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Friday, March 7, 2014

TEOLOGIA PASTORALE

TEOLOGIA PASTORALE

INTRODUZIONE

L’indagine del 1999 mostra come il 30% degli italiani partecipa a Messa ogni domenica; quando si chiede ai sacerdoti, la percentuale che essi ritengono partecipi a Messa è il 20%: come mai questa discrepanza?
Altro fenomeno che mette in evidenza l’indagine è questo: la gente ritiene di avere una buona preparazione religiosa, ma non legge; stesso fenomeno è presente anche tra i sacerdoti.

Perché abbiamo bisogno di una teologia pastorale? Perché la Chiesa, nel corso della storia, è destinata a cambiare. GS 44: la Chiesa non è solo docente, ma anche discente, proprio in virtù del fatto che essa è anche organismo sociale (cfr. LG 8). È dovere di tutto il popolo di Dio, e in particolare dei pastori e dei teologi, ascoltare, discernere e interpretare (che poi è il titolo del corso). Ma se la Chiesa deve imparare ciò significa che essa non è perfetta in virtù della sua origine divina; ma i Padri conciliari subito chiariscono: la Chiesa ha la sua identità e la sua perfezione fin dall’inizio, ma poiché noi siamo storici, a noi serve conoscere sempre meglio tale identità.

Come si svolge il discernimento della teologia pastorale? Si svolge in 3 fasi:

-        momento dell’ascolto: non posso discernere senza ascoltare;
-        momento di strutturazione del giudizio;
-        momento dell’immaginazione: il mondo oggi si serve di immagini per comunicare idee. Perciò anche noi abbiamo bisogno di immaginazione, di metafore: tuttavia il rischio è di trasformare queste immagini e metafore in progetto politico. L’immaginazione deve rimanere come qualcosa che orienta.

La teologia pastorale nasce nel 1774 quando, in seguito alla soppressione della Compagnia di Gesù, bisogna riorganizzare gli studi teologici per i futuri sacerdoti. Viene immaginata una serie di lezioni che deve preparare il sacerdote a vivere i suoi doveri di pastore; nel corso del tempo queste lezioni si struttureranno in un corso di teologia pastorale.
Altro momento storico è la Mission de France. Largo spazio sarà dedicato anche al Concilio, soprattutto al pensiero di Karl Rahner.


  1. QUESTIONI INIZIALI

1.1  La questione del nome

Quando la disciplina nasce, nel 1774, nasce in ambito cattolico: il fondatore, Stefan Rautenstrauch, la pensa come teologia pastorale. Nello stesso periodo l’imperatrice Maria Teresa aveva bisogno di riorganizzare gli studi teologici: la grande intuizione che l’imperatrice ha è quello di utilizzare il reticolo parrocchiale come sostegno per il suo enorme impero. Maria Teresa inviterà Schleiermacher a riorganizzare gli studi teologici anche in ambito protestante ed egli opererà la seguente tripartizione: 1) teologia storica; 2) teologia sistematica; 3) teologia pratica: essa aveva però come suo oggetto la morale individuale del cristiano, dal momento che l’ecclesiologia protestante è totalmente diversa dalla nostra. Perciò in ambito cattolico si parlava di teologia pastorale, mentre in ambito protestante si parlava di teologia pratica.
Il 1968 porta una critica molto forte all’interno della Chiesa e nel suo funzionamento istituzionale. Nel 1974, in occasione di un convegno di pastoralisti per il bicentenario della fondazione della disciplina, si utilizza la nomenclatura teologia pratica. Questo cambiamento è significativo: ci si vuole distaccare da una disciplina asservita al potere e si tende ad una disciplina che sia critica nella vita della Chiesa. Si vuole staccare la disciplina dal semplice studio dei doveri del pastore e la si vuole ancorare allo studio della vita della Chiesa più in generale. Ma il problema è che la teologia pratica di quel periodo è che essa è molto critica, perciò essa tende sempre più a staccarsi dalla vita della Chiesa (come è accaduto in Germania); ecco perché oggi, soprattutto in ambito anglosassone, si è tornata alla dicitura teologia pastorale.
Il nome dunque non è così indifferente.

1.2  La questione del metodo

Da quando è nata, la teologia pastorale ha utilizzato il metodo “vedere-giudicare-agire”. Ma questo metodo, criticato da Lanza, viene ancora ritenuto e, per esempio, è stato adottato dalla Conferenza Episcopale Latinoamericana nel documento di Aparecida.
Nascendo nel contesto illuminista, il confronto con la sociologia e le scienze sociali è d’obbligo.
Il metodo, introdotto come metodo personale di revisione di vita dalla Mission de France, diviene poi un vero e proprio metodo scientifico. In Mater et magistra è lo stesso Giovanni XXIII a sponsorizzare questo metodo per leggere la vita della Chiesa; il metodo viene anche assunto da GS come metodo di discernimento con cui leggere la vita della Chiesa. Tale metodo viene poi assunto anche da non poche Conferenze Episcopali in tutto il mondo.
Ma in questo metodo Lanza vede un rischio:

-        quello di un oggettivismo: non si può separare il vedere dal giudicare;
-        questo metodo si sviluppa negli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso, quando si sviluppa un’interpretazione della storia di stampo marxista: il metodo assorbe questo e diviene strumento di trasformazione della prassi. C’è anche il rischio di un’interpretazione poco cristiana e poco contemplativa: bisogna imparare a vedere e contemplare i mirabilia Dei;
-        una corrente nordeuropea critica il metodo perché è un metodo cosificante.

Ma nonostante tutti questi difetti, perché il Magistero lo assume? Questo metodo rivela gli elementi base di un discernimento teologico-pastorale:

-        la trasposizione del linguaggio di un evento sociale: se si vuole capire un’azione, soprattutto l’intenzione che la genera, si deve imparare a raccontarla;
-        il rapporto problematico teoria-prassi viene declinato in maniera molto veloce e non complicato;
-        contiene l’idea del discernimento;
-        vi è un’affinità con la lectio divina. In Verità e metodo Gadamer afferma che il metodo storico-critico ci consegna un’analisi scientifica dei testi: ma questi testi continuano ad essere utilizzati nella preghiera, come ha messo in evidenza la scuola pietistica del XVIII secolo. Quest’ultima ha sottolineato le 3 subtilitates: 1) subtilitas legendi; 2) subtilitas intelligendi; 3) subtilitas applicandi. Non basta che il testo abbia un significato scientifico, storico, ma esso deve avere anche un significato anche per me. È probabile che la JOC abbia ripreso proprio di qui questo metodo.

Il difetto di questo metodo sta proprio nel fatto che la fede sembra essere messa tra parentesi. Le origini del metodo VGA sono perciò interessanti: ciò che fa problema, però, è la sua contestualizzazione di stampo marxista che è avvenuta negli anni Quaranta-Cinquanta.

1.3  Azione, magistero e teologia

Insegnare teologia pastorale significa mettersi in un ramo non facile della teologia, in quanto da una parte vi è una pastorale che è fatta prima di noi: la pratica nasce prima, in quanto nasce da dimensioni affettivi e non logiche. Ci mettiamo in un campo in cui il Magistero si è molto impegnato: GS è stato una svolta, in quanto ha affermato che il Magistero non si preoccupa solo di dogmi, ma si impegna anche a leggere la storia.
Alcuni paletti che vogliamo evitare:

-        nessuno costituisce un Magistero pastorale alternativo a quello dei vescovi. La teologia pastorale non vuole indicare dove sbagliano i vescovi;
-        la teologia pastorale non vuole indicare una teoria critica della prassi. Non abbiamo nei confronti della realtà un atteggiamento di critica, ma dobbiamo aiutare un qualcosa che è già in atto a capire le ragioni del suo funzionamento. Compito della teologia è perciò dare strumenti ulteriori perché coloro che sono chiamati ad agire e decidere possano avere strumenti per costruire l’agire del corpo di Cristo, che è la Chiesa.

1.4  Ricerca e formazione

Nella III ratio teologia pastorale esprime 3 realtà:

-        è un’attitudine: qui la teologia pastorale è un modo specifico di fare ermeneutica, di interpretare la realtà;
-        è un indirizzatore pedagogico: i presbiteri devono essere formati alla carità del Buon Pastore. Pastorale è il modo con cui si dice che i preti devono fare proprio il modo di agire di Gesù. In questo significato riguarda meno il nostro corso: è l’ambito operativo del seminario;
-        è un’organizzazione disciplinare: all’interno di pastorale vengono messe tutte le discipline che servono al pastore (catechetica, omiletica, liturgia, diritto), interpretate alla luce della pastorale stessa, per comprendere in che modo la catechesi, l’omelia, la liturgia agiscono nella vita della Chiesa.

All’interno del campo semantico elaborato da PDV e dai documenti dalla CEI, considereremo principalmente il primo aspetto, quello ermeneutico.


  1. ASCOLTARE: LE RAGIONI DELLA TEOLOGIA PASTORALE RACCONTATE DALLA SUA STORIA

La data di nascita della teologia pastorale è il 1774 e il luogo è Vienna. Ma questo non significa che il cristianesimo non abbia elaborato un pensiero sulle sue pratiche e sulle sue azioni. Troviamo già qualcosa nell’AT; anche nei Padri è presente una riflessione di questo tipo (si pensi alla Regola pastorale di Gregorio Magno). La differenza con oggi sta nel fatto che mai prima si organizza questo pensiero all’interno di una disciplina scientifica.
I due fattori che segnano la nascita della teologia pastorale sono l’industrializzazione e la riflessione politica. All’interno della teologia pastorale che nasce si sviluppano due tendenze, quella epistemologica e quella empirica: bisogna conoscere il corpo per poterlo meglio governare.
Originariamente la teologia pastorale si configura come una disciplina di tendenza giuridica: è una sorta di diritto canonico prima ancora che esso vi fosse.
Con la Mission de France si intuisce che il legame pastorale possa essere oggetto di studio di una disciplina scientifica: prima di essa si riteneva che la pastorale fosse un qualcosa da imparare dai propri sacerdoti predecessori, mentre ora si comprende che questo modo non poteva continuare ad esser valido. Il Concilio è frutto delle domande della Missione di Francia, che giungono ai Padri tramite alcuni teologi, come Congar (che tiene conferenze ai Padri durante il Concilio): la Missione di Francia crea un clima nel quale il Concilio si colloca. Ultimo fattore è quello della collocazione della teologia pastorale nell’universo teologico (cosa che si deve soprattutto a Rahner).

Prima di vedere i 4 fattori vediamo ora la nascita della teologia pastorale. La caratterizzazione giuridico-amministrativa della teologia pastorale si deve al contesto storico: ai sovrani interessava che i parroci fossero dei buoni amministratori, sapessero governare il popolo di Dio.
Schleiermacher conferisce alla teologia pratica come suo oggetto le questioni etiche. Il vantaggio della teologia protestante è quello di porsi immediatamente le domande epistemologiche legate alla nuova disciplina. In ambito cattolico, Graf si accorgerà che la teologia pastorale era troppo soggetta al potere e alle esigenze amministrative suddette: secondo Graf, la costruzione iniziale e quotidiana della Chiesa è un’operazione guidata dallo Spirito, perciò il suo studio è studio teologico. Perciò prima di dire ciò che deve fare un parroco, è necessario interrogarsi sullo sviluppo integrale del corpo ecclesiale. Ecco perché Graf pensa che sia meglio denominare la disciplina come teologia pratica: parlare di teologia pastorale significa ancorare troppo la disciplina alla figura del pastore. Graf fissa 2 punti: 1) lo studio della Chiesa del futuro è un oggetto materiale che vale quanto lo studio della Bibbia; 2) dalla natura trascendentale della Chiesa, intesa come simbolo, si possono dedurre le caratteristiche della Chiesa. Il problema dell’impostazione di Graf è duplice: 1) ci si accorge che è difficile declinare la natura trascendentale della Chiesa nelle sue attuazioni storiche; 2) tale disciplina è eccessiva nel pensiero per una disciplina vista ancora come prontuario per l’applicazione dell’ecclesiologia classica.
Il pensiero di Graf sarà ripreso da Rahner. Dopo Graf, la teologia pastorale tornerà ad essere un prontuario giuridico-amministrativo.

Vediamo ora il primo fattore: l’ingresso delle scienze sociali. Il counseling viene introdotto la teoria cibernetica dell’azione: la teologia pratica, dopo la II GM, scopre che si può rifare al pensiero di Hiltner, secondo cui vi è una prassi; di solito, mentre pongo un’azione, mi accorgo che quell’azione ha qualcosa che non va (nessuna azione è perfetta) e che accende in me una duplice critica: una è di tipo utopico (confronto con l’ideale), una è di tipo strategico (critica di osservazioni empiriche). La critica permette allora di elaborare un nuovo modello di azione, che mi porta alla trasformazione della pratica; ma, nel momento in cui io pongo il gesto rinnovato, mi accorgerò nuovamente che esso non va bene totalmente e ripartirò con una nuova critica (e così via). Questo metodo ha molto influito nella pratica.
A fronte di questo metodo circolare, il metodo applicativo tradizionale, che prevedeva intuizione dogmatica, traduzione della regola (CJC) e prassi, appare alquanto povero: per un parroco appare molto più utile e più moderno il metodo di Hiltner. Tutta la riflessione teologico pastorale deve confrontarsi con le scienze sociali. Visto che i metodi delle scienze sociali sono molto significativi, essi vengono assunti in teologia pastorale; da ciò nascono 3 tendenze, modelli:

-        teologia empirica: essa ha due sviluppi: 1) a livello europeo (olandese) troviamo Van der Ven; 2) a livello americano, troviamo il modello della prasseologia pastorale del Quebec. Van der Ven sostiene che la prassi debba essere anche oggetto formale. Dopo il primo momento di purificazione, vi è un primo momento che consiste in questo: si deve cogliere innanzitutto il problema teologico, per poi verificare l’impatto di questo problema nella società odierna, per poi alla fine operare una riflessione (il problema di Van der Ven era quello che in Olanda in molta gente era mutata l’identità della figura di Dio: da un Dio personale ad un “Dio-energia”); in tal senso, compito della teologia pastorale è di osservare, fotografare e spiegare i fenomeni, che vengono poi consegnati alla teologia. Il rischio di questo metodo è quello di scadere in una sociologia religiosa.
Il metodo della prasseologia nordamericana consiste in questo: 1) bisogna innanzitutto individuare una pratica e spiegarla a livello analitico; 2) si utilizzano strumenti di osservazione del reale per cercare di capire una determinata pratica (in tal senso si possono leggere sia il presente che il passato); 3) confronto tra la pratica rilevata e i dati fondamentali della fede cristiana; 4) ricerca di possibili soluzioni.
Il bello di questo metodo è che devono stare insieme uomini e donne che lavorano nella pastorale e ricercatori: i teologi portano il loro bagaglio culturale, mentre chi lavora sul campo porta la sua osservazione (da soli non bastano né i soli teologi, né i soli “addetti ai lavori”). Il limite di questo metodo è la sua incapacità di avere una visione olistica e globale, in quanto rivolto ad un “frammento”: è questo il motivo per cui la teologia empirica resta abbastanza marginale;
-        assunzione della teoria critica della società quale metodo di interpretazione della prassi cristiana, aggiungendo alcuni indici teologici d’analisi. I teologi avvertono la necessità di fare ciò che fanno le scienze sociali, che individuano i fattori strutturali che presidiano l’azione collettiva. Questa comprensione è sviluppata innanzitutto in negativo (eliminare tutte le sovrastrutture che ostacolano tale comprensione) e poi in positivo.
Questa seconda tendenza vuole sviluppare una lettura globale del fenomeno della cultura: perciò essa assume la teoria critica (scuola di Francoforte: Horkeimer, Adorno, Habermas), la quale prevede che vi sia una parte negativa (denuncia di tutto ciò che è corruzione, religione, etc.) e una parte positiva (rilancio di alcune utopie). Questo modello si sviluppa soprattutto in ambito tedesco.
In ambito francese si afferma invece il modello della frattura creatrice: de Certau cerca di salvare questo strumento da una sua esasperazione che sarebbe pericolosa e renderebbe inutile lo strumento stesso. Questo modello immagina il cristianesimo come una storia: tra Gesù e noi vi sono state tante tappe, per cui non viviamo il cristianesimo delle origini, ma quello di un passato prossimo. La Missione di Francia proporrà di abbattere questa tappa: il vuoto che si crea permetterà di fare un salto per tornare al cristianesimo delle origini. Ma cosa vuol dire abbattere il passato prossimo? Esso rischia di operare uno scisma, una rottura con la tradizione: il taglio che si opera con il passato, secondo Certau, deve essere sempre modulato, in modo che la fede della Chiesa non diventi una rottura con la fede della Chiesa. Certau pone questo monito dinanzi ad alcune derive radicali che la Missione di Francia stava prendendo. Bisogna però tenere presente che Certau ha ragione su un punto: la frattura creatrice è il motore della storia.
Questi autori si riassumono in 3 elementi: 1) assumono la dialettica fede-religione per purificare la storia e la società: la religione viene vista come nevrosi della cultura (Cox, che riprende le riflessioni Freud in L’avvenire di un’illusione); con il cristianesimo, visto come tendenza secolarizzatrice, la fede libera l’uomo dalla religione, fondata invece sulla paura del cielo, visto come patria degli dèi. 2) Inoltre viene svalutato tutto l’elemento istituzionale, visto come ostacolo alla libertà di agire nella storia. 3) Ci si concentra allora sull’elemento esistenziale, sociale e politico: si è interessati unicamente a come la Chiesa trasforma la società (ecco perché la teologia pratica smette di interessarsi a temi come la preghiera). Vicina a questa impostazione è la teologia della liberazione: d’altronde i teologi della liberazione si sono formati in Germania. L’esito di questa tendenza è il paradigma della secolarizzazione.
Secondo Mette, compito della teologia pratica è quello di sviluppare una lettura di ciò che facciamo come cristiani che non sia predefinita da struttura istituzionali.
      A questo segue la pars costruens, con l’assunzione del principio dell’agire comunicativo.
Il primo Habermas è decostruttivo: se si decostruiscono le strutture sbagliate della cultura attuale può nascere una nuova cultura. Ma in seguito Habermas si accorge che tra decostruzione e ricostruzione non vi è continuità: se continuo a decostruire rimane solo un cumulo di macerie, senza alcuna alternativa che possa far evolvere la cultura e la società.
Il secondo Habermas, allora, è in tal senso costruttivo: egli si accorge che Max Weber introduce un’analisi delle forme dell’azione che può interpretare il presente. Secondo Weber, vi sono 3 tipi di agire: strategico (maggior parte di azioni che noi instauriamo con il mondo inanimato, che non ha una coscienza: es. uomo-gesso), strumentale (si entra in dialogo con una libertà, ma la mia azione non permette che l’altra libertà abbia uno spazio sufficiente di libertà) e comunicativo (si entra in dialogo con un’altra libertà e le si permette di dispiegarsi in un giusto spazio). È quest’ultimo il tipo di agire che le nazioni moderne devono assumere: esse devono preoccuparsi di permettere a tutti di prendere la parola. L’agire comunicativo diviene allora lo strumento positivo, che la stessa Chiesa deve assumere. La teoria dell’agire comunicativo è troppo vicina al pensiero cristiano perché essa non possa aver ricevuto la sua influenza.
Habermas mutua da Weber anche la teoria del mondo vitale (Lebenswelt): noi immaginiamo, ingenuamente, che il linguaggio sia un universo sterminato; le teorie sociologiche del linguaggio, come tutti i domini dell’azione umana, è un dominio limitato. Perciò, se io lavoro nelle capacità di aumentare il linguaggio che una persona ha a disposizione per interpretare la sua vita, io cambio la vita di quella persona; questo serbatoio lo arricchisco sia con lo studio e l’intelligenza, sia con l’esperienza.
Mette assume la teoria dell’agire comunicativo e la declina sui passaggi della teoria cibernetica, che abbiamo sopra visto: la teoria del vedere-giudicare-agire è semplicemente una traduzione in campo pastorale della teoria cibernetica;
-        sviluppo di un modello ermeneutico di comprensione della pratica, e di articolazione del rapporto epistemologico teoria/prassi, nonché di quello di teologia pratica/memoria cristiana. Il secondo paradigma declina insieme al suo modello di interpretare la cultura (quello della scuola di Francoforte). Si può sviluppare una via alternativa a quella empirica e a quella della teoria critica? Zulehner riteneva di no. Ma noi ci proveremo.
Ricoeur parte nel leggere la teoria dell’azione dal suo piano congeniale, quello del discorso. Secondo Ricoeur, ciò che differenzia l’azione di un essere inanimato dall’azione umana è il fatto che noi leghiamo all’azione sempre un significato. Questo legame tra azione e significato non è univoco, in quanto ci metto la mia libertà che interpreta una determinata azione. Per interpretare questo nesso tra azione e significato vi è una scienza che è lo strutturalismo: lo strutturalismo, così come sviluppato da Levi-Strauss, è uno dei modi  di conoscenza più efficaci. Ma, mentre Levi-Strauss si limita unicamente a comparare l’economia dei segni, Ricoeur avverte l’esigenze di trarre delle conclusioni veritative, al di là del conflitto delle interpretazioni. Il pensiero di Ricoeur è interessante perché l’intuizione dell’azione sociale come insieme di rituali si è poi affermata nella sociologia: per capire il contenuto delle cose abbiamo bisogno di tanti rituali all’interno della società.
Utilizzando gli strumenti di Ricoeur, Audinet vede la pratica cristiana come un sistema di significato che dice come la Tradizione cristiana si è inculturata in un determinato spazio e in un determinato tempo: la prassi cristiana viene vista come un testo che va interpretato. Un primo momento del metodo di Audinet è di natura descrittiva: a questo livello si può dire tutto e il contrario di tutto, perciò non è sufficiente. Un secondo momento consiste nel porsi domande sul senso delle azioni semplicemente descritte precedentemente. In un terzo momento si confrontano le ragioni che possono star dietro un’azione con il Vangelo: questo è proprio del modello ermeneutico.

Come posso capire, una volta ascoltate queste azioni (Ricoeur-Beauchamp)? Ricoeur afferma che vale per le azioni ciò che vale per le narrazioni: bisogna cogliere l’intrigo, ovvero il nesso logico che collegano i pensieri. Si può trovare l’intrigo sia a livello autobiografico, sia nei racconti degli altri. Questo concetto di intrigo diventa ancora più forte per noi cristiani se teniamo presenti le intuizioni di Beauchamp: a livello di esegesi scientifica bisogna recuperare la lettura figurativa dei Padri, in cui le figure utilizzate nei due Testamenti si possono utilizzare come criterio ermeneutico per i testi.

Passiamo ora a considerare la Missione di Francia.
A livello sociale, la Francia vede un contesto sociale dominato dal contrasto molto forte con la modernità. La condanna del modernismo vede la nascita di una forte corrente tradizionalista come l’Action Francaise, che finisce anch’essa con l’essere condannata: nel giro di pochi decenni, quindi, vengono condannate due esperienze importanti, il modernismo prima e l’Action Francaise poi. Nel frattempo la Francia viene occupata dal Terzo Reich: i tedeschi ritengono che la Francia debba servire a rifornire l’esercito tedesco dell’attrezzatura militare pesante, grazie alle miniere dell’Alsazia e alle industrie che trasformano il tutto in armamento pesante. La periferia industriale attorno a Parigi triplica nei suoi abitanti.
Alcuni autori francesi (due sacerdoti, Godin e Daniel) colgono il cambiamento culturale e scrivono un testo, La France pays de mission?, dal momento che essi colgono che nel giro di pochi decenni la Francia potrebbe divenire un paese pagano. La cultura cambia così tanto che bisogna disfare il cristianesimo così come è stato ricevuto e pensarlo nuovamente. Nasce l’idea dei preti operai, che all’inizio erano cappellani di fabbriche. Vengono perciò creati, accanto ai seminari tradizionali, dei seminari in cui formare i sacerdoti che saranno impegnati in questi contesti di missione; questo crea non poche perplessità, sebbene l’idea di missione condiziona anche l’idea di parrocchia (viene scritto un testo Parrocchia comunità missionaria). Lo stesso cardinale Suares, che all’inizio aveva appoggiato Godin e Daniel, inizia progressivamente a prendere le distanze da queste posizioni disfattiste e fortemente critiche.
L’effervescenza accesa  viene però dominata a fatica. I preti in fabbrica si accorgono che, finchè rimangono cappellani, gli operai continuano a vederli dalla parte dei padroni: ecco perché essi smettono di essere cappellani e si fanno assumere come lavoratori; questo però comporta che questi preti perdono la pratica di cappellano e divengono semplicemente solidali con la condizione di operai. La teologia cerca di venire incontro a queste esperienze (Chenu, Congar, Danielou), anche se essa ha ben presente il pericolo della nascita di un’utopia sociale cristiana, vicina alle posizioni marxiste. I preti assumono una logica di contrapposizione e di lotta che non era loro. Quando un prete francese, durante una manifestazione sindacale, viene ridotto in fin di vita e il cardinale di Parigi si lamenta col presidente De Gaulle, quest’ultimo si rivolge al nunzio. La Santa Sede interviene, chiudendo i seminari della Missione e ponendo termine all’esperienza dei preti operai (i preti operai venivano sospesi se non lasciavano questa esperienza e i seminaristi erano invitati a tornare nei seminari diocesani, ma ciò non avviene). Questa decisione del Santo Uffizio spacca la Chiesa.
Questi eventi fanno comprendere però a molti parroci l’urgenza della missione: la Francia era un paese di missione!

Ma cosa fa sì che la missione maturi grazie alla Missione di Francia? Grazie a questa, si comprende che il modo con cui la Chiesa abita e si struttura nella storia non può essere improvvisato, ma deve essere oggetto di riflessione: quando un parroco, Retif, chiude la chiesa per andare in fabbrica, egli emette un giudizio sull’azione della Chiesa nella storia. Non è un caso che proprio in questi anni nasce il concetto di nuova evangelizzazione. Occorre perciò una scienza per studiare come si sta cambiando: qualsiasi cambiamento affidato allo spontaneismo rischia di cadere in ideologia. Ciò che è sbagliato della Missione di Francia non sono le domande, ma le risposte, che rischiano di essere inadeguate.
È ciò che intuisce Congar, che scrive Vera e falsa riforma della Chiesa. Seguiamone ora la riflessione. Congar è da una parte attore di questo momento di riforma, dall’altra è però attento spettatore. Il cristianesimo può essere letto come un legame sociale, o meglio, come un reagente capace di trasfigurare questi legami: è questa la grande intuizione della Missione di Francia.
Il cristianesimo come legame può essere letto in 3 modi: 1) in riferimento ad un passato fondatore (l’esperienza neotestamentaria); 2) in riferimento alle relazioni tra i battezzati; 3) in riferimento al modello di organizzazione della Chiesa. L’esperienza della Missione ha portato alla ribalta 3 grandi temi, connessi a questi 3 modi: il nuovo ruolo dei laici, come soggetti di azione all’interno della Chiesa; la figura delle comunità cristiane delle origini come nuovo passato fondatore a cui ancorare ancora la Chiesa odierna; l’urgenza di un nuovo modello sociale, quello comunitario, da affiancare a quello gerarchico-tradizionale. Congar coltiva questo pensiero nel magistero di Pio X e nel pensiero di Tommaso d’Aquino. Vediamo ora questi 3 grandi temi:

-        un ruolo nuovo dei laici: è significativo notare come, nonostante il nuovo ruolo assunto dai laici, non si giunge mai ad alcune forme, come l’attribuire la presidenza dell’Eucarestia ai laici. Bisogna dire che alcune pratiche (come la confessione) legate al prete subiscono una notevole flessione;
-        un nuovo modello sociale di Chiesa: si ha il passaggio da Chiesa-società a Chiesa-comunità;
-        un nuovo passato fondatore per la Chiesa: il rimando alla Chiesa delle origini viene visto non solo come obiettivo futuro, ma anche come un passato regolatore, che permette anche di sfidare la gerarchia con il NT in mano.

Nel Sinodo della nuova evangelizzazione, il Papa, all’Angelus finale, afferma che “nuova evangelizzazione” sia una categoria che vada compresa negli anni ’40-’50, quando si parla della missione. In realtà, proprio a partire dalla missione, si crea uno spartiacque (che abbiamo creato frattura creatrice), che genererà un primo modello pastorale, che funzionerà fino a tutti gli anni ’70: il paradigma della secolarizzazione, all’interno del quale capita anche il Concilio Vaticano II e il pontificato di Paolo VI. Con il papato di Giovanni Paolo II si struttura un nuovo paradigma, quello della nuova evangelizzazione, pensato in termini contrappositivi a quello della secolarizzazione: contro una Chiesa che fatica a vivere l’annuncio serve una Chiesa che annuncia. Benedetto XVI critica entrambi i paradigmi: nel primo la Chiesa ha corso il rischio dell’autosecolarizzazione, in quanto, per correre dietro al mondo, si è dimenticato talora la preghiera, il silenzio, la liturgia etc.; nel paradigma della NE vi è indubbiamente il rischio di proselitismo e di far vedere la Chiesa come una setta. Per cui, afferma Benedetto XVI, la NE, come lui la immagina, è quello della riforma spirituale della Chiesa, della riforma della fede, dove vi sono 3 elementi fondamentali:

-        elemento linguistico: ecco perché il Papa parla di liturgia, di rito, di sacramenti, di devozioni, etc.;
-        elemento a livello organizzativo: il Papa insiste in modo molto strano sui movimenti. Rispetto a Giovanni Paolo II, Benedetto XVI è più freddo, ma mostra come movimenti e parrocchie hanno lo stesso problema: la difficoltà a creare dei luoghi comunitari in cui poter vivere il Vangelo;
-        elemento culturale: c’è una secolarizzazione così nichilista che ha ucciso il modo abituale di pensare i fondamenti su cui strutturare la fede.

Vediamo ora i due precedenti paradigmi.
Quella del paradigma della secolarizzazione riprende l’intuizione di Harvey Cox nella sua opera La città secolare. Centrale è per questo modello la separazione tra fede-religione. Per la scuola di Francoforte non vi era nulla di peggio della saggezza popolare, vista come fonte di tutte le ingiustizie in quanto qui si sedimentano tutti gli elementi che vanno a formare le sovrastrutture: così anche la religiosità popolare doveva essere tagliata fuori se si voleva tornare alla purezza della fede e al messaggio di liberazione di Gesù.

Vi sono 3 modelli per declinare il paradigma della nuova evangelizzazione (cfr. p. 26). Nemmeno nel modello della nuova evangelizzazione vi è spazio per forme di cattolicesimo popolare.


UN CONCILIO PER IMMAGINARE LA CHIESA

La pastoralità del Concilio Vaticano II va cercata, prima ancora che nei contenuti, nello stile e nel linguaggio. Giovanni XXIII invita già in Gaudet Mater Ecclesia a pensare ad una nuova forma di trasmettere il depositum fidei.
Paolo VI enuncia 4 punti:

-        un atteggiamento basato sul dialogo e non sul confronto apologetico col mondo;
-        capacità di leggere la realtà della Chiesa cogliendone la dimensione istituzionale, storica e sociale;
-        imparare un nuovo modo di abitare la Scrittura (rinnovamento biblico);
-        cercare di individuare un nuovo metodo di lettura della storia.

In LG 8 la complessità della Chiesa viene presentata in relazione al dogma di Calcedonia.
DV 7 presenta due possibilità di lettura: a partire dall’alto (da Dio per arrivare alla Chiesa storica) e a partire dal basso (dalla Chiesa storica a Dio). DV permette di capire che la dialettica intuita da Giovanni XXIII è lo schema stesso della Rivelazione. La Tradizione è essenzialmente discernimento che la Chiesa è chiamata continuamente a fare: la Chiesa deve discernere, tra i segni che ha ricevuto, quelli che possono continuare a parlare nel contesto odierno.
Mentre nei nn. 41-43 di GS si presenta l’aiuto che la Chiesa offre al mondo sotto i vari aspetti (individuale, cioè alla persona umana; sociale; economico-produttivo), al n. 44 si afferma (rivoluzionario per il tempo) che il mondo presta aiuto alla Chiesa. La Chiesa non può ignorare quanto riceve dal mondo, in quanto tutto ciò sviluppa l’uomo e gli arreca del bene; d’altronde fin dall’inizio la Chiesa ha assunto il linguaggio del mondo per 2 motivi: sia per farsi comprendere, sia per permettere ai sapienti e agli studiosi di comprendere il cristianesimo come un aiuto per arrivare alla verità. Se vogliamo evangelizzare, la parola rivelata deve essere necessariamente inculturata. Tutti coloro che sono esperti in umanità, siano essi credenti o non credenti, aiutano la Chiesa. La Chiesa ha il dovere di discernere per intuire come presentare meglio la Rivelazione. A vedere inculturata la parola rivelata non ci guadagna solo il mondo (come detto sopra), ma anche la Chiesa stessa: non come se le mancasse qualcosa nella costituzione datale da Cristo, ma per conoscere questa più profondamente. Tutte le Chiese locali esprimono la ricchezza dell’unica Chiesa in maniera diversa, senza che nessuna riesca ad esaurire tale ricchezza. Addirittura il martirio aiuta la Chiesa a conoscersi meglio.

La Chiesa nasce perché all’origine c’è un’intenzione di Dio di autocomunicarsi, il cui punto centrale è Cristo. Vi è una preparazione, che è costituita dalla creazione e da Israele; e vi è una prosecuzione nella Chiesa. Theobald afferma che la rivelazione di Dio in Cristo rimane il princeps analogatum, mentre compito della pastorale è vedere come questa autocomunicazione di Dio continui nella storia, grazie anche all’azione dello Spirito Santo.

La GS riprende il metodo vedere-giudicare-agire, già utilizzato nella Pacem in terris. I segni dei tempi sono gli elementi fondamentali della cultura che emerge: per Giovanni XXIII il tema della pace, quello della donna, quello del lavoro; per GS i segni dei tempi sono i luoghi in cui intuiamo la presenza dello Spirito all’interno di un mondo che cambia: ecco perché il primo segno dei tempi è l’uomo stesso, alla luce dell’uomo nuovo che è Cristo.

Pastorale non è semplicemente ripetizione delle gesta del Cristo glorificato, ma assunzione della storia come punto di partenza, dentro la quale lo Spirito suscita attraverso le azioni e la memoria di Cristo vissuta dai cristiani i gesti che radunano il popolo di Dio.
Prima dell’avvento del concetto di pastorale del Vaticano II, la pastorale funzionava così: Cristo (rappresentato dalla persona del papa) ha davanti a sé il mondo che è peccato. Dopo il Vaticano II lo schema cambia: Cristo ha davanti a sé il mondo, all’interno del quale si trova la Chiesa. La Chiesa non è solo attiva (docente) nei confronti del mondo, ma anche passiva (la Chiesa è discente nei confronti dell’azione di Cristo): rimane un’azione costante e diretta di Cristo rispetto al mondo.
Si ha una riscoperta del soggetto collettivo del “noi” con il Vaticano II: LG afferma che i tria munera non sono più prerogativa dei sacerdoti, ma ad essere profeta, sacerdote e re è la Chiesa nel suo insieme; i tria munera si declinano innanzitutto a livello collegiale: è la Chiesa infatti a continuare la missione di Cristo nel mondo.
Secondo il Concilio, la teologia pastorale deve servire per comprendere come nel corso della storia il legame sociale è stato il luogo dell’incontro tra l’uomo e Dio.


LA RICEZIONE DEL CONCILIO DA PARTE DELLA CHIESA ITALIANA

La Chiesa italiana nasce con il Concilio: la CEI nasce molto più tardi rispetto ad altre conferenze europee, dal momento che queste ultime avevano dovuto fronteggiare situazioni nazionali ben complicate (la Francia con Napoleone, la Germania con Bismarck). In Italia c’era inoltre il problema del Papa: una eventuale conferenza episcopale non poteva non avere il papa come presidente; ma presentare il papa come un semplice presidente di conferenza episcopale. Tuttavia l’esigenza di una CE emerge quando si prende coscienza di una unità culturale nazionale. Si decise allora che il papa avrebbe delegato la presidenza ad un cardinale: la CEI nasce, tuttavia come un organismo di natura giuridico-istituzionale semplicemente. Presieduta all’inizio dal card. Schuster, la presidenza passò poi al card. Siri. Dopo il Vaticano II, le cose cambiano: i vescovi italiani prendono coscienza sempre maggiore dell’importanza di radunarsi, anche come popolo (nascono così i convegni ecclesiali).  

LA TEOLOGIA PASTORALE DENTRO L’UNIVERSO DELLA TEOLOGIA

In Italia, fino agli anni Sessanta, la teologia pastorale veniva considerata un’arte; solo dopo il Concilio la si inizia a pensare come scienza. Solamente con gli anni Ottanta, con un convegno organizzato proprio dalla Lateranense, la teologia pastorale prende piede: Seveso a Milano, Midali e Lanza a Roma. Attualmente ci troviamo in una fase di stasi della teologia pastorale: le ultime pubblicazioni sembrano segnare dei passi indietro rispetto alla strutturazione della teologia pastorale.
La teologia pastorale si organizza attorno a 5 assi:

-        la pretesa teologica della disciplina: soprattutto Seveso insiste su questo contro chi ritiene che la teologia pastorale sia semplicemente di natura applicativa. In realtà, oggi il problema non è tanto quello di giustificare la teologia pastorale all’interno delle discipline teologiche, ma quella di mostrare come la teologia pastorale ha qualcosa da dire nella lettura della realtà odierna, anche rispetto alle scienze sociologiche. Verso l’esterno si è cercato (soprattutto Audinet) di mostrare come l’esclusione aprioristica del campo religioso dalla visione del reale ha privato la lettura del reale stesso di un ulteriore arricchimento rispetto alle scienze sociali;
-        l’oggetto di indagine: c’è bisogno di una disciplina che abbia come oggetto la forma che il popolo di Dio assume nella storia, forma che cambia costantemente;
-        il metodo attraverso cui studiare questo oggetto: dobbiamo immaginare un metodo che da una parte sviluppi in modo serio il rapporto teoria-prassi, il modo in cui questo è stato visto nella storia, etc.
-        la prospettiva cristiana ed escatologica: il tentativo è quello di leggere tutta la storia, così come la racconta l’AT, mediante una serie di figure. Il rischio è però quello della semplificazione, dal momento che queste  figure devono comprendere in sé un oggetto molto ampio;
-        la specializzazione disciplinare: man mano che la riflessione si sviluppa si comprende come bisogna riportare in unità varie discipline che si occupano di questioni teologico-pastorali: per esempio, la catechetica rischia talora di essere troppo ripiegata sulla storia, senza occuparsi di quello che dovrebbe essere il suo oggetto, ovvero come fare catechesi oggi. Si sono inoltre moltiplicate le specializzazioni disciplinari che vengono ritenute utili per la vita cristiana odierna: pastorale giovanile, della carità, della famiglia, etc. non devono essere visti semplicemente come campi applicativi, ma come delle vere e proprie categorie ermeneutiche, che possano cogliere le direzioni attraverso cui intercettare gli uomini del nostro tempo per suscitare in loro la fede.

I 3 principi: gesuano (Schuster: ricalcare la prassi di Gesù), incarnazionistico (Arnold: se Dio ha scelto di diventare uomo, bisogna trovare le vie attraverso cui farsi prossimi all’uomo), ecclesiologico (Klostermann: partire dalle strutture ecclesiali).
Le 4 fasi di Zulehner: criteriologica (fase epistemologica: fissazione dei criteri), kairologica (a partire da quei criteri, analizzo la realtà), prasseologica (dopo aver analizzato, presento la prassi che emerge dall’analisi), futurologica (presento infine la forma che la Chiesa sta prendendo alla luce del cammino che ho fatto).
Interessante è il progetto di dottorato in teologia pratica, che si rivolge essenzialmente ai laici, affinché essi possano prendere maggiore coscienza del ministero che svolgono attraverso criteri teologici che vengono dati: in tal modo questo dottorato diviene occasione di autoformazione. La teologia pastorale viene qui vista come disciplina di carattere ermeneutico.

Tre sono i modi di sviluppare la teologia pastorale che Audinet rinviene:

-        giustificare l’esistente: risente di un modo ingenuo di concepire il rapporto fra teoria e prassi. Il teologo che utilizza questo modo conclude pensando sempre di avere ragione. Non basta una teologia che giustifichi l’esistente, ma una teologia che interpreti l’esistente e aiuti la Chiesa a comprendere per intervenire;
-        dialogare con le scienze pratiche:
-        articolare tradizione e cultura.



  1. DISCERNERE

Questa seconda parte si snoda in 4 punti.

Il legame è un’azione raccontata, riespressa mediante il linguaggio.
L’istituzione è la capacità che l’uomo ha di fissare tutto ciò che egli ha acquisito in modo da poterlo trasmettere agli altri.


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