio eucaristico: non si può infatti offrire un
sacrificio a Dio; non accettando l’Eucarestia come sacrificio, egli non accetta
nemmeno il presbitero come sacerdote. In Lutero:
-
non vi è
distinzione ontologica tra gerarchia e laici: vi è solo una distinzione di
ordine;
-
ogni
battezzato è sacerdote, vescovo e papa;
-
il ministero
ha il compito di guidare la comunità e di predicare;
-
è la comunità
stessa (e non un’autorità superiore) a stabilire chi diventa ministro ordinato;
-
l’ordinazione
non conferisce una consacrazione, ma solo il diritto di annunciare la Parola e
amministrare i sacramenti;
-
tutti i
battezzati hanno il medesimo diritto, ma per amore dell’ordine vengono delegate
solo alcune persone.
La questione che Trento doveva affrontare era questa: esiste o meno, sulla
base delle Scritture, un sacerdozio diverso da quello comune dei battezzati?
Il Concilio di Trento parlò
dell’Ordine nella sessione XXIII (1563), sia nei decreti che nei canoni.
Nel cap. 1 si parla dell’istituzione del sacerdozio nel NT: si afferma che sacrificio e sacerdozio per divina disposizione sono talmente congiunti che
entrambi sono esistiti sotto ogni legge. Poiché nel NT la Chiesa ha ricevuto il
sacrificio eucaristico, si deve confessare che esiste anche un nuovo sacerdozio
visibile ed esteriore in cui è stato trasferito l’antico: si deduce perciò il
sacerdozio del NT dal carattere sacrificale della Messa, dove si ripresenta il
sacrificio della Croce; si pone qui la fondazione cristologica del sacerdozio e
la visione del sacerdozio cultuale. Solo in un secondo tempo, invece, si fa
riferimento al NT. C’è quindi una fondazione religiosa (tutte le culture) e non
biblica del sacerdozio: è questa l’obiezione mossa a Trento da Castellucci; ad
essa si può rispondere che:
-
la sessione
XXIII sull’Ordine suppone la XXII sull’Eucarestia;
-
si suppone la
fondazione biblica dell’Eucarestia;
-
la sessione
XXIII prosegue la parte finale del cap. 1 della sessione XXII, dove si diceva
che la Legge registra la cultura, ovvero l’esigenza umana della comunione con
Dio che si cerca di realizzare con dei sacrifici.
I restanti capitoli, di stampo tomista, ribattono le posizioni della
Riforma. Nel cap. 3 si parla della sacramentalità dell’Ordine: dalla Scrittura,
dalla tradizione apostolica e dal consenso dei padri appare chiaro che mediante
la sacra ordinazione è conferita la grazia. Questo capitolo:
-
evoca il
fondamento biblico-patristico;
-
rileva
l’ordinazione in parole e in gesti (Vaticano II);
-
ribadisce il
conferimento della grazia;
-
non
sottolinea la materia e la forma;
-
non si
riferisce al rito (imposizione delle mani, consegna degli strumenti);
-
non affronta
i diversi gradi di sacramentalità (episcopato e presbiterato).
Come si vede, Trento non affronta problematiche di carattere teologico.
Nel cap. 4 si afferma che col sacramento dell’Ordine viene impresso il
carattere, che non può essere cancellato o tolto: qui si condanna la posizione
protestante, che riteneva che i ministri ordinati potessero ritornare laici.
Pur non essendo l’episcopato un sacramento, i vescovi sono superiori ai
sacerdoti. A decidere sulle ordinazioni non decidono né il solo popolo né
l’autorità: in caso contrario, non si deve riconoscere queste persone come
ministri della Chiesa. I sacerdoti dunque:
-
hanno un
potere spirituale specifico che li rende diversi dai laici;
-
hanno un
ministero non temporaneo ma permanente;
-
hanno un
ministero non solo funzionale alla predicazione e ai sacramenti;
-
non sono
costituiti dal popolo o dall’autorità civile;
-
i vescovi
sono successori degli apostoli.
I canoni sono invece più mirati rispetto ai capitoli.
Concludendo:
-
l’Ordine
Sacro è un sacramento, che conferisce la grazia e il carattere e origina il
sacerdozio (cioè celebrare l’Eucarestia);
-
l’Ordine
sacro conferisce la grazia e non ha una semplice funzione ordinatrice nella
comunità;
-
l’Ordine
Sacro conferisce il carattere, ovvero una grazia stabile e non revocabile;
-
rifiutando la
concezione dell’Eucarestia come sacrificio, Lutero nega la possibilità di un
sacerdozio.
Mentre Lutero esalta e assolutizza il sacerdozio battesimale negando quello
ordinato, da Trento al XX sec. il sacerdozio battesimale viene minimizzato e
viene esaltato il sacerdozio ordinato. Nell’ambito della terminologia
cattolica, si parla anche di sacerdozio battesimale, ma è visto in senso
metaforico. Mentre Lutero esalta e assolutizza la predicazione negando
l’aspetto sacramentale, da Trento al XX sec. si minimizza la predicazione e si
esalta l’aspetto sacramentale: viene esaltato il modello cultuale. La figura
pastorale del presbitero viene delineata nei Decreta super reformatione: la figura del sacerdote che si delinea
pone al primo posto la celebrazione del sacrificio eucaristico per la comunità;
seguono gli altri obblighi: la predicazione (a cui si accenna solo),
l’amministrazione dei sacramenti, il buon esempio, l’assistenza ai bisognosi.
L’apporto di Trento è dunque ricco ed apprezzabile, ma contiene un limite:
non armonizza il ministero cultuale (assolutizzato) con il ministero pastorale
(sebbene già prima di Trento il ministero cultuale era fortemente accentuato).
Trattando del ministero cultuale nella parte dogmatica e quello pastorale nella
parte giuridica, il concilio mantiene la dicotomia che giungerà fino al
Vaticano II, a vedere nell’impegno apostolico del presbitero e del vescovo un
elemento accanto alla spiritualità,
se non addirittura un’insidia per la sua vita interiore (modello sacrale di
Crisostomo).
Il Catechismo tridentino riprende
il Concilio e Tommaso; si parla di sacerdozio battesimale definendolo
“interiore”: esso viene considerato positivamente. Il sacerdozio ordinato viene
chiamato esterno: esso viene presentato nella visione sacrale che vede il
sacerdote come intermediario di Dio, angelo; nella visione cultuale che
sottolinea la continuità tra sacerdozio naturale, sacerdozio dell’AT e del NT
(offerta del sacrificio ora più grande); la materia dell’ordinazione viene
vista nella traditio instrumentorum.
Passiamo ora al periodo fra Trento e
il Vaticano II.
La dimensione sacrale, connessa alla spiritualità, è prerogativa dei
religiosi; la dimensione cultuale, connessa alla dogmatica, è prerogativa dei
presbiteri; la dimensione ministeriale, connessa alla pastorale, è prerogativa
dei vescovi. La pastorale ha due aspetti: giurisdizionale (vescovi) e
spirituale (religiosi). Nascono i seminari diocesani, dove più importante è la
formazione riferita al culto, mentre la predicazione e la pastorale vengono
dopo.
Vi è l’accentuazione della dimensione cristologica fondata sul carattere,
che configura a Cristo: se sono configurato a Cristo non devo entrare
nell’ambito pastorale (questo il ragionamento). Il carattere offre una
configurazione ontologica (partecipazione al sacerdozio di Cristo) e
ministeriale (il sacerdote come alter
Christus); tutto questo sempre nella prospettiva sacrale. Il sacerdote, in
questa prospettiva, è associato all’incarnazione di Cristo fino all’immolazione
di sé; manca però il riferimento storico alla comunità (il presbitero si
santifica non insieme alla comunità, ma è lui a donare la sua santità alla
comunità) e vi è un riferimento solipsistico del rapporto con Dio.
La partecipazione al sacerdozio di Cristo è riferita unicamente al
sacerdote ordinato, in quanto quest’ultimo offre il sacrificio eucaristico. Il
sacerdote, in chiave cultuale, rappresenta Cristo davanti alla Chiesa
(rappresentare significa non essere uguali a colui che si rappresenta), mentre,
in chiave sacrale, il sacerdote ripresenta Cristo davanti alla Chiesa
(ripresentare è invece molto di più di rappresentare: il sacerdote è in qualche
modo Cristo): in entrambi questi ambiti siamo sempre nell’orizzonte ontologico.
Il card. Mercier, che ha avuto un grosso influsso nel XX sec., parla della
santità del sacerdote consacrato in funzione pastorale e non contemplativa:
l’orizzonte pastorale non è superfluo, ma è legato alla vocazione del
presbitero. La configurazione a Cristo in ottica ministeriale è ontologica
secondo la prospettiva classica, pastorale secondo Mercier.
Nel Catechismo di Pio X (1905)
troviamo la prospettiva cultuale-sacrale; vi è una doppia istituzione e una
doppia potestà: l’Ultima Cena dà la potestà sul Corpus Christi verum, la missione pasquale dà la potestà sul Corpus Christi mysticum.
A ridosso del Vaticano II si afferma una teologia dell’episcopato, che è
frutto del movimento biblico e patristico: si riscopre la collegialità nel NT
(Pietro e i Dodici) e nei primi secoli (papa e vescovi); si riscopre anche il
ministero (gerarchia) come diakonia
(Congar). Il movimento patristico riscopre l’importanza della Chiesa locale e del vescovo, affiancato
da un presbiterio: la Chiesa locale è la Chiesa universale attuata nello spazio
e nel tempo dall’Eucarestia quando è presieduta dal vescovo (Congar, Rahner;
questa prospettiva è poi ripresa in SC). Il movimento liturgico riscopre
l’episcopato come pienezza dell’Ordine: nella Traditio apostolica l’episcopato viene definito come “sommo
sacerdozio”. Abbiamo anche una teologia del presbiterato e del diaconato, che
ripresenta la prospettiva tomista e tridentina, al cui centro è l’Eucarestia;
anche il diaconato è in funzione dell’Eucarestia, non del sacerdozio
(Castellucci). Vi è anche una teologia del laicato (Congar): si parla delle 3 potestates di Cristo partecipate ai
sacerdoti e ai laici; si supera la dicotomia tra clero nella Chiesa e laicato
nel mondo: questa separazione è indebita, secondo Congar.
Nella costituzione apostolica Sacramentum
ordinis (1947), Pio XII afferma che la materia del sacramento dell’Ordine è
l’imposizione delle mani (non la traditio
instrumentorum) e definisce la forma dell’ordinazione episcopale.
Passiamo al Vaticano II. Con
esso abbiamo un’ecclesiologia trinitario-missionaria e sacramentaria (il
ministero non è solo cultuale, statico, in quanto l’orizzonte è missionario; LG
1); inoltre l’episcopato viene visto come pienezza dell’Ordine (LG 21).
Importante è il cambiamento di esemplare del ministro ordinato. Prima del
Vaticano II l’esemplare è il presbitero, in funzione dell’Eucarestia: guardando
al presbitero si comprende cosa è il ministero ordinato; con il Vaticano II il
modello diviene il vescovo, che svolge il ruolo di annuncio, culto e guida. Il
ministro ordinato, per il Vaticano II, è il vescovo, il presbitero e il
diacono.
LG 18-27 dà il fondamento teologico all’episcopato, mentre CD ripresenta
giuridicamente e pastoralmente il ministero episcopale. Circa LG 18-27, questa
la struttura (cfr. dispense). Il n. 21 è molto importante, in quanto parla
della sacramentalità dell’episcopato: l’ecclesiologia eucaristica (SC 41) fonda
la sacramentalità dell’episcopato, la quale fonda il munus sanctificandi episcopale. SC 41 presenta un’ecclesiologia eucaristica (la Chiesa locale è
quella che celebra l’Eucarestia presieduta dal vescovo) e mette in evidenza
questi aspetti:
-
il ministero
del vescovo non è solo di giurisdizione;
-
la Chiesa
locale ha un suo valore ontologico.
LG 21 presente la sacramentalità dell’episcopato: il
Vaticano II riprende Trento, ma sostituendo il vescovo al presbitero. La
sacramentalità dell’episcopato dà al vescovo gli uffici di santificare,
insegnare e governare, a patto che il vescovo sia in comunione col papa e con
il collegio episcopale. Si parla inoltre di carattere che viene impresso con la
consacrazione episcopale.
Il vescovo non ha autorità vicaria, ma diretta: egli tiene il posto di
Cristo (non del papa) e agisce in sua vece. Ma in tal modo non si ha la frantumazione
della Chiesa in tante Chiese locali? La collegialità fa salva l’unità della
Chiesa, intesa come comunione col papa e con tutti gli altri vescovi: vi è la communio locale, che è eucaristica (SC
41), e una communio catholica.
L’Ordine viene allora ricompreso: il presbitero aveva la potestas di consacrare (visione
preconciliare); ora il ministero, la cui figura esemplare è il vescovo, ha il munus (non potestas) di insegnare, santificare, governare. Trento parlava di 2
potestates (ordinis-culto e iurisdictionis-annuncio
e guida); per il Vaticano II vi è un’unica fonte data dall’ordinazione
(carattere) che si esprime nei 3 munera,
il cui esercizio è dato dalla missio
canonica, trasformandoli in potestas.
Senza missio canonica il munus resta tale: l’annuncio è invalido,
il culto illecito, la guida invalida.
La Nota esplicativa previa
chiarisce che l’ordinazione dà il carattere e questo porta il munus: mentre la potestas si può esercitare subito con l’ordinazione, il munus invece ha bisogno che l’autorità
(il vescovo) allarghi la giurisdizione per esercitare il munus. Per comunione non si deve intendere un vago sentimento, ma
una realtà organica, che richiede una forma giuridica e che è allo stesso tempo
animata dalla carità.
Il ministero episcopale (LG 24) è un ministero caratterizzato dalla
missione, dall’insegnamento, dalla testimonianza e dal servizio; il triplice munus è quello di insegnare,
santificare, governare (LG 25-27). In LG 24 l’episcopato viene visto come
servizio; inoltre esso gode del triplice munus
di insegnare, santificare governare (cfr. LG 25-27). LG 25 afferma che il munus
docendi comprende il predicare e l’annunciare: qui il munus docendi viene fondato sul Concilio di Trento, ma l’orizzonte
è cristologico-pneumatologico; inoltre Lg 25 è fondato sacramentalmente su LG
21.24. Il Magistero papale è colto all’interno della collegialità dei vescovi
(LG 25) e nell’orizzonte dell’infallibilità della Chiesa (LG 12).
LG 26 sottolinea il rapporto Chiesa locale-Eucarestia.
La salvezza è legata all’Eucarestia e alla Chiesa: vi è un forte legame tra lex orandi (Eucarestia simbolo di
carità) e lex vivendi (communio come unità del corpo mistico).
LG 27 parla del munus
di governare: il vescovo non è delegato del papa, ma la sua autorità viene
da Cristo; tale autorità è però servizio finalizzato all’edificazione del
gregge. Vi è implicito un riferimento al triplice munus, con il riferimento all’edificare, alla verità e alla
santità. Inoltre LG 27 riferisce ai vescovi parte di quanto era stato detto del
Vaticano I sul papa.
L’episcopato è dunque colto nella successione apostolica e si parla della
sua sacramentalità e collegialità. Quale allora la natura del ministero
ordinato e del presbiterato? Del presbiterato si parla in LG 28 e in PO.
LG 28 e PO 2
mette in evidenza alcune “catene” di successione: LG 28 presenta una fondazione
cristologica del ministero, finalizzato alla missione (del sacerdozio
battesimale se ne è già parlato di LG 10-11); PO 2 parte da un orizzonte
ecclesiale con riferimento al sacerdozio battesimale e poi termina con la
stessa prospettiva di LG 28: dunque PO 2 mette insieme LG 10-11 e LG 28. Sempre
in LG 28 il triplice munus, del quale
si era parlato per i vescovi, viene applicato al presbitero e si fonda sulla
consacrazione (su un dato ontologico, perciò). Infine, sempre in LG 28, il
ministero presbiterale è visto in relazione alla mediazione di Cristo, che
fonda l’annuncio; la celebrazione dell’Eucarestia viene vista come culmen (SC) e avviene in persona Christi; vi è anche una dimensione
contemplativa propria del capo e del pastore.
PO chiarisce la gerarchia del triplice munus:
PO 4 parla del munus di insegnare, PO
5 del munus di santificare, PO 6 del munus di governare. Vi è una diversità
di priorità a seconda della prospettiva. I tria
munera non sono 3 compiti giustapposti, ma 3 prospettive dell’unico
ministero fondato nel sacramento dell’Ordine. La fondazione del Vaticano II è
sempre ontologica e non giuridica, sebbene la missio canonica resti un elemento fondamentale per l’esercizio
della potestà: tuttavia tale esercizio non è altro che l’espressione di quel
“potenziale” ontologico che si è ricevuto. Circa la gerarchia fra i tria munera, Castellucci nota che il
ministero della predicazione è il primo nell’ambito logico dell’esecuzione, il
ministero sacramentale è il primo in ambito ontologico o qualitativo del
compimento, il ministero pastorale è il primo nell’ambito quantitativo
dell’estensione: tutti i tria munera
sono primi, a seconda del punto di vista. I tria
munera si richiamano l’uno con l’altro e sono fra loro legati.
In PO si parla per 118 volte di presbite-presbyteri,
mentre solo 21 volte si parla di sacerdos:
già questa statistica è significativa; parlando di presbiteri al plurale, si
vede come il presbitero viene visto all’interno e in relazione con il
presbiterio.
Circa il presbyterion, abbiamo
due linee interpretative:
-
come presbiterio (Ignazio di Antiochia):
presente già nella riflessione antichissa;
-
come presbiterato, cioè la riflessione
teologica precisa sull’identità del presbitero, che viene in un secondo momento
(da Cipriano al Vaticano II).
LG 29 parla del diaconato. Anche per il diaconato si fa
implicitamente riferimento al triplice munus.
LG 29 allude anche al ristabilimento del diaconato permanente.
In sintesi, il Vaticano II:
-
ritorna alle
fonti bibliche, patristiche, liturgiche;
-
pone un
orizzonte diaconale parlando dell’Ordine;
-
si riferisce
costantemente al triplice munus;
-
recupera
fortemente la dimensione ecclesiologica.
Passiamo ora a parlare della celebrazione
del sacramento. Del rito dell’Ordinazione abbiamo 2 edizioni, una del 1968
e una del 1989 (quest’ultima con alcune modifiche): mentre la prima edizione
sottolineava forse l’aspetto liturgico, la seconda fa riferimento alla
dimensione cristologico-pneumatologico ed inoltre si fa riferimento non solo al
culto, ma anche alla dimensione di reggere il popolo. La preghiera dopo la
comunione fa anch’essa riferimento al triplice munus.
Circa il Magistero postconciliare,
nel 1971 si celebra un Sinodo dei Vescovi sul sacerdozio ministeriale, mentre
nel 1990 si celebra un Sinodo sulla formazione dei sacerdoti; inoltre abbiamo
le due edizioni del rito di Ordinazione, alcuni documenti della CEI, il CIC e
il CCC.
Il Sinodo dei Vescovi fu tenuto in un preciso contesto storico. Il Simposio
dei Vescovi Europei a Coira aveva messo in evidenza la crisi di identità del
presbitero; similmente vi era stato un documento dei vescovi di lingua tedesca,
che aveva affermato che il triplice munus
unifica le diverse funzioni del presbitero e legge il ministero del
presbiterale alla luce di ciascun munus;
vi era stato inoltre un documento della CTI, in cui si parte non dalla
Scrittura, ma sull’analisi della situazione, che vede una crisi del presbitero.
Il Sinodo riprende questi 3 documenti e risponde alla crisi di identità del
presbitero: il documento della CTI costituì l’instrumentum laboris, mentre il documento finale del Sinodo
sottolinea la dimensione cristologica.
Si deve parlare di sacerdozio ministeriale o ministero sacerdotale? Molto
importanti sono 2 testi di Congar: Teologia
del laicato e Ministeri e comunione
ecclesiale. In una assemblea di vescovi francesi a Lourdes (1973) si parla
di una Chiesa tutta ministeriale: tutta la Chiesa è sacramento di salvezza, ma
non tutti devono essere ministri: dunque il riferimento al Battesimo è utile
per definire il presbitero?
Secondo Congar parlare di ministero sacerdotale è preferibile al parlare di
sacerdozio ministeriale: il sacerdote è ministro del vero sacerdote
(sacerdotale) in favore di un popolo sacerdotale. Il sacerdozio battesimale, la
rivalutazione del laicato, l’universale chiamata alla santità preparano la
riscoperta del ministero laico istituito: ciò porta a Ministeria quaedam.
Secondo mons. Carli, vescovo di Gaeta, è meglio parlare di sacerdozio
ministeriale, in quanto ciò significa parlare della natura del presbitero,
mentre parlare di ministero sacerdotale significa parlare dell’esercizio del
presbitero.
Marsili si sofferma sulle diciture sacerdote
e presbitero: sacerdote si riferisce
al culto, presbitero alla pastorale.
I vescovi italiani preferiscono la parola pastore.
Il CCC parla del sacerdozio dell’AT, che decade con Cristo: nella liturgia
le figure dell’AT prefigurano il ministero ordinato della Nuova Alleanza. Vi è
una continuità esegetica reale tra AT e NT, vi è una superiorità ontologica del
NT, ma allo stesso tempo vi è una continuità liturgica tra immagini dell’AT e
NT (tipologia). Il CCC parla del sacerdozio ministeriale come a servizio del
sacerdozio battesimale.
Il Sinodo dei Vescovi del 1990 e la PDV, che è il primo documento a parlare
di formazione permanente dei
sacerdoti. Nel n.3 si afferma chiaramente che oggetto della questione non è più
l’identità del ministero sacerdotale, ma gli aspetti concreti della vita dei
sacerdoti (qualità di vita). La fondazione cristologica era già stata vista
nel Sinodo del 1970. Il n. 12 afferma che ogni identità cristiana, compresa
quella del sacerdote e del suo ministero, è all’interno del mistero della
Chiesa. Sempre il n. 12 afferma che il riferimento alla Chiesa è necessario
(riferimento ecclesiologico si ha a partire dal Vaticano II) nella definizione
dell’identità del presbitero, in quanto la Chiesa è essenzialmente relativa a
Gesù Cristo. Il n. 16 afferma che il presbitero è servitore della Chiesa mistero in quanto attua i segni
ecclesiali e sacramentali della presenza di Cristo Risorto; è servitore della Chiesa comunione perché costruisce
l’unità della comunità ecclesiale; è infine servitore della Chiesa missione, perché rende la
comunità annunciatrice e testimone del Vangelo. Abbiamo dunque una fondazione
cristologica nell’orizzonte ecclesiologico.
Il n. 22 dice che il sacerdote è chiamato ad essere immagine viva di Gesù
Cristo Sposo della Chiesa: egli deve rivivere l’amore di Cristo sposo nei
riguardi della Chiesa. Al n. 23, parlando di Cristo capo e pastore, il
documento sembra già dimenticare la dimensione sponsale; la carità pastorale è
partecipazione della stessa carità pastorale di Gesù Cristo: essa fonda la
spiritualità sacerdotale. La carità pastorale è il dono di sé, il totale dono
di sé alla Chiesa, ad immagine e in condivisione con il dono di Cristo. Questa
carità pastorale costituisce il principio interiore e dinamico capace di
unificare le molteplici attività del sacerdote: essa deve unificare la vita
interiore e le tante azioni; solo la concentrazione di ogni istante e di ogni
gesto attorno alla scelta fondamentale e qualificante di “dare la vita per il
gregge” può garantire questa unità vitale. Lo Spirito Santo è fonte di santità
e appello alla santificazione, non solo perché configura il sacerdote a Cristo
capo e pastore, ma anche perché anima e vivifica la sua esistenza quotidiana.
Il n. 31 ricorda la Chiesa particolare come valore spirituale del presbitero:
questo non è un fatto unicamente organizzativo, ma vi è un valore
ecclesiologico; l’incardinazione non si esaurisce in un vincolo puramente
giuridico, ma comporta anche una serie di atteggiamenti e scelte spirituali e
pastorali che conferiscono una fisionomia specifica alla figura vocazionale del
presbitero.
In sintesi, in PDV troviamo:
-
importanza
della formazione iniziale e permanente nella prospettiva fondativa e
spirituale;
-
fondazione
cristologica nell’orizzonte ecclesiologico;
-
la carità pastorale
fonda la spiritualità sacerdotale (in un orizzonte cristologico in chiave
agapico-sponsale);
-
l’Ordine è
fonte di santità nell’esercizio del triplice munus;
-
la Chiesa
locale fonda la dimensione storica della spiritualità sacerdotale.
Passiamo a parlare del diaconato.
Fondamentale è il documento di Paolo VI Sacrum
diaconatum ordinem (1967): si parla dell’instaurazione del diaconato
permanente, del carattere (dal quale deriva la sacramentalità del diaconato),
mentre LG 29 era stato più sobrio. Altro documento è Ad Pascendum di Paolo VI (1972), in cui si richiama l’obbligo del
celibato e il diaconato permanente come ordine intermedio tra gerarchia
superiore e il resto del popolo di Dio. Interessante è anche il documento della
CTI, IL diaconato: evoluzione e
prospettive (2003): questo documento parla delle diaconesse. Esse non
compiono nulla di ciò che fanno i presbiteri e i diaconi, ma vigila le porte e
assiste i presbiteri in occasione del Battesimo delle donne, per ragioni di
decenza. La diaconessa non avrà accesso né all’altare né ad alcun ministero
liturgico: tale ministero non era inteso come il semplice equivalente femminile
del diaconato maschile. Di conseguenza le diaconesse devono essere considerate
laiche sul piano storico. Dunque il motivo storico non può fondare un eventuale
diaconato femminile; il documento, però, non esclude la possibilità futura che
si possa estendere il diaconato alle donne: ma ciò non può avvenire per il
motivo storico; in ogni caso decisivo è l’intervento dell’autorità ecclesiastica.
LG 29 afferma che i diaconi stanno ad un grado inferiore della gerarchia,
ai quali sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il servizio. Tale
diaconia si esprime nella liturgia, nella predicazione e nella carità.
Nel CJC del 1983, ai cann. 1008-1009, si lasciava intendere che il
diaconato si esercita nella persona di Cristo capo: non vi sarebbe più nessuna
differenza tra vescovo, presbitero e diacono. Il CCC del 1992, al n. 1581,
presentava lo stesso problema; il CCC del 1998 ritorna invece ad ispirarsi a LG
29: solo il vescovo e il presbitero agiscono nella persona di Cristo capo. Nel
2009 è stato adeguato anche il CJC, modificando i can. 1008-1009.
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